26 Marzo 2019

Facebook è “una nuova Lilith che si frappone nel coito tra due sposi, per assorbire lo sperma di lui e frustrare il desiderio di lei”. Si può essere amici incontrandosi una volta per sempre, per tutte. Su un saggio di Franco La Cecla

Modestamente, ho pochissimi amici e quei pochissimi vivono così lontano o comunque ci vediamo così di rado che è come non averne affatto. L’inconveniente è che quando vengo a sapere qualcosa che mi mette voglia di gridarlo dai tetti, per esempio la notizia che Aldo Busi ha in cantiere un nuovo romanzo dal titolo celestiale Una masnada di belle fighe, non posso urlarlo affatto o rischierei la denuncia per schiamazzi; a parte questo, non vedo altri inconvenienti. Per lo stesso motivo, mi sa, nessuno mi ha detto e a nessuno posso dire l’entusiamo che m’ha dato leggere il saggio Essere amici di Franco La Cecla (Einaudi, 2019), capitatomi sotto gli occhi al bancone di una libreria mentre ero lì a ritirare tutt’altri titoli prenotati, ancora di Patrick Modiano, perché bisogna essere sempre grati alle proprie ossessioni, assicurando loro la più lunga vita possibile. Essere amici è un titolo che sfida qualsiasi imbarazzo, come quei manuali sul come dimagrire in quindici minuti o sul come ritrovare la stima in sé stessi persino più alla svelta – dando per scontato, con affetto, che una stima ci sia stata un tempo, prima di perderla malauguratamente – che non andresti mai a comprare tu di persona: delegheresti, o li ordineresti online con destinazione fermo posta.

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Un bel brivido essere catturato dal titolo Essere amici, nel sollevarlo dal suo scaffale e senza nasconderlo andare alla cassa, copertina a vista, chiedendo per di più all’addetto se fosse ancora considerabile una novità e se dunque fosse valido lo sconto del quindici. Essere amici ama giocare con lo scandalo al pari dei busiani Sodomie in corpo 11 o Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo o Un cuore di troppo: è raro che un libro eserciti il suo fascino indiscreto sin dal titolo. Da programma, che m’ero dato da solo, dovevo stendere uno dei soliti diverbi alla tra-me-e-me tra me e il libro di Ta-Nehisi Coates, Tra me e il mondo, ma come frenare il piacere di una considerazione come quella a pagina 7: “L’amicizia come un’avventura che non tutti possono permettersi di correre”? Il successo della Rowling non l’hanno fatto gli avada kedavra alla Silvan né quello della Ferrante chissà quale sovversiva tecnica del linguaggio: è l’amicizia il tema che non delude mai, non le aspettative di vendita.  Gli amici: chi sono costoro? Quelli bravi, almeno. L’amicizia “È la ricompensa dei viventi.” Quale amicizia però? “Emmanuel Lévinas e Maurice Blanchot sono grandissimi amici. Si sono visti una sola volta da giovani, ma questo legame dura per tutta la vita”. Leggo questa frase e non posso che convincermi della necessità di leggere altre opere di Lévinas e di Blanchot, se proprio non di leggerne qualcuna per la prima volta: di che scorte di amore intellettuale devono essere dotati due uomini per restare amici tutta la vita pur essendosi visti un’unica volta e da quella volta in avanti restando uniti scrivendosi? Occorre essere giocoforza due grafomani clinici, per caso? Che per poter restare amici tutta la vita bisogni non esserlo mai stati davvero? Come a dire: i migliori matrimoni sono quelli in cui l’amore non finisce, non essendo proprio mai cominciato.

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Il libro di La Cecla è tanto impudico da non risparmiarsi neppure le critiche serrate contro i social network; non lo fa più nessuno, il conformismo dell’anticonformista di grido sa che non gli conviene lamentarsi dell’unico mezzo a sua disposizione per crearsi un seguito che non preveda si debba scendere nessuna rampa di scale per andarlo ad ascoltare, ma per un antropologo che effettua il suo lavoro sul campo tra popoli anche facili all’accoltellamento tribale e amazzonico che noia bestiale e controevolutiva dev’essere la friendship? Facebook è paragonato a “una nuova Lilith […] che si frappone nel coito tra due sposi, per assorbire lo sperma di lui e frustrare il desiderio di lei. Facebook ci espropria del lavoro vitale che è quello di intrattenere rapporti, la costruzione quotidiana della nostra società intima e allargata”. Posso aver intuito male, ma sbaglio o La Cecla ha detto che Zuckenberg succhia? Già sono forti i dubbi su cos’è l’amicizia reale: stare a ragionare su quelle virtuali equivarrebbe a voler guardare gli angeli sotto la gonna per vedere che sesso photoshoppato c’è, lì. La Cecla cita Cicerone che cita una frase, pare, di Scipione: “Bisognerebbe amare essendo pronti a detestare un giorno.” L’amicizia va fondata sul suo diritto a essere revocata in qualsiasi momento; come l’amore? A patto di non freudizzarla troppo però: “C’è una forma di tardo freudismo in questa tendenza a voler ridurre tutto alla genitalità dei rapporti, la società nel suo farsi è molto più sofisticata e ama le distinzioni e le differenze”, ovvero: se gli uomini sono amici di altri uomini o le donne di altre donne non è detto che amicizia sia il nome consentito per l’amore represso di cui il nome non si potrebbe dire. Non occorre essere per forza romantici e autocastranti e pensare l’amicizia sia il solo tipo di amore eterno realizzabile, quello in cui non si consuma mai.

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Il saggio di La Cecla è una grande convocazione di amici, a me più o meno sconosciuti: Derrida (che ha coniato una parola bruttissima: ostiptalità), Vladimir Jankélévitch, il gesuita Matteo Ricci, Montaigne, Émile Benventiste, Vivieros De Castro, Pavel Florenskij, Confucio, Caroline Bynum, João Guimarães Rosa, e parecchie altri, per comporre quello che “per la Gordimer è l’alveo salvifico della letteratura come amicizia vivente”. Dopodiché sarebbe facilissimo ricorrere alla massima secondo cui chi non amici non ha amici migliori dei libri, ma la Gordimer di amici ne ha avuti eccome; per fare qualche nome: Edward Said, Susan Sontag. Che dunque vada smantellata l’immagine stantia del lettore solitario quando non del tutto misantropo, sostituendogli l’ovvia verità secondo cui solo chi sa essere amico dei libri sa farsi degli amici come si deve? In carne e carta, preferibilmente.

Antonio Coda

*In copertina: Raffaello Sanzio, “Ritratto di Andrea Navagero e Agostino Beazzano”, 1515-1516

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