28 Novembre 2017

La biografia definitiva di Ali, “The Greatest”. Una storia di combattimenti devastanti e di sfruttamento che indignano

Ovvio come dire che un cazzotto in faccia fa male. L’ultimo spazio per il mito, per l’epica, è lo sport. L’estetica del gesto atletico, l’odore della fatica, sangue, vita compressa in un istante, tra la gloria e il massacro. Jonathan Eig, nato a Brooklyn, si è fatto le ossa nel giornalismo di periferia. Poi è passato al Wall Street Journal, poi al New York Times. Infine si è seduto alla scrivania. Primo libro nel 2005. La storia di Henry Louis Gehrig, il ‘Cavallo di Ferro’, asso degli Yankees, schiantato dalla sclerosi laterale amiotrofica. Due anni dopo, nel 2007, secondo libro. La storia di Jackie Robinson, il primo giocatore afroamericano della Major League, un asso dei Dodgers. Ancora baseball. Piccola puntata nel mito del gangster (Al Capone) nel 2010, poi Eig si concentra sull’eroe degli eroi. The Greatest, come lo chiamano là. “L’atleta più influente della storia”. Qualcosa che va al di là dello sport. Muhammad Ali. Il libro esce. Il mese scorso. Ali: A Life (Houghton Mifflin Harcourt, pp.623, $ 30). La spregiudicatezza di firmare la biografia definitiva dell’icona del pugilato. Con un bel tot di fotografie. Il libro funziona. Tra i pregi, quello di aver dimostrato che Muhammad Ali avrebbe dovuto smettere di combattere nel 1971: vita estrema e botte da orbi hanno compromesso lentamente, in modo letale le sue capacità cognitive. Sintesi. “Alcuni scrittori hanno detto che Ali ha ‘trasceso’ la sua razza. Un tentativo di sbiancare la sua eredità, un tentativo sbagliato. La razza è il tema centrale della vita di Ali. Non ha vinto il concetto di razza. Non ha sconfitto il razzismo. L’ha reclamato. L’ha affrontato. Lo ha smentito”. ali libroLa notizia nella notizia è che a parlare del libro di Eig – che ha fatto parlare di sé mezza stampa anglofona – s’è messa Joyce Carol Oates, signora delle lettere americane (classe limpidissima 1938), l’autrice – prolificissima – di Zombie, Scomparsa, Una brava ragazza, e di Sulla boxe (tradotto in Italia da 66th and 2nd nel 2015). Insomma, sa di cosa scrive. Ed ecco come ne scrive sul New York Times, nel pezzo Muhammad Ali, Beginig to End for the First Time in a Book. “Come ha osservato Herman Melville, per scrivere un libro potente bisogna avere un tema potente di cui scrivere. Nella cultura sportiva americana nessun individuo ha ispirato più commenti di primissima qualità di Muhammad Ali: ci sono almeno 50 libri che celebrano il campione dei pesi massimi… Questo ultimo ritratto, raffinato, comprensivo ma spietato di una figura controversa in cui scelte personali e politiche si sono fuse in modo drammatico non poteva uscire in un momento più appropriato della storia americana. La brutalità della polizia (bianca) contro i cittadini neri sono quotidianamente sui giornali e acquisiscono un significato politico pericolosamente volubile, esacerbato dai tweet razziali del capo di stato in carica” (ogni critica a Trump la lasciamo al buon intenditore). Segue sunto biografico di Ali per mano della Oates, con stilettate interessanti: “eroicamente – o donchisciottescamente – nonostante il deterioramento della forza fisica e il probabile inizio dei danni cerebrali, Ali ha combattuto per altro 10 estenuanti anni, vincendo alcuni dei più celebri incontri di pugilato della storia: Ali-Frazier II, Ali Frazier III, Ali-Foreman (‘Rumble in the Jungle’). Furono combattimenti devastanti, punitivi, che hanno portato ad Ali gli applausi del mondo e un mucchio di denaro (almeno, una percentuale del denaro guadagnato in quei combattimenti). Eig, in effetti, racconta le intricate implicazioni finanziarie di Ali con la triade macchiavellica Don King, Bob Arum e Herbert Muhammad che non sempre erano a suo vantaggio; il lettore è prima costernato poi indignato dallo sfruttamento sistematico e prolungato di Ali dal 1974 in poi”. Da leggere. Libro e articolo.

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