26 Novembre 2017

Kinsella, il guerriero poeta: “Uso la poesia per resistere a Donald Trump e all’avidità della macchina capitalista”

Una muraglia di ferro davanti al bosco. Una strada di asfalto. Operai. Una macchina che sbuffa asfalto di fianco alla foresta. Il poeta è armato di fogli. Comincia a cantare. “Bulldozers rend flesh. Bulldozers make devils/ of good people. Bulldozers are compelled to do/ as they are told”. Il canto diventa urlo, l’urlo del poeta sovrasta il clangore della macchina. “I bulldozer lacerano la carne. I bulldozer rendono malvagie/ le brave persone. I bulldozer sono obbligati a fare/ quanto gli viene detto”. Alcuni operai se la prendono con il poeta. Il poeta si piazza davanti alla macchina, quell’enorme mammut di ferro, e continua a leggere, con sfrenata pazienza. Il poeta si chiama John Kinsella (nella fotografia centrale di Tracy Rain), classe 1963, una ventina di raccolte poetiche in teca, saggista, ambientalista, “sono totalmente contro ogni forma di violenza”, scrive, descrivendosi, nel suo sito, unendo impeto etico a impatto estetico. Poeta attivista, poeta guerriero, poeta coltissimo, John Kinsella ha per maestro assoluto Dante, come testimonia il poema ‘monstre’ Divina Commedia. Viaggi attraverso una geografia regionale, pubblicato nel 2008 e tradotto parzialmente dall’editore Raffaelli nel 2014, per la cura di Maria Cristina Biggio.

Kinsella
L’editore riminese Raffaelli ha pubblicato il poema ‘dantesco’ di John Kinsella nel 2014

Di poesia australiana, da questo lato di mondo, non sappiamo, drammaticamente, nulla, a parte qualche repertorio invecchiato (ad esempio quello delle Edizioni Accademia, edito quarant’anni fa, Da Slessor a Dransfield: poesia australiana moderna, dove la parte della leonessa la fa Judith Wright, maestra esplicita di Kinsella) e qualche libro (invecchiato anch’esso) di Les Murray (Un arcobaleno perfettamente normale, Adelphi, 2004). Peccato. Perché laggiù si muove una lingua civica potente – ogni rivolta, che è sempre estetica e dunque politica, lo dice la storia oltre a Kinsella, si fa con il linguaggio – che forse può energizzare le mummie liriche che ci sono qui. Detto altrimenti: John Kinsella è tra i grandi poeti australiani di ogni tempo. La nota non è esorbitante ma corroborata dal giudizio di Harold Bloom, il più autorevole critico letterario del pianeta (quello del Canone occidentale, per intenderci) che introducendo l’antologia Peripheral Light (2004) scrive, “John Kinsella è una fontana orfica, un prodigio della facoltà immaginativa. Nonostante le sue profonde radici nella cultura letteraria australiana, mi ricorda spesso John Ashbery: improbabile fecondità, eclettismo, e una capacità di fondere dettato popolare e lingua alta, assoluta, in una forma poetica”. Annotato questo, abbiamo rincorso Kisella fino in capo al mondo. Per capire come vive un poeta che fa la guerra armato dei suoi potentissimi versi.

Partiamo da Dante, a cui si è ispirato per un’opera poetica imponente. Qual è il valore di Dante, la Divina Commedia nella tua opera? Qual è il valore della cultura italiana?

“Dante è fondamentale per me in diversi modi. La poesia di Dante è una lente sul mondo umano, sulle interazioni umane, che io applico al mondo di oggi. Non è l’unica lente, ma è una lente. Ho pubblicato una versione della Divina Commedia ambientata nell’Australia occidentale, che s’intitola Divine Comedy: Journey through a Regional Geography (che in italiano è stata tradotta, in parte, da Maria Cristina Biggio, per l’editore Raffaelli), e anche un nuovo libro di poesie basato sui disegni e sui dipinti che il poeta-artista William Blake ha tratto dalla Divina Commedia (il libro si intitola On the Outskirts, 2017). E ora sto lavorando a un terzo volume di poesie basate sulla Divina Commedia, come interpretate dalla musica di Franz Listz. Dante è inesauribile! Mi concentro sulla giustizia umana, ma sempre nel contesto dell’ambientalismo: vedo inferno, purgatorio e paradiso in relazione ai danni che rechiamo all’ambiente, alla responsabilità nella conservazione, al rispetto. Io e la mia famiglia amiamo Roma che – sebbene non sia la città di Dante – ha un ruolo preminente nella mia poesia ultima e sarà un luogo dell’ultima opera in cui mi sto applicando, che usa la musica di Listz. Prendo Dante da molte prospettive!”.

Ci aiuti a comprendere la cultura australiana. Ci sono molti poeti e scrittori importanti? Che ruolo ha il poeta nella società australiana?

“Anche se a volte pretende di non esserlo, l’Australia è una società cosmopolita. La comunità e la cultura aborigena sono forti in Australia, nonostante gli sforzi dei governi coloniali nel sottrarre la terra agli aborigeni e nell’attaccare la loro cultura. La cultura aborigena e la sua gente sono forti, resistono. Le culture aborigene sono ricche di creatività e ci sono scrittori aborigeni molto raffinati, come Kim Scott, Alexis Wright, Lionel Fogarty, Charmaine Papertalk-Green, Tony Birch, e molti altri. Io sono un grande sostenitore dei diritti sociali e della terra degli indigeni. Sento che il governo australiano non ha fatto abbastanza per il rispetto della cultura indigena. Che si sia indigeni o meno, è vitale rispettare la cultura aborigena e i diritti della terra. Come chi non ha una eredità aborigena, ma ha tratto benefici dal vivere su una terra aborigena, io sento che è un mio dovere parlare di questo. Il poeta ha un ruolo nella società australiana: a mio avviso, questo ruolo deve essere assai critico verso gli errori del governo, verso gli sbagli compiuti dal colonialismo, sottolineando le differenze tra le persone e le loro comunità. Penso che il poeta sia uno che rompe e che cura – che unisce e fa opposizione. L’Australia ha bisogno di abbracciare i poeti”.

Nel suo lavoro l’eccellenza estetica si fonde con la potenza etica. Il poeta è chiamato a trasmettere dei valori?

“Certo. Non trovo punti di contatto con una poesia che non faccia qualcosa, che non cerchi di portare un cambiamento positivo. La poesia che è decorazione e intrattenimento non mi interessa”.

Mi ha colpito nel suo profilo biografico una frase in particolare: “Io sono contro il nazionalismo e lo stato-nazione centralizzato, che vedo come la radice di molti mali”. Ci può spiegare cosa intende?

“Sono anarchico vegano pacifista. Credo nei diritti degli individui e delle loro comunità nel definire chi sono, non nello stato. Non credo nel governo e nelle corporazioni che ci controllano e ci dicono chi siamo. Io vedo nel capitalismo un male; il consumismo sta portando alla distruzione del pianeta. Credo nella libertà e nella giustizia sociale, credo nell’uguaglianza e nella condivisione della ‘ricchezza’, credo nei diritti degli uomini e nei diritti degli animali. Credo in tutte le persone che agiscono in modo equo, giusto”.

Ho letto un’altra frase interessante nella sua nota biografica. “Credo che il controllo del linguaggio sia il più significativo fattore per resistere alla colonizzazione, all’invasione e all’oppressione”. Le chiedo di spiegarci meglio anche questa frase.

“Chi controlla il linguaggio, controlla cosa viene discusso nel mondo. Governi, scuole, società, forze militari e altre istituzioni di potere, usano il linguaggio per controllare la gente. Una scuola liberata insegnerà agli studenti come costruire il proprio linguaggio, indicando la libertà che proviene dall’utilizzo del linguaggio per ottenere giustizia. Ma le istituzioni oppressive si assicureranno che il linguaggio sia usato come propaganda – un utilizzo di cui facciamo quotidianamente esperienza nel mondo militare (ad esempio nell’espressione ‘danno collaterale’). Il linguaggio via Twitter di Donald Trump è concepito per sedurre ‘ogni uomo’ essendo familiare, informale, un sermone dal pulpito mescolato a un aggressivo discorso da bar. Questa è una manipolazione del linguaggio e del pubblico, e noi dobbiamo preoccuparci delle tattiche adottate per controllare il linguaggio. Lui finge di essere come quelli che lo acclamano, ma non lo è: è un uomo molto ricco che sfrutta i propri sostenitori per sviluppare i propri personali programmi di potere. Crede in se stesso, come un imperatore. Trump è un esempio estremo, ma la scelta delle parole e il modo in cui le usiamo e le creiamo (neologismi, giochi di parole, parole ‘macedonia’, sono comuni ai social media, ormai), nutre lo stato e l’industria privata come pubblicità. Noi usiamo le parole per rimpolpare le ricerche di mercato delle aziende, e neanche lo sappiamo. Riprendiamoci il linguaggio, non lasciamo il controllo alle macchine capitaliste dell’avidità! Resistere con la pace e con le parole. La poesia può farlo”.

Quali sono le sue fonti di ispirazione? I poeti contemporanei, i classici, la ‘cronaca’?

“Sono ispirato soprattutto dal mondo naturale (gli animali, le piante, la terra). Sono ispirato dal bisogno di giustizia, di eguaglianza e di libertà per tutti gli esseri viventi (non solo gli umani). Sono ispirato dalla resistenza contro chi corrompe l’ambiente, resisto a chi opprime la vita. Sono ispirato da molti scrittori, poeti, artisti e musicisti, la lista è davvero infinita. Mi ispirano gli atti di creazione che non sono coercitivi o violenti, che restituiscono più di quello che prendono. La poetessa australiana Judith Wright ha avuto grande influenza su di me, sia la sua poesia che il suo pensiero ambientalista. Ammiro gli scrittori che hanno resistito senza ricorrere alla violenza”.

Su cosa è concentrato attualmente?

“Come ho detto, lavoro a un ciclo di poesie che usano per modello la Dante-Symphonie e la Dante Sonata di Franz Listz. Sto scrivendo contro l’estrazione del carbone e la distruzione delle foreste; sto scrivendo contro gli abusi ai rifugiati in Australia, in Europa e nel resto del mondo. Come ho detto, Dante è una lente per scrivere contro il colonialismo in corso e contro la schiavitù nel mondo. Sto lavorando, inoltre, ad alcuni racconti per un prossimo libro che uscirà in Australia nel 2019. Sono molto interessato al racconto breve come forma, e ho pubblicato sei raccolte nel corso degli anni. Soprattutto, quello a cui sto lavorando è cercare di fermare il danno arrecato al pianeta da parte degli avidi, degli egoisti, degli indifferenti”.

Per gentile concessione pubblichiamo due poesie di John Kinsella nella traduzione di Maria Cristina Biggio

 

The Bulldozer Poem

Bulldozers rend flesh. Bulldozers make devils

of good people. Bulldozers are compelled to do

as they are told. Bulldozers grimace when they

 

tear the earth’s skin — from earth they came.

Bulldozers are made by people who also want new

mobile phones to play games on, and to feed families.

 

Bulldozers are observers of phenomena — decisions

are taken out of their hands. They are full of perceptions.

They will hear our pleas and struggle against their masters.

 

Bulldozers slice & dice, bulldozers tenderise, bulldozers

reshape the sandpit, make grrrriiing noises, kids’ motorskills.

Bulldozers slice the snake in half so it chases its own tail,

 

writing in front of its face. Bulldozers are vigorous

percussionists, sounding the snap and boom of hollows

caving in, feathers of the cockatoos a whisper in the roar.

 

Bulldozers deny the existence of Aether, though they know

deep down in their pistons, deep in their levers, that all

is spheres and heavens and voices of ancestors worry

 

at their peace. Bulldozers recognise final causes, and embrace

outcomes that put them out of work. There’s always more

scrub to delete, surely… surely? O continuous tracked tractor,

 

O S and U blades, each to his orders, his skillset. Communal

as D9 Dozers (whose buckets uplift to asteroids waiting

to be quarried). O bulldozer! your history! O those Holt tractors

 

working the paddocks, O the first slow tanks crushing

the battlefield. The interconnectedness of Being. Philosopher!

O your Makers — Cummings and Caterpillar — O great Cat

 

we grew up in their thrall whether we knew it or not — playing

sports where the woodlands grew, where you rode in after

the great trees had been removed. You innovate and flatten.

 

We must know your worldliness — working with companies

to make a world of endless horizons. It’s a team effort, excoriating

an eco-system. Not even you can tackle an old-growth tall tree alone.

 

But we know your power, your pedigree, your sheer bloody

mindedness. Sorry, forgive us, we should keep this civil, O dozer!

In you is a cosmology — we have yelled the names of bandicoots

 

and possums, of kangaroos and echidnas, of honeyeaters

and the day-sleeping tawny frogmouth you kill in its silence.

And now we stand before you, supplicant and yet resistant,

 

asking you to hear us over your war-cry, over your work

ethic being played for all it’s worth. Hear us, hear me

don’t laugh at our bathos, take us seriously, forgive

 

our inarticulateness, our scrabbling for words as you crush

us, the world as we know it, the hands that fed you, that made you.

Listen not to those officials who have taken advantage

 

of their position, who have turned their offices to hate

the world and smile, kissing the tiny hands of babies

that you can barely hear as your engines roar with power.

 

But you don’t see the exquisite colour of the world, bulldozer —

green is your irritant. We understand, bulldozer, we do —

it is fear that compels you, rippling through eternity,

            embracing the inorganics of modernity.

 John Kinsella

 

Poesia dei bulldozer  

I bulldozer lacerano la carne. I bulldozer rendono malvagie

le brave persone. I bulldozer sono obbligati a fare

quanto gli viene detto. I bulldozer fanno boccacce quando

 

strappano la pelle della terra – la terra da cui provengono.

I bulldozer sono fatti da gente che vuole anche nuovi

cellulari per giocarci, e provvedere alle famiglie.

 

I bulldozer sono osservatori di fenomeni – le decisioni

vengono prese lontano dalle loro mani. Pullulano di opinioni diverse.

Ascolteranno le nostre richieste e lotteranno contro i loro capi.

 

I bulldozer fanno a pezzi, i bulldozer sfibrano, i bulldozer

rimodellano le cave di sabbia, fanno rumori strrriiiiduli, movimenti elementari.

I bulldozer tranciano a metà i serpenti che così inseguono la loro stessa coda,

 

il presagio della fine scritto di fronte alla loro faccia. I bulldozer sono

vigorosi percussionisti, riecheggiano lo schianto e il boato delle cavità

che scavano, le piume di cacatua un sussurro nel fracasso.

 

I bulldozer negano l’esistenza dell’Etere, benché sappiano

in fondo ai loro pistoni, in fondo alle loro leve, che tutto

è sfera e cielo e voce del turbamento degli antenati

 

nella loro pace. I bulldozer approvano le cause finali, e accettano

le conseguenze che li rendono disoccupati. C’ è sempre altra

boscaglia da eliminare, di sicuro…di sicuro? O trattori cingolati continui,

 

O lame a S e U, ognuna ai loro ordini, le loro abilità. Condivisi

come i Dozers D9 (dalle benne innalzate verso gli asteroidi in attesa

di essere scavati). O bulldozer! la vostra storia! O quei trattori Holt

 

che lavoravano le tenute, O i primi lenti carri armati che devastavano

il campo di battaglia. Interconnessioni dell’Essere. Filosofi!

O i vostri Costruttori – Cummings e Caterpillar— O grandiosi Cat

 

noi siamo cresciuti alla loro mercè, consapevoli o no – praticando

sport dove la foresta cresceva, dove voi scorrazzavate una volta

abbattuti gli alberi maestosi. Voi innovate e cancellate.

 

Dobbiamo essere edotti della vostra mondanità— compartecipata alle società

per creare un mondo di orizzonti infiniti. È un duro lavoro di squadra, che ferisce

un eco-sistema. Nemmeno si può pensare di affrontare da soli alberi secolari ad alto fusto.

 

Ma sappiamo del vostro potere, del vostro pedigree, della vostra pura cruenta

inclinazione. Scusate, perdonateci, non dovremmo trascendere, O dozer!

In voi c’ è una cosmologia – abbiamo urlato i nomi dei topi giganti

 

e degli opossum, dei canguri e dei formichieri spinosi, dei mangianettare

e dei bocca di rana che dormono di giorno e che voi uccidete nel loro silenzio.

E ora stiamo di fronte a voi, supplicanti eppure resistenti,

 

a chiedervi di ascoltarci oltre il vostro grido di guerra, oltre la vostra etica

del lavoro da contrapporre a tutto ciò che ha un valore. Ascoltateci, ascoltate me

non ridete delle nostre rappresentazioni, prendeteci seriamente, perdonateci

 

l’incapacità di comunicare, l’affannarci sulle parole mentre voi oltraggiate

noi, il mondo come lo conosciamo, le mani che vi nutrirono, che vi forgiarono.

Non ascoltate quei funzionari che hanno tratto vantaggio

 

dalla loro posizione, che hanno portato i loro uffici a detestare

il mondo e sorridete, baciando le minuscole mani dei bambini

che riuscite appena a udire mentre i vostri motori rombano con forza.

 

Ma voi non cogliete lo squisito colore del mondo, bulldozer –

il verde è per voi irritante. Comprendiamo, bulldozer, sì –

è la paura che vi attanaglia, che si espande nell’eternità,

   accogliendo le sostanze inorganiche della modernità.

 

Maria Cristina Biggio

(traduzione da The Bulldozer Poem, di John Kinsella)

 

 

Drowning in Wheat

They’d been warned

on every farm

that playing

in the silos

would lead to death.

You sink in wheat.

Slowly. And the more

you struggle the worse it gets.

‘You’ll see a rat sail past

your face, nimble on its turf,

and then you’ll disappear.’

In there, hard work

has no reward.

So it became a kind of test

to see how far they could sink

without needing a rope

to help them out.

But in the midst of play

rituals miss a beat — like both

leaping in to resolve

an argument

as to who’d go first

and forgetting

to attach the rope.

Up to the waist

and afraid to move.

That even a call for help

would see the wheat

trickle down.

The painful consolidation

of time. The grains

in the hourglass

grotesquely swollen.

And that acrid

chemical smell

of treated wheat

coaxing them into

a near-dead sleep.

 

Affogare nel grano

Erano stati avvertiti

in ogni fattoria

che giocare

nei silos

poteva portare alla morte.

Si sprofonda nel grano.

Lentamente. E più

ti dimeni tanto peggio è.

‘Vedrai un ratto passare oltre

la tua faccia, agile nel suo territorio,

e allora tu sparirai.’

Là dentro, lavorare sodo

non ha nessuna ricompensa.

Così diventava una sorta di test

vedere fino a che punto potevano sprofondare

senza bisogno di una corda

per aiutarli a uscire da lì.

Ma nel mezzo dei rituali

del gioco qualcosa sfuggiva – come quando

entrambi saltavano dentro per risolvere

il diverbio

su chi sarebbe andato per primo

e dimenticando

di attaccare la corda.

Fino alla cintola

e temendo di muoversi.

Chè perfino gridare aiuto

avrebbe visto il grano

sprofondare più in basso.

Il doloroso consolidamento

del tempo. I chicchi

nella clessidra rigonfia

in modo grottesco.

E quell’odore

chimico acre

del grano trattato

che li persuadeva gentilmente

alla quasi morte del sonno.

 

Drowning in Wheat è tratta dal volume con lo stesso titolo (Picador, 2016) che raccoglie più di trent’anni di poesia di John Kinsella

Copyright ©John Kinsella 2016

(traduzione inedita di Maria Cristina Biggio)

 

*

What is the value of Dante, the Divine Comedy in your poetic work? What is the value of Italian culture?

Dante is pivotal to me in complex ways. Dante’s poetry is a lens to the human world, to human interactions, which I apply to the world as it is now. It is not the only lens, but it is a lens. I have published a version of the the Divine Comedy set in the Western Australian wheatbelt, which was entitledDivine Comedy: Journeys through a Regional Geography, and which appeared in a selection in Italian translated by Maria Cristina Biggio, and also a new book of poems based on the English artist-poet William Blake’s drawings and paintings that were based on Dante’s Divine Comedy — that book of mine is entitled On the Outskirts (2017). I am now working on a third volume of poems based on the Divine Comedy as interpreted in the music of Franz Liszt. Dante is never exhausted! My concerns are human justice, but always in the context of environmentalism — I see hell, purgatory and paradise in terms of the damage we do to the environment, and the responsibilities of conservation and respect. My family and I love Rome, which – though not the city of Dante as such – figures prominently in my recent poetry and will be a site — a location — in the new work in which I am engaged, that uses the music of Franz Liszt. I take Dante to many places!

Help us understand Australian culture. Are there many important poets and writers? What role does the poet have in Australian society?

Australia is a cosmopolitan country that sometimes pretends it isn’t cosmopolitan. Aboriginal culture and community are strong in Australia, despite the efforts of colonial governments to steal Aboriginal lands and attack their cultures. Aboriginal culture and people are strong and resistant. Aboriginal cultures are rich in creativity, and there are very fine Aboriginal writers such as Kim Scott, Alexis Wright, Lionel Fogarty, Charmaine Papertalk-Green, Tony Birch, and many others. I am a strong believer in Indigenous land rights and social rights. I feel that the Australian government has failed to do enough to respect Indigenous culture. Whether one is indigenous or non-indigenous, it’s vital to respect Aboriginal culture and land rights. As someone who does not have Aboriginal heritage, but has benefited from living on Aboriginal land, I feel that I should speak about this. There is a role in Australian society for the poet — in my opinion, this role is very much as a critic of the wrongs of government, healing the wrongs done by colonialism, speaking across difference between people and their communities. I see the poet as someone to disrupt and also to heal — to oppose and bring together. Australia needs to embrace poets.

In your work, aesthetic excellence blends with ethical strength. Is poetry always transmitting values, in your opinion?

Yes, I see no point in poetry that doesn’t do something — seek to bring positive change. Poetry that is decoration and entertainment is of no interest to me.

I read in your biography an interesting phrase: ‘I am against nationalism and the centralized nation-state – which I see as the root of many evils’. Can you explain us better?

I am an anarchist vegan pacifist. I believe in the rights of individuals and their communities to define who they are, not in the state – not for government and corporations to control us, nor to tell us who we are. I see capitalism as an evil – consumerism is leading to the destruction of the planet. I believe in liberty and social justice, I believe in equality and sharing of ‘wealth’, I believe in human rights and animal rights. I believe in all people being treated fairly.

I read another interesting phrase from your biography. ‘I believe that the’ control ‘of language is the most significant factor in resisting colonization, invasion, and oppression. I ask you to explain this sentence as well.

Those who control language control how we discuss the world. Governments, schools, companies, the military, and other institutions of power, use language in specific ways to control people. A liberated school will teach students how to make language, to show the freedom that comes with being able to utilise language to gain justice. But oppressive institutions will ensure language is used as propaganda – the sort of stuff that we experience daily from the military (e.g. ‘collateral damage’). Donald Trump’s Twitter language is designed to appeal to ‘everyperson’ by being familiar, pulpit-like sermonising mixed with aggressive bar-room talk. This is manipulation of language and audience, and we need to be aware of the tactics of control being used. He pretends to be like those who follow him, but he’s not – he’s a very wealthy man using his supporters to forward his own power agendas. He believes in himself, like any emperor. Trump is an extreme example, but the choice of words and how we make words (portmanteau words and neologisms and puns are a common part of social media now), feeds the state and private industry like advertising. We use our words to feed company market-research without even knowing it. Let’s take back language, let’s not cede control to the capitalist machines of greed! Resist with peace and words. Poetry can do this.

What are your sources of inspiration? Contemporary poets, classics, chronicle?

I am mostly inspired by the natural world – by animals, plants, the land itself. I am inspired by the need for justice, equality, and liberty for all living things (not just humans). I am inspired by resisting those who would damage the environment, by resisting those who oppress life. I am inspired by many writers, poets, artists and musicians – the list is endless. I am inspired by the act of creating in ways that are not exploitative, that give back more than they take. The Australian poet Judith Wright was a big influence on me in both her poetry and her environmentalism. I admire writers who have resisted without being violent.

What are you currently working on?

I am working on the new cycle of poems I mentioned, that use Franz Liszt’s Dante Symphony and Dante Sonata as their template. I am writing against coal mining and the destruction of forests; I am writing against the abuse of refugees in Australia, Europe and around the world. As I’ve said, Dante is a lens for writing the ongoing colonialism and slaveries of the world. I am also working on the new short stories for my next book of stories due out in Australia in 2019. I am very interested in the short story as a form, and have published six collections over the decades. Mainly, what I am working on is trying to stop the damage being done to the planet by the greedy, the selfish, and the indifferent.

Gruppo MAGOG