26 Ottobre 2020

“Si è addentrata nell’orrore più solenne”. Il poeta omaggia “Jackie” Kennedy

Più lo studio, più Saint-John Perse, poeta troppo grande per essere per tutti, a disposizione, in libreria – è latitante dall’editoria nostra, d’altronde, che lecca il rasoterra delle vendite, vergine alla vertigine – mi appare inafferrabile, la cruna delle contraddizioni. La sua vita è ostentatamente stretta tra il ‘selvaggio’ e il mondano, tra l’epopea privata, difesa, e quella pubblica, tra la solitudine, claustrale, caustica, e la politica. Nato tra i palmeti delle Piccole Antille francesi, Saint-John Perse – nome fittizio di Alexis Leger – studia a Bordeaux e cresce a Parigi, in città. Mentre ascende agli alti ranghi della diplomazia, agli “affari esteri”, si fa inviare a Pechino, dal 1916, dove lavora ed esplora, “viaggia nella Mongolia esterna e attraverso il deserto del Gobi, in automobile, poi, a cavallo, verso l’Asia Centrale”. Soprattutto, scrive il suo capolavoro, in aurea anarchia: “A un giorno di cavallo da Pechino può recarsi in un piccolo tempio taoista abbandonato dove scriverà Anabase” (Romeo Lucchese). Prima di essere nominato “Direttore di Gabinetto del ministro degli Esteri Aristide Briand”, il poeta naviga, spesso in solitaria, tra le isole del Giappone, poi in Messico. Saint-John Perse, cioè, è nella Storia – la fa, per altro, almeno fino al 1940, quando è costretto a lasciare Parigi, sotto scacco nazista, e vola negli Stati Uniti – ed è altrove; scrive poemi di sgargiante assolutezza, pare un uomo imperturbabile, compassato e compassionevole, indifferente, forse. Quando è omaggiato con il Nobel per la letteratura, nel 1960, pubblica Chronique, che attacca così, tra i primi versi, “Ed è uno scempio d’interiora, di visceri, su l’intero spazio illuminato del Secolo…”. John F. Kennedy lo invita, il 20 gennaio del 1961, a festeggiare la sua elezione a Presidente degli Stati Uniti: il poeta lo raggiunge, ma subito dopo vola alle Antille, visita le Bermuda, attratto “dalla singolarità geologica e dall’ambigua bellezza di quella vegetazione”. L’anno dopo accetta un secondo invito da parte di Kennedy, per poi recarsi in Camargue e sui Pirenei “alla ricerca di un grande rapace europeo in via di estinzione, il Gipeto barbuto”. Vedete: non c’è confine tra il Presidente americano e il rapace europeo, tra le comodità del cocktail e le ruvide pendici della catena montuosa. Ancora una volta, sempre, Saint-John Perse alterna il mondano, la frequentazione con i ‘grandi del mondo’, alla ritrosia, le gite di giorni tra i monti, il contatto con l’animale e lo sconcertante. Già da questi pochi rilievi biografici si comprende perché la sua opera sia ignifuga all’esegesi, accolga accoliti prima che lettori. Il primo febbraio del 1964 la rivista “Vogue” pubblica un omaggio del poeta a Jacqueline Kennedy: il presidente era stato ucciso poco più di due mesi prima. Il testo, finora inedito in Italia, è tratto dalla raccolta delle Œuvres complètes del poeta – curata da sé medesimo – per la ‘Pléiade’ Gallimard. “L’uomo ha raggiunto l’innocenza della bestia… Bestia e cacciatore passano insieme il guado d’una quarta dimensione”, scrive il poeta in una raccolta di quegli anni, Uccelli, illustrata da Georges Braque. “Jackie” appare come una figura scalfita sul tronco d’ambra della Storia, e tra il Novecento e l’era di Eschilo o dei re non c’è brivido di distanza. (d.b.)

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Omaggio a Jacqueline Kennedy. Consacrazione di un lutto

Quando le Furie dei drammi greci fanno irruzione sul palcoscenico moderno per indagare la natura umana che si trova ai limiti dell’umanità, sembra quasi che decidano di risparmiare tra tutte una preda designata, solo per poterla poi meglio torturare, e per usarla come testimonianza della forza umana nel momento della prova più difficile.

Jacqueline Kennedy è stata la vittima vivente del dolore, un dolore incessante che tuttora abita dentro di lei. Su questo nobile viso la fatalità ha imposto la maschera della tragedia, e il fulmine del dramma vi ha inciso i più maestosi tratti dell’eroismo. È stata grande di fronte alla prova, di una grandezza muta, che la consacra pubblicamente, ma che la rinchiude al tempo stesso, sul versante più intimo del lutto, nell’abissale solitudine di una vedova.

Vittoria alata le cui ali sono state strappate, si è addentrata nell’orrore più solenne. Accanto all’immagine insanguinata del Presidente martire, per sempre il suo profilo si staglierà nell’astro nero del lutto: venerabile figura velata nella storia di un popolo, sposa tragica, madre che tiene per mano due figli offerti alla nazione.

Quale lezione prodigiosa, la forza d’animo che il suo cuore spezzato ha saputo trovare nel momento più fragile e vulnerabile! Chi mai potrà pensare al destino di questa donna, senza essere sopraffatto dall’emozione e dal rispetto?

Saint-John Perse

*testo tratto da, Saint-John Perse, “Œuvres complètes”, Gallimard, 1972; traduzione italiana di Giulio Rovellini

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