28 Agosto 2019

Quando Steinbeck giocava a fare 007 a Parigi (e scriveva favole stucchevoli)

Avviso ai lettori: dietro la candida storia – di fatto, il soggetto di un film della Disney – alligna una vicenda degna di 007. Il preludio, poi, è una camera matrimoniale delle torture. Partiamo dall’innocente vicenda. 31 luglio 1954: “Le Figaro” pubblica Les Puces sympathiques. Una innocua favola per bimbi. La trama è questa: uno chef di nome Mr. Amité gestisce, a Parigi, lungo la Senna, non lontano da Place de la Concorde, un ristorante. Il suo sogno è aggiungere una stella Michelin al già sontuoso menù. Proprio quel giorno, fa visita al ristorante un feroce critico culinario; lo chef e il suo gatto prediletto, Apollo, geniale nell’assaggiare le vivande, cercano, dopo l’inevitabile disastro, di ottenere l’agognata stella. Insomma, una profezia di Ratatouille con il gatto al posto del topo.

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La favola, decorosa quanto banale, viene pubblicata per nobiltà di firma. L’ha scritta John Steinbeck, arcinoto autore di Uomini e topi e di Furore, l’uomo che ha forgiato l’immaginario americano, dai cui romanzi sono tratti i formidabili film di Elia Kazan e John Ford, ornato, al tramonto dell’ispirazione, con il Nobel per la letteratura, nel 1962. Il racconto, che nella versione inglese si chiama The Amiable Fleas, è stato trovato tra le carte del Ransom Centre, Austin, Università del Texas, da un cacciatore di documenti, ed è pubblico sullo “Strand Magazine”, rivista specializzata in inediti (anche se sono briciole) di gradi firme. Alla lieta novella ha dato spazio pressoché tutta l’ecumenica stampa anglofona, giocando sul paradosso: lo scrittore della depressione, il cronachista della crudeltà umana, si dà allo sketch comico.

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Rewind. Cosa ci fa a Parigi, nel 1954, John Steinbeck? L’appartamento affittato da Steinbeck era in Avenue de Marigny, in un palazzo non troppo lontano dall’ambasciata degli Stati Uniti, vicinissimo al prestigioso ristorante Laurent. Nel 1950 Steinbeck aveva sposato l’ultima moglie, la terza, Elaine, attrice, texana, più giovane di dodici anni. A Parigi, insieme a lei, c’erano i due figli, Thomas e John. Entrambi avuti da Gwyn Conger, donna fascinosa e sfuggente, che lo scrittore impalma nel 1943, dopo aver divorziato da Carol Henning. Il matrimonio con la fatata Gwyn dura cinque anni, un certo numero di adulteri e grandinata d’infelicità. L’anno scorso il libro allestito dal giornalista Douglas Brown, My Life with John Steinbeck by Gwyn Conger Steinbeck, ha illuminato quegli anni. Pare che lo scrittore non volesse figli – rubavano spazio alla scrittura –, vampirizzasse la moglie – “Come molto scrittori, aveva diverse vite, in ognuna era vizioso, in ciascuna era un re. Da quando si svegliava a quando andava a letto, dovevo essere la sua schiava”. Nelle memorie, al netto del patetico – “Un amore tremendo ci univa. Il mio amore per John era tale che senza esitazioni ho rinunciato a tutto per lui, è stato un errore. Quando John flirtava con altre donne, soffrivo, ma ho accettato” –, ci sono scene degne di un romanzo. Come questa: “Non ha mai pianto per me. Non ha mai pianto per i suoi figli. Non ha mai pianto per qualcuno. Ma ha pianto per un topo chiamato Burgess. John era un sadico… avrebbe liberato Burgess in mezzo a un mucchio di invitati, godendo nel sentirli urlare e scappare”.

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Nel 1954, lo scrittore che amava i topi più degli uomini, in cerca di ispirazione, roso da un matrimonio fallimentare, scrive la favola culinaria centrata sul gatto. Il 12 giugno aveva portato il figlio John, che chiamava “Cat”, in un ristorante sulla torre Eiffel, per festeggiare i suoi otto anni. Quella notte scrive il racconto che sarà pubblicato, tradotto in francese, un mese dopo. In quei giorni scrive un ricordo del fotografo Robert Capa, grande amico morto a fine maggio in Indocina, poi un pezzo sulla pesca lungo il fiume Oise, eternato da Cézanne e Van Gogh. Insomma, fa il giornalista.

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Che cosa ci facesse davvero Steinbeck a Parigi, al di là della crisi narrativa e della ricerca della pace familiare, lo azzarda il “Daily Beast” con un titolo che incendia: Did Novelist John Steinbeck Spy for the CIA in Paris? Il cronista fa leva su un dato indubitabile. Il 28 gennaio del 1952 John Steinbeck si mette al servizio della Cia. Lo fa rivolgendosi direttamente al capo dell’Intelligence, Walter Bedell Smith, già ambasciatore statunitense in Russia, conosciuto nel 1947. Pochi giorni dopo, il 6 febbraio 1952, è lo stesso direttore della Cia a rispondergli: “Ho molto apprezzato la sua offerta… certamente, potrebbe esserci d’aiuto, tenendo occhi e orecchie aperte a ogni sviluppo politico nelle aree in cui viaggia, indicandoci ciò che di significativo osserva e che potrebbe essere degno di un rapporto. Sarebbe utile, se può, parlarne insieme a Washington, per capire in che modo perfezionare questa assistenza”.

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In tale labirinto di controllori e controllati, resta da dire che durante il viaggio in Unione Sovietica Steinbeck, scrittore ritenuto ‘di sinistra’ per via dei suoi romanzi – ma ostile ai totalitarismi – era tenuto d’occhio dal Kgb, e che nel marzo del 1954, prima della trasvolata parigina, l’Fbi produce una nota informativa sui movimenti del futuro premio Nobel. Steinbeck: Citizen Spy è un libro, pubblicato nel 2013, in cui Brian Kannard sintetizza – e un po’ estremizza – i rapporti tra lo scrittore e la Cia, che danno all’avventura parigina un sapore viziato. Anche quando si limitano a scrivere una favola, gli scrittori, spioni per costituzione narrativa, fanno paura. Oppure, semplicemente, giocano a fare le spie. (d.b.)

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