22 Settembre 2019

“Io sono appartato & estroverso, mi assicuro che le cose siano sicure”: John Kinsella dialoga con Emily Brontë. Una poesia inedita da “Insomnia” (con un’autoglossa dell’autore)

Una tempesta non prevista dal meteo. Un barometro che segna con precisione millimetrica lo sbalzo costante della pressione atmosferica. Ogni cosa d’improvviso esposta all’oscura minaccia di una fantasmatica tempesta che incombe sulla nostra capacità/incapacità di credere alle potenzialità catastrofiche della sua devastazione. La tempesta che “si sta avvicinando / no, è sempre qui” diventa il leitmotiv di qualcosa di umbratile e spaventoso, che continua ad oscillare tra interno/esterno, reale/irreale, affermato/negato, stagnante eppure dirompente come il “turbine di vento forte e scintille” che “ci fa fremere fino all’attrito”. Nel piccolo/grande spazio delle quartine, la tempesta acquista via via lo statuto del perturbante: qualcosa di incontrollato che continua ad accrescersi “sopra e sotto di noi”, qualcosa di percettibile e cumulativo nella sua ripetitività eppure celato, segreto, inconscio, ambivalente. L’unheimlich freudiano-kinselliano-brontiano, con il suo prefisso un anteposto ad heimlich—che ha in sé la radice di tutto quel che è casa-patrio-nativo-abituale-intimo—fa trapassare il noto e il familiare nel suo contrario. Qualcosa che si sottrae alla nostra piena comprensione e tuttavia capace di ingenerare angoscia e terrore per l’orribile furia degli elementi o delle passioni distruttrici che possono abbattersi sulla casa e sull’abitare, su quanto è consueto e ci è noto da tempo. E che è pertanto indagabile sia sul piano dei sentimenti umani e dei fenomeni psichici frutto dell’inconscio, sia in termini di filosofia estetica, giocando un ruolo chiave nella sfera delle emozioni umane.

Sotto l’effetto perturbante della fantasmatica tempesta su Jam Tree Gully, lo spazio interno close and warm, senza più asse né centro, trapassa nel suo opposto e in tutto quello che, dice Schelling, doveva restare celato, ignorato, ed è invece affiorato. Il poeta “appartato”, il grande iniziatore, si fa viandante “estroverso”. Mette in atto per tutti una vigilanza insonne e luminosamente umana sulla più vasta fragilità di quanto – cose, persone, animali e luoghi amati – si trova all’esterno. Lascia entrare nello spazio aperto dei propri versi l’eco della viva phoné di Emily, la cui voce rocciosa continua a scandire il ritmo tempestoso o calmo della vita. I “no” della gigantessa dallo sguardo visionario—più che mai rivolto a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine—si intrecciano alla voce accorata di Kinsella. Il testo si fa intertesto, l’univocità plurivocità, la parola viva dell’oggi diventa coralità che freme più umana grazie all’energia dislocante della poesia, capace di dar voce alla pura presenza delle cose, portate ai nostri occhi in una sorta di cortocircuito fisico ed emotivo. I versi, duttili nel movimento nelle quartine, cercano contrasti, assonanze, sospensioni, tracce segrete che conducano a uno svelamento di più significati e a una moltiplicazione di senso del reale, scardinando al contempo il significato unico e la figura autoriale. Lo spazio terzo intertestuale diventa struttura percettiva, habitat da preservare, locus amoenus o luogo delle delizie dove può ancora svolgersi la trama del mondo naturale circostante. Dove i fili dell’habitus respirante del poeta, che sono strumento di comunicazione e trasmissione della memoria e dell’ethos, possono dipanarsi e riavvolgersi attorno all’altro da sé, colmando la distanza tra il proprio e l’altrui con una parola semi-altrui, in un gioco perpetuo di rimandi, sovrapposizioni, variazioni. Il paesaggio intertestuale diventa luogo dei vincoli umani necessari al canto d’amore e dolore del dire essenziale e più dicente kinselliano, che riesce così a lambire una più umana linea collettiva della profonda relazione  che corre tra la vita, la morte e il linguaggio, intessendo un fragilissimo legame, sempre pronto a spezzarsi, tra poesia e responsabilità individuale e collettiva, tra interiorità ed esteriorità come contrapposizione di quel che è estraneo alla nostra coscienza e quel che le è proprio. Ma anche tra l’apparenza e l’essenza delle cose che si manifestano nella loro ambivalenza in ogni aspetto della vita. Il dire kinselliano, necessario e urgente, si spinge così verso quel cambiamento e quell’azione indispensabili al farsi-mondo della parola per poter rifondare il nostro abitare, dove le cose possono finalmente appartenersi reciprocamente ed è possibile l’identità del non-identico. Le parole diventano via via semplici parole della terra e di una casa comune. Parole separate dalle loro radici numinose, nelle quali il poeta di Perth può vedere cose differenti e opposte entrare in una prismatica relazione originale, vedendo i contrari dissolversi, poesia e verità essendo sinonimi (Char). Dalla china scoscesa di Penistone Crags, la voce di Emily si fa evidenza e percorso. Pronuncia nell’oggi la dura roccia e l’amata brughiera dello Yorkshire, accogliendo nella terra rossa delle fenditure delle cime più alte le acacie spinose di Jam Tree Gully. Intanto, nel lucore dorato della cintura del grano australiano, le radici degli eucalipti kinselliani continuano a ‘velare e a svelare’ il ‘contesto originale di uno scrivere apocalittico’ nell’ancora troppo esteso Purgatorio del mondo.

“Dov’è l’anima della bambola dalle fattezze umane che incute terrore con il suo sguardo sinistro?” si chiedeva Rilke. “Dov’è l’anima del nostro mondo contemporaneo dalle perturbanti fattezze disumane?” si chiede Kinsella nella dilagante crisi dell’essere, nel consumismo globale che depreda e consuma dissennatamente spazi e risorse della terra che sono di tutti, lasciando invece miseramente ai margini del superfluo la poesia, l’arte, la bellezza? Con l’abituale vocazione intertestuale, l’eminente poeta ambientalista australiano scrive nella nuova silloge INSOMNIA il proprio atto di resistenza contro una compiacente visione del mondo che non vede o non vuol vedere la vanità di un mondo effimero che rincorre, costi quel che costi, mode, fama, successo, prestigio sociale, benessere, e sembra non saper più scegliere tra l’apparire e l’essere. Nell’angosciosa condizione odierna di comoda o incosciente sospensione sulla soglia tra certezze ormai crollate e l’inadeguatezza o l’insufficienza degli interventi necessari a contrastare gli effetti sempre più catastrofici del cambiamento climatico sul pianeta terra, Kinsella chiama a raccolta nella propria arca o arco spaziale (Space Arc and Space Ark è il titolo di una toccante poesia inclusa nella silloge), le amate voci di Emily Brontë e Judith Wright, continuando a trarre sangue poetico e morale dal pan degli angeli dantesco (qui attraverso l’interpretazione di Liszt nella sua Dante Sonata, nella quale il virtuosismo del compositore tenta di trascendere la fisicità del suono, di renderlo un veicolo fluido e trasparente, adatto a trasmettere il lamento delle anime dell’Inferno e la gioia della anime beate secondo il messaggio poetico della Divina Commedia). Con INSOMNIA, non del tutto a sorpresa, Kinsella porta alla nostra riflessione un passo illuminante e commovente tratto dalla Critica della ragion pura, nel quale Kant ci ricorda che al di là delle parole stanno le cose e al limite delle parole accade il mondo. Proprio sulla soglia della parola, nel suo limite, il dire kinselliano sollecita un sapere, una ragione delle cose che è oscillante e vaga, ma c’è. Si interroga su come e cosa possiamo davvero conoscere e sull’al di là del linguaggio che è la storia vivente di questa ragione che ognuno, parlando e vivendo, frequenta e promuove, come sa e come può. “Naturalmente–ci soccorre Carlo Sini—anche questo dire è una storia, un modo per rimodellarsi nel mondo e rimodellare il mondo. A che fine? Per quello che, secondo Whitehead, è il fine di tutte le nostre azioni e di tutte le nostre storie: per vivere, anzitutto; poi per vivere bene; quindi per vivere meglio.” (mcb)

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Critica della ragion pura 

(Sezione II, pag.36)

[…] “Infatti, se sottraete a poco a poco dal vostro concetto empirico d’un corpo tutto ciò che vi è di empirico, il colore, la durezza, la mollezza, la pesantezza e la stessa impenetrabilità, resta tuttavia lo spazio che esso (che ora è del tutto svanito) occupava, e che non può essere soppresso. Così, se togliete via dal vostro concetto empirico di ciascun oggetto, corporeo o incorporeo, tutte le proprietà che l’esperienza vi insegna, non gli potete nondimeno togliere quella, per cui lo pensate come sostanza, o aderente a una sostanza (sebbene questo concetto abbia una determinazione maggiore che quello di oggetto in generale). Spinti dalla necessità con cui questo concetto vi si impone, dovete dunque convenire che esso ha la sua sede nella vostra facoltà di conoscere a priori”.[…]

 

Emily Brontë Storm Poem: Jam Tree Gully

                         January 2018                   

The storm isn’t here,
it isn’t predicted. And yet
the barometer’s
needle has cast its lot —

down past the leaf, even,
down to the floor —
all is stagnant, no, a tremble of door
& window, ants moving in —

I am withdrawn & extrovert,
making sure things are
secure. Nature is life, & a bout
of high wind and sparks stirs

us to friction — what can
be destroyed needs following-
up with acts of conservation.
The storm is approaching —

no, it is always here,
building above & below us,
though skies remain clear.
No, the blue slightly feathers.
John Kinsella

(from Insomnia, Picador, 2019)

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Poesia sulla tempesta di Emily Brontë: Jam Tree Gully

                                    Gennaio 2018

La tempesta non è qui,
non è prevista. Eppure
l’ago del barometro
ha fatto la sua scelta—

a picco oltre il simbolo-foglia, fisso,
a picco verso il pavimento—
tutto è stagnante, no, un tremito di porte
& finestre, formiche che entrano.

Io sono appartato & estroverso,
mi assicuro che le cose siano
sicure. La natura è vita & un turbine
di vento forte e scintille ci fa fremere

fino all’attrito – quel che può
essere distrutto deve essere sostenuto
con azioni di conservazione.
La tempesta si sta avvicinando—

no, è sempre qui,
si accresce sopra & sotto di noi,
sebbene i cieli restino chiari.
No, il blu leggermente si offusca.

(traduzione di Maria Cristina Biggio)

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Autoglossa di John Kinsella 

“I have been writing poems ‘after’ and ‘in response to’ Emily Brontë’s poems since I was a teenager. Insomnia contains a number of my ‘Emily Brontë poems’. This poem seems to me to be about inner and outer lives. I am very much an ‘outdoor’ person, who loves to be in nature, and yet I see so much from my window as I work. I see skies brewing and the storm not breaking, I search for the predicted storm and do not find it, but then I find storms in myself, especially in response to the mistreatment of the natural world. Emily Brontë’s poems have always struck me as being so visceral, so earthy, so exposed to the elements. They don’t just described weather, they are weather! Jam Tree Gully is very different from the moors that Emily wandered, and I am cautious not to link them in a kind of ongoing colonialism, but I know the moors, and actually got core work on my ongoing ‘Emily Brontë poem cycle’ done when we were staying at Ponden House, West Yorkshire, in 2011, so the landscape the intensity of earth and skies is in there, but not as a displacement of what’s here, in the Western Australian wheatbelt. Here is here, there is there, but they are linked in terms of the health of the biosphere, and also the harm we do to it wherever we are. Even when the skies look clear, the storm is within us, and even when we are told there’s a storm, it’s also not there if we interpret or see it in different ways. I have always been fascinated by paradox, ambiguity, contradiction, and tautology. How different places and times and outlooks can converse, but not overlay and occupy and consume each other”. (J.K.)

Ho scritto poesie ‘alla maniera di’ e ‘in risposta alle’ poesie di Emily Brontë fin da quando ero un adolescente. Insomnia include alcune mie ‘poesie di Emily’. Questa (sulla tempesta) mi sembra sia sull’interiorità e l’esteriorità dell’esistenza. Sono davvero una persona che ama stare ‘all’aperto’, in mezzo alla natura, e tuttavia vedo così tanto dalla finestra mentre lavoro. Vedo cieli in fermento e tempeste che non si abbattono, cerco la tempesta prevista e non la trovo, ma poi trovo le tempeste in me stesso, specialmente in risposta alla devastazione del mondo naturale. Le poesie di Emily Brontë mi hanno sempre colpito per essere così viscerali, così terrestri, così esposte agli elementi. Non descrivono appena il tempo metereologico, sono il tempo stesso! Jam Tree Gully è molto diversa dalla brughiera in cui Emily amava vagare, e faccio molta attenzione a non collegarle in una sorta di perdurante colonialismo, ma conosco la brughiera, e in realtà il grosso del lavoro sul mio ininterrotto ‘ciclo di poesie di Emily Brontë’ è stato realizzato quando stavamo alla Ponden House, nello Yorkshire Occidentale, nel 2011. Così il paesaggio, l’intensità della terra e dei cieli sono tutti là dentro, ma non come una dislocazione di quel che è qui, nella regione wheatbelt dell’Australia Occidentale. Qui è qui, laggiù è laggiù, ma essi sono collegati sotto il profilo dello stato di salute della biosfera, e anche del danno che le arrechiamo, ovunque noi siamo. Anche quando i cieli sembrano chiari, la tempesta è dentro di noi, e anche quando ci viene detto che c’è una tempesta, essa non è davvero qui se la interpretiamo o la vediamo in modi diversi. Sono sempre stato affascinato dal paradosso, dall’ambiguità, dalla contraddizione e dalla tautologia. Da come luoghi differenti e tempi e prospettive possano dialogare, ma senza sovrapporsi, occuparsi e distruggersi gli uni con gli altri”. (trad. di mcb)

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Eminente poeta ambientalista, John Kinsella (Perth, Australia Occidentale) è Fellow of Churchill College (Cambridge University) e Professor of Literature and Environment (Curtin University). È stato insignito di prestigiosi premi e ha pubblicato svariate raccolte di poesia. Si ricordano: Drowning in Wheat: Selected Poems, Sack, Armour, Shades of the Sublime & Beautiful, Divine Comedy: Journeys through a Regional Geography. In Italia ha pubblicato una selezione di poesie dal volume Divina Commedia: Viaggi attraverso una geografia regionale (traduzione a cura di Maria Cristina Biggio, con prefazione di John Alfred Scott, disegni di Urs Jaeggi, Raffaelli Editore, 2014). Kinsella è inoltre presente nel Blog di poesia della RAI, nella rivista online Pangea e nel Quaderno Lavori (a cura di Maria Cristina Biggio), nell’Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea (Raffaelli, 2017). L’ultima raccolta di poesia, finora inedita in Italia, di cui qui si presenta un testo, si intitola Insomnia (Picador, 2019).

*In copertina: John Kinsella fotografato da Tracy Ryan

 

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