26 Agosto 2019

In superficie. “Ciò che mi rendeva triste era che non avrei più potuto amare o essere amata da nessun altro, mai più”. Janet Hobhouse, una grande scrittrice

«Ciò che mi rendeva più triste riguardo alla mia morte era che non avrei mai più potuto conoscere, amare o essere amata da nessun altro, mai più. Avevo sprecato tante occasioni e avevo alcuni rimpianti. Avevo ricevuto una buona mano di carte e ne avevo gettate via troppe. Ma avevo amato molto ed ero stata amata, e alla fine e cioè ora, era l’unica cosa che contava» (Janet Hobhouse)

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Un gioco di geometrie, fra scacchi del pavimento, scarpe, calze, gonna.

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Per la copertina dello splendido «memoriale» di Janet Hobhouse, Le furie, da poco ripubblicato da Neri Pozza, non c’è il volto di una donna a introdurre l’autobiografia feroce e intensa della scrittrice americana, morta a poco più di quarant’anni.

Il collant rigato e sbarazzino, le calzature a pois, la minigonna fantasia che fascia i fianchi e il gioco di luci e ombre su un fondo quadrettato è tutto: la seduzione quasi infantile creata dall’immagine racconta già abbastanza.

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Il fulcro della narrazione è infatti il rapporto fra una madre ‘incapace’ e una figlia protettiva: Beth (la madre), viene descritta con la sua «aria di bambina graziosa, dodicenne, una bimba senza paure o responsabilità, risplendente della stessa piccola luce di innocenza tormentata che si intravede dietro la maschera di Marilyn Monroe, la stessa espressione dolce e confusa di fanciulla buona e gentile intrappolata nella polpa di una bellissima pesca che si ammacca facilmente».

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La scrittura densa della Hobhouse attraversa con lucidità diverse figure femminili presenti nel libro, nel tentativo di aggrapparsi a dei modelli di donna attraverso cui crescere e ritrovarsi.

Per fare i conti con se stessa, con la propria storia familiare, sapendo già che non le è rimasto più molto da vivere.

Ma il bianco e nero della copertina non sono vuoto ed oscurità, ma teatro di figure: cerchi, linee, rettangoli, punti, incontri.

Janet aveva amato molto ed ero stata amata. E alla fine, ci ha lasciato scritto, questo è stata l’unica cosa che ha contato.

Elena Paparelli

Gruppo MAGOG