16 Giugno 2019

Festeggiamo il “Bloomsday” con le superbe porcate di Joyce. 110 anni fa a Nora: “Fo**imi quando sei tutta vestita… quando indossi la vestaglia, in cucina… per le scale, al buio…”

La direttiva è una sola: acchiappare i relitti vivi del passato e goderseli con gioia. Perciò affrettiamoci a celebrare la prima erezione regalata da Nora a James, in una zona portuale di Dublino, anno del Signore in terra irlandese 1904, 16 giugno. Per la storia, Nora è Nora Barnacle di vent’anni e James è James Joyce, di anni ventidue.

Poi succederanno cose meno importanti, verrà creata una certa Mollie e anche gli studenti di liceo impareranno cos’è il monologo di Mollie in Ulisse mentre il marito di lei esce a spasso il 16 giugno e bla bla poi ancora bla ma non ci sarà mai con questi pudichi chiari di luna sentimentale un solo professore che faccia leggere agli allievi le lettere di miele e di fuoco di James alla fidanzata Nora, quando i due avevano l’età che consente di dire tutto: tranne che la luna è sacra, perché la luna è puttanella dei poeti.

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Oggi, 16 giugno, è quindi impossibile tradurre una lettera per festeggiare Ulisse senza sbirciare come sono già state messe in italiano e online le letterine carnali di Joyce alla fidanzata. Allora tanto meglio, si riparte da capo a tradurre. Siccome disponiamo di strumenti scientifici per scrutare l’ombelico di James, grazie alle raccolte di lettere tradotte da Mondadori e dal Saggiatore, resta da fare la cosa migliore: leggere l’inglese con gioia e comunicarlo tutto. Una delle lettere meno note risale al 16 dicembre 1909 quando la relazione con Nora era un neonato di cinque anni. Godetevela. Qui un repertorio delle “James Joyce’s Love Letters to His ‘Dirty Little Fuckbird’” pubblicate dalla Paris Review.

Andrea Bianchi

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Dublino, 16 dicembre 1909

Mia cara bimba,

finalmente mi hai scritto! Devi aver portato a esasperazione la tua piccola fighetta matta, hai fatto troppo con furia, se sei arrivata a scrivermi una lettera così come quello che ho appena letto che è senza capo né coda. Quanto a me, amore, sono arrivato al traguardo, altro che ‘venuto’, sono proprio ‘arrivato’ tanto che dovresti passare e ripassare la lingua su di me, su quel lui-di-sotto che è me stesso, e farlo per un’ora prima che lui s’incazzi abbastanza e allora che lui s’è intostato potrai riporlo dentro di te, per non parlare poi di darci dentro di nuovo e velocemente finché non ci rimanga bloccato, là in fondo dove l’avrai cacciato. Quanto a me, ho lavorato professionalmente, così a lungo e con tale costanza con lui-di-sotto da aver paura di guardarlo e vedere cos’è diventato, da lungo che era prima. Amorina cara, per favore, non sbattermi e non sbatterlo troppo quando torneremo da te. Usalo come vuoi, fa’ pure di lui una chiave per la prima notte, ma poi lascia che mi riprenda, io. Lo sai a questo punto che devi far tutto tu, amorina, perché io ora sono come lui-di-sotto, siamo soffici-e-piccoli tanto che te lo assicuro, non c’è bimba o ninfa in tutta Europa, eccetto la mia amorina sull’isola d’Irlanda, che si metterebbe di buzzo bono fino a farmi zampillare insieme a lui-di-sotto. E allora, amorina, scopami quando sei tutta vestita con tanto di cappello e veletta, la faccia tagliata da freddo vento e pioggia e magari con gli stivaletti infangati, certo calzerai anche quelli, soprattutto perché poi terrai le gambe larghe il giusto mentre io me ne sto bellino e seduto e tu t’avvicini alla mia sedia e pum-mi-monti e vai su-giù poi mostri le mutandine, dovrebbero essere possibilmente quelle che ti dice la moda dell’anno col pizzo ben in vista, e il mio cazzo si conficca bello rigido nella tua fica, però va bene la cosa si potrebbe fare anche mentre te ne stai comoda sulla spalliera del divano. Scopami nudo con il tuo cappello e le calze, sul pavimento, indorata con un fiore, cavalcandomi come un uomo, su un imponente destriero. Scopami indossando la vestaglia (spero tu abbia quella bella) senza niente sotto, aprendola all’improvviso, e mostrandomi petto e cosce e schiena e pretendendomi a te sul tavolo della cucina. Fatti fottere da dietro, capelli sciolti al vento del profumo che arriva dalle tue mutandine rosa ben aperte svergognatamente là dietro e mezze calate sul culo che tò! eccolo finalmente. Scopami se riesci, accovacciata, con i vestitini in su, grugnendo come una giovane scrofa che fa i suoi escrementi, e una grossa e grassa cosa esce lentamente, serpeggiante, dal suo didietro. Scopami per le scale, al buio, come una bambinaia che d’improvviso diventi l’infermiera dei sogni del soldato mentre gli sbottona delicatamente i pantaloni, infila la mano nella patta, trova la camicia, la sente bagnata o umidiccia, la scosta e qui attenzione perché l’infermiera gli tocca le palle in fiamme e ancora molto riguardo ché qui servirà il massimo del coraggio, lei tira fuori audacemente l’arma di carne che tanto garba e comincia a stuzzicarla con gentilezza, finché l’aggeggio non si fa rigido e se lo attacca e comincia a cavalcarlo.

Basta! Basta perdio!

Sono arrivato, la festa è finita. E a proposito di arrivare, ora arriva il momento delle domande della tua ultima lettera! Quaggiù non abbiamo ancora aperto ma intanto ti mando dei poster, spero che ce la faremo ad aprire il 20 o il 21, sono cinque giorni a partire da oggi perciò non so ancora, tu considera due settimane a partire dal 20/21, poi tre giorni e mezzo se vogliamo proprio spaccare l’orologio per essere lì riuniti a Trieste. Perciò tienti pronta bimba. Ripassa il linoleum caldo e marrone splendido in cucina e porta un paio di tendine, di quelle semplici e rosse che usiamo per far più scuro in camera di notte. Poi prendi una sedia semplice semplice, quella preferita dal tuo pigrissimo amante che ti scrive maialate. Fa’ queste cose amorina e una volta che saremo laggiù non ti lascerò mai una volta da sola in cucina, nemmeno una volta da sola in una settimana, starò lì a far tutto che per me è leggere, ridere a crepapelle, sfumazzare e guardarti come imbambolato mentre cucini e certo soprattutto: parlarti ancora e ancora. Come sarò felice! Come fossi al massimo, o Dio del cielo! Le parole del nostro futuro a Trieste saranno italiane: i figlioli, il fuoco, una bona mangiata, un caffè nero, un Brasil, il Piccolo della Sera, e Nora, Nora mia, Norina, Noretta, Norella, Noruccia ecc ecc… Eva ed Eileen dovranno dormire insieme, pensiamo a trovare un angolo per Georgie in modo – spero – da riuscire a tenerci il nostro lettone per i lavori notturni. Mantengo e manterrò la mia promessa, amore. Il tempo se ne vola via, vola via di corsa! Voglio tornare dal mio amore, dalla mia vita, dalla mia stella che è l’Irlanda e sei tu Nora coi tuoi occhi terribili!

Cento baci, cara!

Jim

Gruppo MAGOG