19 Gennaio 2019

Iosif Brodskij scrive all’agnostico Milan Kundera: “L’arte nessuno la possiede e tu non hai capito nulla di Dostoevskij”

Mi girano le palle perché ci sono ragazzi che tengono prigioniere le loro ragazze regalando sotto Natale diari da riempire. In realtà così la donna si svuota, l’uomo non ne ha bisogno (usa altre strade) e la tiene sotto catena e sott’occhio.

Viva la democrazia tra i generi, ancora. Viva i diari da sommergere di fesserie giorno dopo giorno. Ma perché non leggiamo i diari altrui? Dico, un po’ per pigrizia e un po’ per vojeurismo? Potremmo sentirci anche migliori che ne so, leggendo che per Stendhal il massimo era farsi una milf: “13 ottobre 1808. Stile della Storia. – La gravità, la gravità… Il mio stile avrà una fisionomia tutta particolare, si burlerà un po’ di tutti, sarà esatto, e soprattutto non farà addormentare. Perché è necessaria la gravità? – Per trasformare gli storici in predicatori e fustigatori dei vizi. Vuol forse istruire, la storia? – Kings. Loro se ne fottono. Mettine in ridicolo gli strumenti, e diventerà loro difficile o impossibile ciò che hai tentato invano di render loro odioso. E io dovrei astenermi dal rubare una bella donna al marito perché lo stimato autore di nome Tacito, un tipo serio, bolla tale crimine? Che bella ragione!”.

Così ci avviciniamo al Novecento che coi diari ci dice sicuramente di più, la sessualità di uno dell’Ottocento è bella e sepolta. Ma la scocciatura non finisce qui. Va avanti. Perché nemmeno nella mia civile Inghilterra l’editoria è sana. Vendono libri quasi solo le soubrette della cucina. Gente come Nadija Hussain – e voi a dire ‘ecchiminchia è?’. Intanto. Autrice per l’infanzia. Cioè come dare da mangiare feccia alle speranze del futuro. Una che se la tira perché oggi vanno di moda i cuochi, anche e soprattutto se scrivono.

E poi. L’alternativa ci sarebbe. Ci sono anche premi Nobel della letteratura che hanno scritto per bambini. Uno tra tutti: Brodskij. Uno che scriveva poesie per i bambini americani per spiegare la scoperta dell’America, del Nuovo Mondo. “In he beginning there were just waves/ hammering at the obstacles./ The stars were starring to constant raves/ but had no Oscars”. “All’inizio c’erano solo onde/ a battere il martello sugli ostacoli./ Le stelle brillavano come feste interminabili/ ma non prendevano l’Oscar”.

Per dire. Se poi diamo ai bambini i libri dei cuochi, tanto peggio. Mancherà il brivido e la rottura. Solo Brodskij cantava ai bambini cose come “When you are a continent, you don’t mince/ words and don’t crave attention”. “Quando sei un continente, non risparmi mica/ parole e non cerchi l’attenzione degli altri”.

Caspita. Altro che le menate della diarista-cuoca-autriceperinfanzia. Ecco perché il poema per bambino Discovery di Brodskij non se lo fila nessuno e lo trovi in nota al fondo delle edizioni inglesi delle sue poesie. Meglio infischiarsene. Invece no, io prendo la birra e scrivo al telefono, sullo smartphone la traduzione di Brodskij che in Italia viene schivato. Perché di lui il lettore italiano ancora non conosce questa tirata di orecchie che fece a Milan Kundera, lo scrittore figo della borghesia avvilita nel buco della storia che prima votava Lega e dopo vent’anni  legge Houllebecq. Sempre in ritardo. Ma bene! E allora, ritardo per ritardo, vediamo che diceva Brodskij sul New York Times nel febbraio del 1985.

Gioverà tenere a mente che il testo Adelphi non lo fila perché Kundera è un suo cocco. Puliti puliti… Su Pangea facciamo palle di neve e facciamo finta che sia fango.

Dimenticavo. Da noi gli intelligentoni di Repubblica, dietro le spalle di Sofri, ebbero un refolo di questa buriana su Dostoevskij, era il 2008. Meglio rileggere l’originale.

Andrea Bianchi

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Perché Milan Kundera riguardo a Dostoevskij sbaglia 

Il saggio recente di Milan Kundera pubblicato su The Book Review (“An Introduction to a Variation”, Jan. 6) conteneva diversi punti che richiedono replica. Qualsiasi disputa sul gusto porta alla stasi. Tuttavia, le preferenze mostrate da Kundera non si basano sull’estetica quanto sul senso della storia. E sulla storia poggiamo sul solido. Terreno fermo, addirittura. Solido abbastanza da reggere contro malevoli agenti che influenzano il fato di un artista. Sufficientemente solido, forse, per immaginare che determina una postura etica come quella di Kundera. E però si scivola sui propri piedi se le estetiche che scegliamo ci rendono responsabili. Così, uno subordina l’arte alla struttura del suo credo, al sistema filosofico, agli interessi di gruppo. Alla fine, all’ideologia. L’arte però è più antica e più inevitabile di queste altre cose.

Può portare ad abbellire cattedrali, mettere le tesi in rima, dare al tiranno un anatema idoneo, magari un mausoleo.  Però l’arte nessuno la possiede. Né i suoi patroni né gli artisti. Ha dinamiche sue proprie, sue logiche, suoi pedigree. Un suo futuro.  Uno ha la sua estetica che germoglia da tutte queste cose, non dai patroni. E le sue estetiche e il suo senso della storia fanno l’arte – nessuna scorciatoia.

Una delle cose peggiori che possa capitali artisti è di percepirsi come padroni dei loro mezzi, dei loro strumenti. Ma questo è frutto di sensibilità da economia di mercato. Un’attitudine molto vicina a quella del patrono che paga il suo impiegato. Ed entrambe le cose postulano e rendono noto un linguaggio specifico (punto di vista dell’artista) o uno scopo, una volontà (da parte del patrono). Queste uscite si basano sull’esperienza di altri. Un artista smonta le concezioni dei suoi rivali. Un patrono rappresenta la commissione, denuncia uno stile o decreta il Realismo e magari degenera e imprigiona (o esilia) l’artista. In questi casi l’arte ci perde. E allo stesso modo la specie umana, che ne esce con una nozione ridotta di se stessa.

Ma se un patrono o uno Stato lo si può scusare perché non ne sa nulla, un artista (uno scrittore) invece deve render conto. Perché lui non ha le necessità storiche di uno Stato. Lui non può nascondersi dietro gli eventi. Ci sono centinaia di migliaia di persone spaesate, espatriati, boat people, senzatetto che stanno peggio dello scrittore in esilio. Non fosse che per una contraddizione in termini, lo scrittore potrebbe invocare la necessità dell’estetica. Ma questa non è un fenomeno lineare. Non ha potere retroattivo, non lo si può ammettere.

Ora senza usare superlativi, già l’economia di mercato vi indulge. Anche i topi pensano all’eternità. Anche uno scrittore stagionato sente che un soldato lo ferma in macchina, un affronto personale da parte della Storia. Così Kundera nei confronti della Cecoslovacchia nel 1968. Possiamo compatirlo, ma quando poi lui prende a generalizzare sul soldato e la sua cultura, proprio no! Paura e disgusto sono comprensibili, ma i soldati non sono emblemi di cultura e nemmeno di letteratura – imbracciano fucili, mica libri.

Il testo di Iosif Brodskij su Milan Kundera è pubblico sul ‘New York Times’ il 17 febbraio 1985

In uno scrittore che padroneggia la sua arte, incontri simili risvegliano senso di insicurezza e di qui il linguaggio della necessità storica, nulla di artistico. In altre parole, Kundera cerca qualcuno a cui dare la colpa. Confida nel suo autocontrollo, trova colpevoli quelli che non può influenzare, hanno un idioma ostile. Un idioma che lo minaccia, con la sua autostima. Ora è sfortunato, sa a chi dare la colpa. Tutte queste cose le ha perpetrate Kundera puntando il dito contro Dostoevskij.

Era il 1968. Sovietici in Cecoslovacchia. Un direttore di teatro chiede a Kundera di metter in scena L’Idiota. I libri di Kundera erano proibiti, non poteva campare. Eppure. Scrive Kundera, “lo rilessi, crepavo di fame ma nulla. Non ci riuscivo.  Era un mondo di gesti gonfiati, profondità sporche, sentimenti aggressivi. Mi faceva provare nostalgia per Diderot”.

Insomma Kundera non è il primo. Nabokov metteva Dostoevskij al livello dello sporcaccione parigino Eugene Sue (insostenibile, davvero). Erano le vedute di Nabokov, su Joyce, Faulkner e altri – senza storia, e rimarranno per sempre sulla sua coscienza.

Continua Kundera. “Perché? Era un trauma da ceco verso i Russi sovietici? No. Amavo ancora Cechov. Dubbi sull’arte? No, troppo improvvisa come cosa, senza oggettività. Era il clima di Dostoevskij. Tutto era un sentimento. Promosso a valore e virtù”.

Di qui l’invettiva. Perché il sentimento per Kundera ci porta di sotto. Lui vuole i Lumi. Non un reame con criteri di verità e spiegazioni di comportamenti – tutto basato sui sentimenti come in Dostoevskij.  Il quale giustifica tutti gli orrori, l’uomo, il suo petto e il suo sudore, con fervore lirico. Atrocità in nome del sacro amore, per Kundera.

Bene. Non è vero. Tutto al contrario. Nulla di ciò in quel reame, nulla in nome dell’amore ma della necessità storica. La quale arriva in Russia dall’Europa. L’idea del nobile selvaggio (Diderot), la natura umana malmenata dalle istituzioni, lo stato ideale, giustizia sociale e simili – nulla di simile è venuto dalle sponde del Volga

Va bene. Inefficienze degli illuministi da salotto e parassiti hanno portato allo stato di polizia. Non dimentichiamo però che Il Capitale è stato tradotto dal tedesco in russo, mica il contrario. Non è un merito dell’occidente, lo spettro del comunismo. Ma la Russia, I demoni di Dostoevskij e la guerra civile e il terrore hanno fatto resistenza. E non è finita ancora.

Questo spettro ha messo in difficoltà Kundera tra 1945 e 1968. Tutto frutto del razionale Occidente e del radicalismo emotivo orientale. Se vedi un carro armato russo in strada è merito di Diderot. Presumo. Kundera confonde la geografia con Dostoevskij e la presenza del russo lo rende insicuro. Sì è così. È un professionista Kundera. Una distorsione sentimentale sul povero Dostoevskij – sentimenti che diventano valore e verità.

Questa l’offerta di Kundera. Questa la sua gerarchia riguardo i sentimenti. Una reazione a pensieri espressi in Europa. I romanzi di Dostoevskij sono ricordi di episodi europei, il principe Myshkin torna da lì, anche le visioni di Ivan Karamazov.  Questa la fonetica del giovane cospiratore Verkhovensky.

Questo vuole Dostoevskij. Assioma – unità spirituale. Battaglia tra fede e utilitarismo, oscillare tra abisso del bene e del male. Qui c’è sporco per Kundera. Un’esagerazione, sostiene. Ma Dostoevskij non è miope come vuole Kundera. Più complesso. Meno gestibile. Kundera sente poco o nulla di ciò. Dostoevskij sorge contro gli agnostici stile Kundera. È prodotto da loro, da questi riduzionisti. E va come una furia.

Vero. Da est sono venuti i carri armati contro Kundera. Ma questi non vede che l’Occidente non ha ancora espresso una figura spessa come Dostoevskij. E perciò la colpa è della Russia. Che geografia. Per Kundera sentimenti o ragione. Per Dostoevskij la propensione umana al malvagio. I cechi mi capiranno. 1938, 1968. Che può dire Diderot? I cechi lo avrebbero fulminato. Ma prima di incensare la Ragione. Lei, lei cosa ha scoperto? La Ragione da sola può giusto articolare le conoscenze che già possiede. La storia è più vecchia di così. Ma continua – e Dostoevskij la fa andare avanti, all’interno dell’avanzata letteraria.

Kundera manca di immaginativa? Di pensieri astratti? Purtroppo no. Triste che lui e altri dell’est siano vittime della geopolitica. Dividono est e ovest. Ma per un ceco non c’è nord e sud (Polonia? Germania? Ungheria?). Certo ci perdiamo la parte tragica, ma non siamo deficienti. Non vogliamo baggianate ragione-sentimento e Diderot-Dostoevskij. Non vogliamo scegliere. C’è del pericolo in ciò. Chi sceglie si sentirà un eroe. Ma che limitazione. Quando è solo un ‘o… Oppure’.

Spesso queste decisioni ci cambiano la vita o almeno così pensiamo dopo. Retropensieri. Fatti sotto la pressione delle circostanze, le scelte limitate e iniziali ci trasformano in primitivi a caccia di archetipi. Nulla di sbagliato. Ma riduciamo il potenziale così. E allora ci spingiamo a vedere tutte le conseguenze della prima scelta. Rifiutiamo una nozione umana più comprensiva, generosa. E non andiamo lontano.

Kundera su Dostoevskij è quindi semplicemente ridondante. Se la sua idea valesse qualcosa ci troveremmo del sale. Invece non va a fondo. Che dobbiamo rispondergli? Se la letteratura ha un merito sociale questo è il parametro ottimale che ci mostra, il maximum spirituale. E qui l’uomo metafisico di Dostoevskij vale di più del razionalista ferito, di Kundera, per quanto questi sia moderno e comune.

Milan Kundera, nato nel 1929, emigra in Francia dalla Cecoslovacchia nel 1975. Tra l’altro, è autore de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Non è colpa di Kundera. Dovrebbe solo esserne consapevole come ceco vis- a-vis con Dostoevskij. Kundera è ristretto, parla per metafore sessuali. Non ci deve parlare di carri armati. Deve prevederli. In questo secolo, soprattutto. E poi. L’agnosticismo targato Lutero e Kundera non ci fa capire cosa sia il giudizio finale. Questi signori sono più severi di dio. Sentono di saperla più lunga di lui su se stessi. E da veri razionali si danno ai piaceri colpevoli, non hanno la grazia, smettono di farsi del male.

Infine. Kundera vive sul continente. Non sa osservarsi da altre angolature. Si guardano da prospettive europee per meglio apprezzarsi. L’Europa è bella stratificata e l’uomo qui è quello che Dostoevskij conosceva, stesso ambiente capitalista. E quest’uomo si espande e si percepisce come irrilevante. L’uomo europeo è così sedentario ma così nomade. Odia il confine. Sul continente tutto è definito da confini. Nazioni comunità classi tradizioni gerarchia. Da perderci la testa. Stato burocratico, nessuna contingenza. Mai un’alternativa (tranne quella est-ovest). Magari il nostro europeo diventa scrittore. Deve spezzare i confini allora. Sarà avanguardia. Ma gli altri sono in un cul-de-sac stilistico.

Chiaro. Kundera vuole essere più Europeo degli Europei che lo hanno accolto da così tanto tempo. Ora può vedere bene dentro il suo passato! Meglio che un esiliato qualunque. E può fare il maestrino dell’Europa e di chi non si accoda all’Europa e ai suoi ‘valori’. Gli siamo grati del punto di vista. Limitato. Asimmetrico. È una vittima dell’est. Gli piace il suo carnefice occidentale.  Attenzione! Diventerà anche lui carnefice europeo.

In sintesi. La civiltà tradisce, abbassa, erode ogni standard. La civiltà espelle, butta fuori liquami, degenera, si rigenera. Le parti che marciscono pagano per l’evoluzione. E poi. La purezza della vittima è cosa innaturale, una cosa artificiale. Non vale le nostre libertà. Non facciamo occhi dolci alle vittime. Appartengono a un passato snervato nel freezer dal tiranno.  Lasciate che i pesci mandino puzza. I pesci del congelatore puzzano quando sono cucinati. Kundera, un tragico della democrazia occidentale. Non  vede che la cultura muore solo se non c’è chi la padroneggia. La moralità è soppressa dai libertini come lui.

L’occidente si basa sul sacrificio. Sull’uomo che muore per i suoi sbagli. L’occidente sa battere i suoi avversari, anche quando sono interni. L’ultima guerra è stata una guerra civile. Spargere sangue non dà gioia. Non ci rende simili a Cristo. E finché si muore per un ideale, e questi ideali vivono, anche la civiltà si mantiene in salute.

È troppo presto per dire addio alla civiltà occidentale. Almeno non ora, non per Jan Palach, lo studente che dandosi fuoco si è immolato nel 1969 contro i russi invasori.  La notte in cui è piombata la Cecoslovacchia da allora è la stessa oscurità di quando Jan Masaryk è stato defenestrato dal Servizio sovietico nel 1948. La civiltà occidentale ha aiutato Kundera a sopravvivere in queste circostanze. In questa oscurità lui si è messo a ridere con Diderot e il canonico Sterne. Risate di un letterato che legge letterati – quella risata che è privilegio di uomini liberi, come le tristezze di Dostoevskij.

Iosif Brodskij 

Gruppo MAGOG