23 Febbraio 2018

Intervista a Oscar Hahn, il poeta bandito dal regime di Pinochet. A Raymond Carver disse che non avrebbe fatto carriera…

Era il 2013. Invitato all’Università Cattolica di Milano, Oscar Hahn, tra i più riconosciuti poeti latinoamericani viventi, disse due cose consecutive. Intanto. Un assunto assoluto. “La poesia non scomparirà mai perché è ciò che connota davvero l’essere umano”. La frase, astratta se pronunciata comodamente sul sofà di casa, assume un colore diverso per questo poeta. Oscar Hahn, infatti, nel 1973, in seguito al golpe militare di Pinochet, viene arrestato. “Alcune ore dopo l’11 settembre del 1973, data del golpe, giunse una pattuglia militare a casa mia e mi arrestò. Mi misero con altri prigionieri politici nel carcere di Arica e ci sottoposero a ogni forma di intimazione e di atti vessatori. Come una specie di tortura psicologica, una notte ci dissero che ci avrebbero fucilati il giorno dopo. Dopo 10 giorni di prigionia, all’improvviso, senza alcuna spiegazione, mi rilasciarono”, ricorda il poeta. Nel 1981 – ecco l’aneddoto consecutivo e tragico – il regime militare mette al bando una raccolta di poesie di Hahn, appena pubblicata, Mal de amor. “Nessuno ha mai capito perché una raccolta di poesie d’amore potesse essere pericolosa per il regime”, ha detto, maliziosamente, il poeta agli studenti della Cattolica. La vicenda di Hahn ha certi punti di contatto con quella di Boris Pasternak: perché censurare il Dottor Zivago? Perché è una storia d’amore. L’amore è ciò che terrorizza un regime. La storia sovietica lo enuncia in modo clamoroso. L’amore è una forza rivoluzionaria. persistenza_della_memoriaRilasciato dalla prigione, in quel 1973, Oscar Hahn decide di partire per gli Stati Uniti, dove ha la possibilità di perfezionare gli studi presso l’Università del Maryland. “Andai all’aeroporto con mia moglie e proprio lì cominciò una specie di film del terrore. C’erano pattuglie militari ovunque, mitragliatori alla mano, che controllavano i documenti, i vestiti e le valigie dei passeggeri… La tensione era insopportabile”, ricorda ancora Oscar Hahn, in un memorabile libro di conversazioni con Mario Meléndez, Persistenza della memoria (Raffaelli, Rimini 2017, pp.108, euro 15,00), che è lo spunto per questa intervista. Negli Stati Uniti accade la seconda vita di Oscar Hahn, il grande poeta cileno, massima personalità di Iquique, sua città natale, insieme ad Arturo Godoy, “pugile leggendario che arrivò a disputare la corona mondiale di categoria al Madison Square Garden di New York”. Come a dire che il poeta è un grande ‘incassatore’, un grande lottatore. Negli States, Hahn, che ha già incontrato Pablo Neruda – verso il quale ha un giudizio corrosivo, “quando un poeta pubblica troppo, a volte si ha la sensazione che le singole poesie non lascino vedere la poesia” – e che già conosce i ‘beat’, entra in contatto con Mircea Eliade (“Siamo diventati molto amici”), con Jorge Luis Borges, all’Università del Maine (“benché avesse fama di arrogante, con me fu molto cordiale e a tratti persino modesto”), con Raymond Carver, di cui racconta un fatidico aneddoto. “Ci incontravamo quasi ogni giorno, in un caffè. Per me era semplicemente Ray, uno dei tanti scrittori che abbondavano ad Iowa City… Un tipo molto silenzioso, che stava sempre sulla luna, ma che ascoltava con molta attenzione. Ricordo che avemmo una discussione un po’ fredda sul realismo magico, che andava di moda in quel momento. Lui disse che quel tipo di narrativa non gli interessava per niente, che preferiva fare un realismo semplice, oggettivo, con personaggi della vita quotidiana e senza giochi di prestigio né magie di nessun tipo. Gli dissi che per quella via non sarebbe giunto da nessuna parte. A Raymond Carver!”. Citato perfino nel romanzo di Roberto Bolaño, Stella distante (anche se “non l’ho mai visto di persona”, dice Hahn, “verso il 1993 o il 1994 mi spedì in Iowa il suo libro di poesie, I cani romantici”; giudizio? “Sfortunatamente prestai il libro a qualcuno che non me lo restituì più…”), Oscar Hahn è tra i grandi poeti del nostro tempo; in Italia le sue opere poetiche sono pubblicate dall’editore Raffaelli.

Come è nata dentro di lei la poesia, quando è nata l’ispirazione per la poesia, perché scrive poesia?

“Lungi dall’essere un surrealista, i versi che poi concorreranno a formare una mia poesia sgorgano in me spontaneamente, dalle profondità della psiche. Li annoto, poi li riesamino e cerco di capire cosa mi stiano suggerendo. Loro mi dicono chi sono. Su questa base inizia a svilupparsi il resto della poesia. E così è stato sin da quando ho cominciato a scrivere versi ‘validi’, ossia versi che mi sembravano un punto di partenza. Avevo 17 anni. I pochi versi che ho scritto prima di allora erano ‘volontaristici’, vale a dire, sottostavano a un progetto pre-definito. Quei primi componimenti poetici sono andati a finire nel cestino. Quanto al perché scrivo poesia, la verità è che non lo so e preferisco non saperlo. Quando uno razionalizza troppo, in fondo non fa altro che scrivere la condanna a morte della poesia”.

Nel 1973, durante il regime militare di Pinochet, la arrestano. Nel 1981 viene vietato il suo libro di poesie d’amore (come se fosse una colpa, l’amore era bandito dal regime). Partendo da questo, quale relazione esiste tra poesia e “politica”, tra poesia e storia? Tale relazione è sempre, inevitabilmente, conflittuale?

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‘Mal d’amore’: nel 1981 il regime militare cileno mette al bando questo libro di poesie di Oscar Hahn

“Non è sempre stata conflittuale. In America Latina spesso ci sono stati poeti che hanno partecipato fattivamente a un determinato regime politico. Alcuni, addirittura, hanno usato due pesi e due misure: hanno avuto un atteggiamento critico verso le dittature di destra, ma condiscendente verso le dittature di sinistra. Come qualsiasi cittadino, il poeta deve assumere una posizione critica di fronte alla realtà contingente e può anche partecipare attivamente alla vita politica, ma il ruolo della poesia non è quello di essere asservita a una specifica ideologia. Quello che deve fare è esprimere valori che trascendano il momento storico”.

Nel libro-intervista con Mario Melendez, rievoca molti incontri. Ad esempio, con Mircea Eliade, con Jorge Luis Borges e con Raymond Carver. Quale di questi incontri è stato il più significativo per la sua produzione poetica?

“Direi la mia conversazione con Mircea Eliade, perché si è incentrata su temi strettamente connessi con la poesia. Anche Borges e Raymond Carver erano poeti e narratori, con loro ho parlato soprattutto di narrativa. Mircea Eliade aveva scritto varie opere su tematiche affini alla poesia: i miti antichi e moderni, l’immaginario collettivo, il sacro e il profano o il problema del tempo, cosicché discorrere con lui è stato molto stimolante sotto ogni punto di vista”.

In Italia la percezione della poesia ispano-americana si ferma, forse, a Neruda. Cosa è accaduto nel frattempo? Quali sono le sue letture, i suoi maestri?

“Beh, sì, è un peccato che la poesia ispano-americana non sia molto nota in Italia. C’è Neruda, certo, ma ci sono anche altri poeti che meriterebbero di essere accreditati. Tra i cileni, potrei citare Vicente Huidobro, Gonzalo Rojas e Enrique Lihn, e anche altri. Ma ora ci sono alcune case editrici italiane che si stanno interessando particolarmente alla poesia latino-americana, come Raffaelli Editore di Rimini”.

Nel libro-intervista menziona grandi poeti ma anche musicisti pop (per esempio, gli Eagles), perché la poesia, credo, è onnivora. Quale poesia è possibile oggi, secondo lei, nel mondo impoetico? Come può la poesia far sentire la propria voce?

“Sin da piccolo ho sempre provato un forte interesse per la musica, sia classica che pop, cosa che traspare nelle mie poesie. Ammetto, questo sì, che la musica pop occupa un posto preferenziale, forse perché era ed è un elemento importante della mia vita quotidiana. Per quanto riguarda la seconda parte della sua domanda, la verità è che, con internet all’apice, la poesia non ha mai avuto maggior diffusione di ora. Nel computer si possono trovare migliaia di pagine contenenti poesie. Il problema è che, su quelle pagine, circolano troppe poesie di bassa qualità e questo, a lungo andare, finisce col nuocere alla poesia. Non credo che i poeti debbano cercare una diffusione di massa per i loro componimenti. Il calcio avrà sempre migliaia di spettatori negli stadi e milioni in televisione. Non è lo stesso per gli scacchi. E non credo che gli scacchisti se ne preoccupino”.

 

La traduzione italiana dell’intervista è ad opera di Marianna Marchi con la supervisione della professoressa Mercedes Ariza; il testo introduttivo è di Davide Brullo.

 

 

 

 

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