11 Luglio 2018

Incontro ravvicinato con il maschio boldriniano: fenomenologia di un uomo da aiutare

Ci vuole un poco di umanità nei suoi confronti. Anche perché, tutto sommato, fa molta tenerezza. Come il cane castrato a cui non si lesina un ossicino in più dato che, per dirla con il saggio, “Gli abbiamo buttato i coglioni nel cestino e non può neppure ingannare l’attesa della morte con una bella chiavata, sto disgraziato”.

Questa compassionevole figura – prima o poi le riserveranno uno spazio nei manuali di sociologia – è oramai un po’ ovunque. Lui è il maschio dell’epoca boldriniana. Ha poca barba perché così, se dà un bacio a una donna – sulla guancia, ovviamente –, a questa non sembri di strisciare il volto sulla carta vetrata. Non potrebbe mai, è troppo rispettoso, dolce. Se pensasse di poterle provocare delle microabrasioni con la sua peluria urticante, sicuramente avvertirebbe un repentino senso di colpa e si recherebbe seduta stante dal suo terapeuta, anzi la terapeuta, a chiedere la remissione di quell’ignobile peccato che è il testosterone: “Dottoressa, non è colpa mia, lo giuro, sono stati gli ormoni”. Povero, povero ragazzo!

Portalo a fare una passeggiata e vedrai. Sembra che indossi un abito troppo stretto, data la violenza che deve fare per contenersi. Passa una ancheggiante, tacco vertiginoso, culo robusto e tonico. Sta sfilando con gran compiacimento. Un vecchio sulla porta la guarda – anche io, com’è giusto che sia. Con il signore incrociamo lo sguardo e ci scambiamo un sorriso malizioso e complice. Palesemente l’uomo prossimo ai novanta è cresciuto in un periodo in cui, prima della televisione e dello smartphone, l’uomo pensava ancora alla patonza. Il tuo amico atteggia la bocca in una smorfia di indignazione. “Figa, no?”, gli faccio tirandogli una gomitata nello stomaco. Per un secondo resta senza fiato, poi bofonchia uno stizzito “Hai guardato tutte quelle che sono passate, tranne le vecchie!”. “Perché solo le vecchie non volevano essere guardate, fratello”. Niente da fare, non condivide. “Il tuo è lo stesso atteggiamento di quelli che dicono che una donna è andata a cercarsi lo stupro, perché indossava una gonna troppo corta”. Gli metto una mano intorno alle spalle, a costo di passare per il fidanzato. “Fratellino, tu devi rilassarti. Se guardo il fondoschiena di una, non per questo le salto addosso”. Allora parte la filippica che “le donne, nei secoli dei secoli amen, sono state considerate oggetti, merce di scambio e bla bla bla”. Che due coglioni! Questo povero ragazzo si sente in colpa per tutto ciò che è successo dall’alba dei tempi. Non capisce che è la vita a essere sbagliata e il resto di conseguenza, ma non è che per tal motivo io mi debba castrare, visto che possiedo la dote del discernimento e non vado in giro a compiere prevaricazioni nei confronti del gentil sesso. Ma so che non è colpa sua: un tempo c’erano in giro tanti figli di Ogino Knauss e dei sedili posteriori della 500, ora invece sembrano tutti usciti direttamente dell’utero in affitto della Boldrini.

Voglio dire, insomma, che il poveretto me l’hanno traviato. Questa società, e la propaganda che si diffonde da tutti gli altoparlanti, tende a farti sviluppare rimorsi per soprusi che non hai mai commesso. Un nero ti molesta e tu non puoi reagire, perché dopo il 1492 alcuni europei hanno schiavizzato della gente di colore. Una donna è mezza nuda di fronte a te e tu non puoi eccitarti, perché i tuoi bisnonni avevano delle concezioni retrograde del genere femminile. Non puoi essere un buon cristiano, con una famiglia tradizionale, due bambini, il cane, il gatto, il pesce rosso e l’amante, perché ci sono state le Crociate. Che palle!

Tu cerchi di spiegargli che le donne sanno ben difendersi da sole, nelle normali interazioni civili che non contemplino la violenza. Che se vogliono scopare lo fanno, senza cercare alcun consenso da parte del genere maschile – se non le mogli che hanno il marito cornuto e, comunque, compiacente. Niente da fare. La donna è sempre una vittima. Ci manca solo venga a dirmi che non dovrei penetrare la vagina con il membro in erezione, ma con una rosa (dopo averle accuratamente tolto le spine). Mi sta scendendo il latte alle ginocchia.

Insomma, non posso fare commenti sulle tipe che passano perché si risente, non posso portarlo in un bar a bere perché lì ci sono gli uomini cattivi “che parlano sempre di calcio e culi”. Mi dico: “Ok, magari lo porto in libreria, così si tranquillizza”. Del resto, quelli di sinistra, si sa, sono gli unici a leggere in Italia. Quelli di destra sono brutti, sporchi e ignoranti. In effetti, io puzzo sempre un po’, anche se non capisco il motivo: evidentemente, il deodorante confligge con le mie ascelle e queste gli hanno chiuso i porti in faccia.

Arriviamo di fronte alla Feltrinelli e lui sembra quasi rinato: gli piace il capitalismo franchising di derivazione comunista. “Entriamo un attimo”, mi fa, “che mi devo comprare l’ultimo di Saviano”. Questo ragazzo ha bisogno di una terapia d’urto, ne sono oramai sicuro. Gli piazzo uno sgambetto e viene giù, faccia in terra. Comincia a piangere. Porco diavolo, mi ero dimenticato: lui è un uomo sensibile. “Te l’avevo detto che Saviano porta sfiga. Chi lo compra rischia in continuazione di rompersi l’osso del collo”. Tra le lacrime mi dice: “Matteo, ti prego, stringimi, ho tanto freddo adesso”. “Senti, bello”, gli faccio, cercando di contenere i suoi slanci verso di me, “stai sereno, non hai ricevuto una scarica di mitra in battaglia”. Poi mi sento in colpa e lo abbraccio. “Tranquillo, adesso ti riporto a casa dalla mamma”. È, comunque, un ragazzo che va capito.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG