La forma specchia il contenuto, ne è l’emblema. In editoria, funziona così. Le copertine, le ‘coperte’, spesso – per eccentricità o per aderenza al contenuto narrativo – decretano il successo di un libro. La storia dell’editoria italiana è la storia di copertine indimenticabili: quelle di Ferenc Pintèr, ad esempio, o di gesti grafici immortali, come quello di Bruno Munari, oppure di invenzioni simili a quella che ha portato alla nascita della collana ‘Medusa’ Mondadori. A partire da qui, è venuto in mente con Elena Paparelli di varare la rubrica “In superficie”: leggiamo i libri di oggi ‘superficialmente’, cioè snidando i segreti delle loro copertine.
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Una foglia di un rosso brillante, come una bocca ingentilita dal rossetto. Un volto che è l’intera copertina bruna, dove le labbra quasi posate sopra raccontano di un autunno che si fa bello agli occhi del lettore. Del resto, suggeriva Albert Camus, l’autunno non è che una seconda primavera, dove ogni foglia è, insieme, anche un fiore. In maniera perfettamente speculare – sopra e sotto la foglia – così da non distogliere l’attenzione di chi guarda, il nome dell’autrice, Lidia Ravera, e il titolo del libro che è insieme didascalia maiuscola della foglia-bocca: “Il Terzo Tempo”. Accompagnato da un sottotitolo in prima persona che rende esplicita e diretta l’attrazione del sorriso sovrapposto alla lamina rubino che ne ricorda la sagoma: “Ho bisogno di pensare che non si perde la grazia. Nemmeno quando si arriva in fondo”. La malinconia della vecchiaia che non si arrende al passare del tempo è detta e messa in scena nel rifiuto del colore pastello, della lotta e del nascondimento da parte della foglia rispetto alla secchezza guadagnata una volta caduta a terra. Perché è questo che Ravera narra nel suo romanzo: l’ingresso della protagonista nella terza età e del bisogno di rinnovamento che questa le consegna, dalla paura che ne accompagna gli stereotipi più frusti, al bisogno di scoprirsi ancora una volta motore vitale di relazioni e rinnovate complicità. Del resto, la protagonista “insegna malinconia positiva”: “Soffrire da vecchi è la regola. Soltanto i vecchi speciali ce la fanno. E i vecchi speciali sono quelli che stanno bene”. L’antidoto all’avanzata implacabile di rughe e malumori, va da sé, spinge il lettore ad oltrepassare la copertina. Ma, intanto, resta la seduzione di una malia grafica sbarazzina e un po’ sfacciata come una seconda adolescenza in odore di saggezza. Il make-up all’antico topos letterario che paragona la foglia alla vita umana in termini pur sempre sofferti – grazie al gioco grafico semplice ma accattivante – riesce bene. E fa il paio con la bella pensata della giovane grafica di Brooklyn, Elena Zaharova, che, raccolte alcune foglie autunnali, ci ha scritto sopra alcune poesie per poi lasciarle cadere nei parchi della città. Foglie, dunque, come labbra maliziose sbattute in copertina, o come messaggere di liriche auliche affidate a qualche allegra folata di vento, a strappare sorrisi volanti e malinconici, ma forse soltanto un po’.
Elena Paparelli