14 Maggio 2018

In difesa della stralunata Amélie, colpevole di non essere una biliosa femminista affiliata al #metoo

Era chiaro che sarebbe successo. Il più grande danno di marxismo e scuole di Francoforte varie è di andare a infilarsi anche lì dove c’entrerebbero come i cavoli a merenda. Per esempio, nell’ultimo clamoroso caso, tra i fotogrammi di una delle poche fiabe struggenti e intense che la contemporaneità squallida e spietata abbia voluto regalarci, Il favoloso mondo di Amélie. Sia maledetta questa oscena tendenza al disvelamento, nella convinzione che togliere ogni aura di sacralità e dolcezza di sogno sia fondamentale per combattere l’obnubilamento delle coscienze.

Ecco quindi che gli amici di The Vision, che pure forniscono quotidianamente interessanti spunti di riflessione, hanno preso coraggio e l’hanno fatta fuori dal vaso. E così, grazie alla penna affilata di Sofia Torre, abbiamo tutti scoperto che la nostra adorabile Amélie sarebbe stata la rovina di una generazione di ragazze. Povera, povera ma chère Amélie, con il peccato sulla coscienza di non essere una rompicoglioni con l’hashtag del #metoo e #quellavoltache sempre a portata di social. Povera, povera, dolce ragazza che non ti senti oppressa da noi maschi patriarcali di ritorno e, anzi, sogni il Principe Azzurro, perché non sei abbastanza emancipata da fare il verso a quella borghesuccia sessantottina di tua madre e gridare “l’utero è mio e lo gestisco io!”. Oh ma petite, che “non ha amiche, non ha impulsi sessuali, non legge mai e nemmeno esce, neanche per bersi una birra”, e non sei andata a incarnare “una denuncia dell’estraniamento e della solitudine dell’individuo”.

A parte il fatto che tutte le accuse al film, analizzato come fosse un romanzo realista, o neorealista, e non una semplice fiaba qual è, sembrano non tenere conto di un concetto fondamentale per la narrazione, ovvero la sospensione di credibilità. La vita è sempre più complessa e variegata di come la si può rappresentare in un’opera. Anche un testo o un film di denuncia, per uniformare il dettato narrativo, di solito sorvola su tutti quei momenti della vita in cui l’accanito operaio rivoluzionario skazza di brutto, si masturba guardando YouPorn, si trastulla sognando una vita migliore. E Parigi, che nella pellicola ha quella placida dominante dorata, non è chiaramente la capitale europea multietnica e feroce degli scontri nelle banlieue, dei disperati che comprano abiti usati e sporchi a un euro, ma la cornice di un sogno. Ma tutto ciò è ovvio, o almeno dovrebbe esserlo. Lo sottolineo perché, proseguendo nel solco tracciato da Sofia Torre, si può giusto giungere al delirio femminista che vede in La bella addormentata una ragazza costretta a subire un bacio contro la sua volontà. Invece, una fiaba è una fiaba, come un sigaro a volte è semplicemente un sigaro.

Il punto nevralgico della critica mossa alla piccola cameriera di  Montmartre, comunque, sta nel fatto di “annullare anni di rivendicazioni femministe fornendo una rappresentazione completamente falsa e passiva della sessualità e del desiderio femminile”. E ti pareva! In sostanza, se non sei libera – come se le donne oggi fossero ancora a livello di Madame Bovary –, sei una povera stronza con il miserabile sogno di “essere la moglie casalinga e amorevole che prepara il suo famoso pasticcio di verze al premuroso consorte”. Perché la libertà è un dovere che bisogna imporsi e cucinare per il proprio uomo – non parliamo, poi, stirargli la camicia – è sottomissione e arrendevolezza. Non ci si deve concedere la fantasia di essere normali e un po’ ingenue, ancora capaci di vivere una storia non segnata dalla tristezza di questo mondo grigio. Bisognerebbe piuttosto essere come la protagonista di quel fantastico libro di Houellebecq – questo sì una pregnante analisi del nostro tempo -, Estensione del dominio della lotta, l’emotivamente devitalizzata Véronique: “Véronique apparteneva a una generazione sacrificata, come tutti noi. Sicuramente era stata capace d’amore; e avrebbe desiderato esserlo ancora, questo glielo riconosco; ma non era più possibile. Fenomeno raro, artificiale e tardivo, l’amore non può prosperare se non in condizioni mentali speciali e solo eccezionalmente compresenti, e comunque in assoluto contrasto con la libertà di costumi che caratterizza l’epoca moderna. Véronique aveva conosciuto troppe discoteche e troppi amanti; un tale sistema di vita impoverisce l’essere umano e gli infligge danni gravi e sempre irreparabili. L’amore, come innocenza e come capacità di illusione, come attitudine a sintetizzare la totalità dell’altro sesso in un unico essere amato, è già raro che resista a un anno di vagabondaggio sessuale, figuriamoci a due. In realtà, le esperienze sessuali accumulate nel corso dell’adolescenza minano e distruggono rapidamente ogni possibilità di proiezione d’ordine sentimentale e romantico; progressivamente, e molto rapidamente, si diviene tanto capaci d’amore quanto lo è una vecchia ciabatta. E di conseguenza, ovviamente, si finisce per condurre un’esistenza da vecchia ciabatta”.

E con queste parole del Maestro potremmo pure considerare chiuso il discorso, ma non senza invitare a porsi la domanda: è meglio essere la stralunata e ingenua Amélie che, malgrado il mondo e tutto il resto, ci spera ancora; o la oramai algida e devastata Véronique, per cui in fondo un cazzo vale l’altro?

Matteo Fais

Gruppo MAGOG