30 Settembre 2019

“Dopo Squillo ho inventato Dogma, il gioco in cui ti crei la tua religione”. Intervista a Immanuel Casto: i suoi giochi da tavolo scatenano querele e interrogazioni parlamentari

Sono in uscita a ottobre due nuovi giochi da tavolo, provocatori e scorrettissimi: una nuova versione del classico Squillo, dal titolo Squillo city, e uno completamente nuovo, Dogma. Ci torna subito alla memoria che, dopo l’uscita della prima edizione di Squillo, ci fu nientemeno che un’interrogazione parlamentare. Già questo è motivo sufficiente per bramare ora ogni dettaglio delle nuove creazioni.

Immanuel Casto, nome d’arte di Manuel Cuni, non è solo un game designer. È soprattutto il geniale inventore del Porno Groove: testi più che espliciti su accattivante musica dance. Ma le sue canzoni non sono solo sessualmente audaci, il che sarebbe di per sé poca cosa. Fanno scalpore soprattutto perché ogni volta vanno a scavare nelle più feroci contraddizioni della nostra contemporaneità.

Che parli di pedofilia nella Chiesa (Com’è bella la cappella), di prostituzione (Escort 25), di disturbi alimentari (Zero Carboidrati), di omosessualità (Da grande sarai frocio), del ruolo sociale delle badanti (Sognando Cracovia, in duetto con la splendida Romina Falconi, già da noi intervistata), di tecnologia (Crash, sempre con Romina), il suo stile irriverente riesce sempre a stupire e suscitare polemiche. Un cattivone, direste. Uno capace di scrivere una canzone di Natale, intitolata A pecorina nel presepe, pensando pure di farla franca. Eppure chi l’ha seguito nella sua rubrica La posta di Casto, su gay.it, sa che può elargire consigli di tal buon senso ed equilibrio come neanche il Dalai Lama.

Un’intelligenza superiore alla media e un talento creativo scatenato, imprigionati in un corpo pressoché scultoreo: chi non si lascerebbe inibire? Non io, infatti non gli risparmierò domande scomode.

Manuel, nel 2012, dopo l’uscita del tuo primo gioco, Squillo, durante una seduta parlamentare, esponenti bipartisan PD e PDL ne richiesero la rimozione dal mercato, ritenendo che promuovesse la mercificazione del corpo femminile, l’uso di eroina e varie pratiche disumane. Si arrabbiò pure Fiorella Mannoia. Squillo è in effetti molto politicamente scorretto. Basti pensare che ogni carta rappresenta una prostituta e ogni giocatore è un pappone che può potenzialmente anche ucciderla e venderne gli organi. Riguardo all’accusa di sessismo, bisogna però dire che hai reagito in modo pronto e pertinente, creando subito Marchettari sprovveduti, dedicata alla prostituzione maschile. Cosa ti è rimasto oggi delle critiche ricevute allora?

I soldi. Mi sono rimasti quelli (ride). Ho sempre ammesso con onestà che Squillo è diventato un best seller, con oltre 30.000 copie vendute, perché qualcuno ha deciso di montare un caso mediatico. E io ero lì, pronto a mungere la vacca fino all’ultima goccia. Tuttavia non era quello il mio proposito. So di essere considerato un provocatore, ma non è quello il modo in cui io ragiono. Non mi siedo al tavolo e penso “adesso voglio dare fastidio a questa categoria di persone”. Al contrario, penso “adesso voglio far sentire capita quest’altra categoria” e lo faccio intrattenendola, divertendola, o a livello artistico esprimendo la rabbia che possono provare. Il fatto che poi altre persone se ne risentano è un danno collaterale. Ma forse è proprio questo il punto: alcune persone si sono risentite proprio perché non stavo pensando a loro. Questa è stata una grande lezione per me, sicuramente più importante degli introiti: ho imparato come si gestiscono le critiche, gli attacchi, ossia non gestendoli. Nel 99% dei casi è la cosa più saggia da fare, non prestarsi alla provocazione proprio per non essere io quella vacca che viene munta. Tutti questi attacchi sono comunque stati fatti sulla base di una premessa sbagliata: la difficoltà a discernere tra realtà e finzione artistica. Si è parlato di provocazione: quando faccio divulgazione o operazioni di sensibilizzazione sto molto attento a non provocare, perché so che spezzerebbe la volontà di capire a fondo. Al contrario, in ambito artistico è un po’ come il peperoncino: se esageri rende il piatto immangiabile, usato bene rende tutto più interessante.

Sta per uscire il tuo nuovo gioco, Dogma, in cui bisogna costruire la propria religione partendo da elementi esistenti. Se per Squillo c’è stata un’interrogazione parlamentare, questa volta ci aspettiamo minimo la scomunica! O magari ne nascerà la religione universale che metterà tutti d’accordo? Puoi darci qualche anticipazione?

Non prevedo nessuna scomunica, anche perché Dogma è un gioco con una forte componente culturale. È sufficiente già il tema, in realtà, a farne un gioco provocatorio. La meccanica l’abbiamo definita di ‘pack building’: i giocatori devono costruire dei pacchetti, assemblando elementi di religioni esistenti – come spesso peraltro è avvenuto nella storia –, per crearne una nuova. Le quattro religioni che abbiamo scelto, insieme al mio co-autore Dario Massa, sono i tre monoteismi più diffusi, quindi Islam, Cristianesimo, Ebraismo, con l’aggiunta del Buddhismo. I nuovi profeti a loro volta sono le figure autorevoli più note di queste quattro religioni, assieme ad altri inventati da noi, tra cui Giovanni Paolo IX, il primo Papa dichiaratamente gay friendly. Per costruire il gioco abbiamo cercato di includere elementi riguardanti usanze, dottrine, testi sacri; in pratica di assemblare aspetti che abbiano un impatto sociale e culturale positivo o negativo. Non nego che non è stato ugualmente semplice per tutte le religioni. Io non ritengo che tutte abbiano la stessa dignità. Penso semmai che tutte le persone abbiano lo stesso diritto di professare il culto che preferiscono. Ma i culti di per sé, analizzati sul fronte della qualità di vita che portano in un paese, non li ritengo ugualmente rispettabili. Non mi faccio problemi a fare una graduatoria, personale, s’intende: per fare un esempio, per me l’Islam è meglio di Scientology, il Buddhismo è meglio dell’Islam.

È in uscita a breve anche la nuova versione di Squillo, dal titolo Squillo City, in cui la città di Milangeles fa da sfondo a una lotta per il potere, tra sesso e stereotipi culturali. Ogni giocatore-pappone prende il controllo di una fazione di prostitute, scegliendo tra russe, asiatiche, africane, americane e latine, e si sposta nella città per condurre business illegali. Ok spaccio di eroina, mafia nigeriana, gravidanze indesiderate, incidenti con il botox e così via. Ci siamo abituati. Ma, mi spieghi cosa c’entrano l’anguria e il pollo fritto? Anche perché, qualsiasi cosa io cercassi di immaginare, sarebbe probabilmente ancor peggio della realtà…

Quelli del pollo fritto e dell’anguria sono stereotipi sulle abitudini alimentari della comunità afroamericana, poco noti da noi. Un gioco come Squillo City potrebbe avere vita durissima negli Stati Uniti, nonostante il taglio dichiaratamente umoristico. L’Italia ha fama di essere un paese moralista, ma paradossalmente abbiamo più libertà di espressione artistica rispetto a quella che il neopuritanesimo del politicamente corretto concede agli intrattenitori americani. Ci sono moltissimi tabù, persino sulla comicità. L’umorismo di Squillo City non si concentra sulle minoranze, o sulle categorie considerate socialmente deboli, ma sugli stereotipi a loro affibbiati. La linea tra le due questioni è molto sottile, ma è proprio quello che rende interessante una proposta artistica, ossia il rischio. Quando facevo Loveline su MTV, uno degli autori mi disse che ero bravo a mettere la palla sul bordo del tavolo senza farla cadere. Questa per me rimane la sfida. È quello che tiene il pubblico con il fiato sospeso.

In un altro tuo gioco, Witch & Bitch, c’è una missione chiamata “Non sono razzista, ma…”, in cui le streghe devono scovare un politico xenofobo e sconfiggerlo. Una di loro però è la “bitch”, ‘puttana’, e il suo scopo segreto è quello di aiutare il politico a uccidere tutti gli immigrati presenti. Il fatto però è che questi danno tantissimi punti. Quindi, anche chi non è dalla parte del politico si ritroverà a compiere qualche omicidio… senza per questo essere razzista! Il bello quindi è che giochi con il tema di attualità, ma anche con il luogo comunque nato intorno a esso. Se ben ricordo Adinolfi si è riconosciuto nella carta ‘Omofobo’ e ha minacciato querele. Accidenti, ma quanto ti diverti?

La premessa generale è che nelle mie creazioni musicali e soprattutto ludiche cerco sempre di evitare di dare un giudizio esplicito, di fare dei pezzi a tesi. Piuttosto che spiegare a chi gioca che una certa cosa è sbagliata, preferisco mettere a nudo un determinato pensiero, un determinato comportamento. Preferisco dare ai giocatori la possibilità di interpretarlo in prima persona, in quello spazio sicuro e sacro che è la finzione artistica. Witch & Bitch è un gioco a tema fantasy con delle componenti da gioco di ruolo, collocato in uno scenario satirico, in cui ho inserito quello che secondo me è un po’ il peggio della società attuale. I giocatori hanno però la possibilità di schierarsi da una parte invece che dall’altra. Confermo che Mario Adinolfi si è riconosciuto nel personaggio dell’omofobo e ha prontamente fatto un post chiedendo di togliere l’illustrazione. Mario Adinolfi è un ottimo esempio del discorso che ho fatto all’inizio. Ho sempre detto che la comunità LGBTQI ha fornito un ufficio stampa gratuito estremamente efficiente al leader del Popolo della Famiglia. Lui provoca e migliaia di persone, con grandissimo zelo, commentano e condividono assicurandosi che le sue parole arrivino ovunque. Ma questo è quello che vuole. Significa fare il suo gioco. Esattamente come lui ha fatto il mio, dandomi visibilità.

Di recente è uscita anche una nuova versione del Monopoli, Miss Monopoly, contro il gender gap, in cui le donne guadagnano di più. Quando passano dal via, a esempio, ritirano più soldi. Personalmente lo trovo offensivo e discriminante. E questo in teoria è un gioco serio! A tuo parere, rispetto ai tuoi giochi satirici, è più o meno offensivo?

Io non faccio parte della categoria sulla quale il gioco si propone di fare sensibilizzazione, ossia le donne, quindi il mio parere ha un peso relativo. Da osservatore esterno lo trovo quantomeno bizzarro e probabilmente offensivo, proprio perché vuole essere un gioco pedagogico. Io ho sempre definito il mio un intrattenimento per adulti. I miei giochi non sono delle opere morali, non sono dei testi didattici. Intendiamoci, sono comunque contento che questo gioco esista, perché ci offre un’occasione di dibattito, e mai ne chiederei la messa al bando ma, se decidessi di affrontare lo stesso tema, lo farei sicuramente con ironia e ribaltando completamente la prospettiva. Farei un gioco in cui se sei donna è tutto molto più difficile, ti pagano meno, ti fanno molestie sessuali, ti licenziano in gravidanza! Tra i tanti motivi per cui, dal mio punto di vista, la finzione artistica è sacra è perché in essa trovano collocazione anche gli aspetti meno accettabili in una buona società, ma che fanno parte dell’essere umano. Nel gioco il divertimento spesso non nasce dal fatto che ridi, ma che stai provando emozioni negative, tensione, rabbia, frustrazione. Se nel gioco trova posto la guerra, perché non dovrebbero anche la discriminazione, il razzismo, il sessismo, tutto il peggio dell’essere umano? Ma il tutto sperimentato in un luogo sicuro, un po’ come sulle montagne russe.

Viviana Viviani

Editing di Matteo Fais

Gruppo MAGOG