03 Novembre 2018

Il volo non decolla!, annuncia un Caronte dalla faccia finnica. Reportage notturno dall’aeroporto di Helsinki, con i morti che mi mordono la clavicola mentre resto imbambolato dalla magia del cartellone delle partenze

Caronte ha una faccia finnica, con tinta anglosassone, lavora all’aeroporto di Oulu, la ‘Capitale della Scandinavia Settentrionale’, e con flemma invidiabile annuncia – in finlandese e in inglese – che il volo per Helsinki delle 8,35 locali è soppresso. Troppa nebbia rende insicuro il volo, dice – io faccio i conti, 2 novembre, ricorrenza dei morti. Forse sono loro, i morti, mentre si stropicciano gli occhi, ad aver creato questa trincea di nebbia.

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Fossimo in Italia, si sarebbero divorati il Caronte finnico in un boccone. Invece. I finlandesi, educatamente, si disperdono – cullano l’imprevisto come una possibilità? – rari turisti anglicizzati chiedono spiegazioni. Lui sorride, si scusa, non può far nulla: da cinque anni, dice, la compagnia per cui lavora, la Norwegian Airlines, non annulla un volo.  Lo dicevo, ci sono di mezzo i defunti. Il gate d’imbarco è vuoto, si dona al vuoto, come la bocca di Caronte senza lingua.

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A proposito. Cerco il cimitero di Oulu. Non lo trovo. Non ho mai visto cimiteri in Finlandia. Forse si mangiano i morti. Forse, appena morto, tocchi il morto sul naso e lui scompare.

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Finlandia
Di fronte a Oulu c’è l’Isola dei Beati, con case come questa…

Nel giorno dei morti mi accorgo che Oulu è piena di bambini. Vedo una bimba al semaforo. Cerco i genitori. Non ci sono. Lei non pare allarmata, ha la cartella in spalla, gli stivaletti da sci. Poco dopo, vedo diversi bimbi – intorno ai dieci anni – sull’autobus. Soli. L’autobus si avventa contro l’oscurità con l’autorevolezza di un felino. Riflessione rapida. La criminalità, al Nord, non c’è – è ridicolizzata dal gelo. Le ville, che confinano con il bosco, non hanno cancelli – neppure quelle che sorgono in città. I genitori responsabilizzano i bambini. I bambini sono autonomi, sono piccoli adulti – hanno già seppellito i genitori.

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Di fronte al teatro di Oulu, sul mare, esordisce un ponte: sfoga un’isola, con case di legno, gialle, rosse e azzurre. Sembra l’Isola dei Beati – o della beatitudine dei beoti. Un’area che è un esercizio d’eremitaggio: il mare sembra una tavola di bronzo liquido su cui incidere i propri pensieri più remoti e irrisolti – sperando che qualcuno, per noi, li traduca in melodia.

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Gli aeroporti non sono tutti uguali. A Oulu si aprono spazi con giochi per i bambini, enormi cuscini, un pianoforte con l’indicazione, ‘suonami’. Non è un aeroporto – sembra il luogo dove i morti si scambiano opinioni sulla vita passata.

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A proposito: dove sono i morti? A volte mi pare che i morti servano a ricordarci che la vita va vissuta. La stazione eretta, di per sé, non è una suggestione estetica sufficiente – ci vuole l’al di là per mutare l’intenzione in gesto, per sostanziare un dialogo in promessa. I morti ci ricordano – poiché li ricordiamo – che si vive lungo l’arco di generazioni, che il corpo è un quaderno, gli occhi una missione alfabetica.

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Da Oulu città all’aeroporto dilagano boschi di betulle – avamposti abitati, nella fuga boschiva – qualche bicicletta con il fanale che rinnova l’oscurità. Le automobili, quando sfrecciano, sembrano il grido dei morto, che ti toccano la spalla – non siete mai stati toccati alla spalla dai morti?, ne avete mai assaggiato il fruscio di fragola e di enigma?, qualcosa ti si appoggia sulle clavicole, queste ali ossificate, e chiede dizione di volo. A un certo punto, dall’oscurità, un cubo di luce. Una biblioteca. In mezzo alla foresta, poco lontano dalla strada. Chi viene, lì, a leggere? Una falange di volpi intellettuali?

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Non è vero che gli aeroporti sono anonimi: la transumanza umana affascina, e ciascuno è cibo per l’altro. Al bar, gioco a parole crociate con i volti. Penso: e se quel tizio X – corpulento, barba rossa, occhi finnici – parlasse con la tipa Y – magra, di nordica eleganza, occhiali, bimba a tracolla – cosa accadrebbe, quali vite, quali percorsi, quali viaggi? Helsinki, notte rapinata dal neon. Bisognerebbe fare così. Far vacanza nell’albergo dell’aeroporto. Poi sedersi al bar, caffè lungo e cornetto – il mix costa piuttosto caro, intorno ai 7 euro – e giocare a parole crociate con gli uomini. Poi avviarsi verso il cartellone luminoso delle partenze, profezia del Giorno dei Giorni. Singapore, Tenerife, Santo Domingo, Riga, Bangkok, Nuova Delhi, Amsterdam. Rollio del nome sotto la lingua – godere del nome. Nulla è più perfetto di un nome, snocciolato lettera per lettera: chi l’ha detto che non si possa visitare un nome, con i suoi laghi, le città, i rapaci rilievi rocciosi?

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Nei cessi dell’aeroporto di Helsinki trillano gli uccellini. Preliminare: la natura di una casa è riassunta nella dignità del bagno. Nei bagni degli alberghi finlandesi è possibile trovare delle piccole saune, ma non c’è il bidè, prerogativa specificamente italiana. Gli italiani hanno, tendenzialmente, una faccia come il c**o, ma amano lavarselo accuratamente, il c**o. All’aeroporto di Helsinki il bagno è addobbato con immagini di betulle, e mentre fai la pipì senti il trillo degli uccellini che gocciola da alcuni altoparlanti. L’effetto fisiologico e filologico è eccellente.

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Non si dorme in aeroporto, neppure a piena notte, perché altrimenti chi lo custodisce tutto questo traffico di umani, ciascuno con la sua magnifica foga di amare, di sbriciolarsi tra le mani di qualsiasi altro?

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Qualcuno vede i morti sulle ali dell’aereo, altri li portano dentro la valigia o nel taschino della camicia. Spesso i miei morti – l’unica proprietà di cui possiamo effettivamente dichiarare possesso – stanno sul palato, tra i denti – ne rimordo il ricordo. Da tempo, però, preferisco occuparmi dei morti degli altri. I morti non hanno paura di farsi amare – così, finalmente, suonano, come acqua sulla schiena. (d.b.)

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