28 Luglio 2018

Houellebecq e gli Incel, i nuovi luddisti. Oggi la vera forma di classismo è tra chi scopa e chi è escluso dal liberalismo sessuale. Il grande scrittore francese aveva previsto tutto

Sono intorno a noi. È sufficiente guardarsi intorno. Di solito, chi lo fa prova istintivamente una sorta di repulsione nei loro confronti. Capita come tra gli indigenti: il povero non vuole circondarsi di altri che versano nella sua stessa condizione. Rivedere sé stessi in una figura di perdente non genera empatia, ma, piuttosto, un malessere che si tramuta in astio verso chi ci ricorda quale posto occupiamo nel teatro dell’esistenza.

Gli Incel, dall’inglese involuntary e celibate, ovvero chi si ritrova privo di una qualunque compagnia femminile al di là della sua volontà, stanno diventando un serio problema sociale. Prima, erano semplicemente gli “sfigati di turno”. Adesso, questa massa umana moralmente devastata si incontra su internet per consolarsi, ma soprattutto per approntare un piano di rivalsa contro il mondo da cui si sentono respinti, quello delle donne e dei maschi che riscuotono un certo successo presso il gentil sesso. Avviene sempre così, quando una cerchia di persone vessate e umiliate si rende conto di essere in numero tale da poter incutere timore su chi la opprime. È il processo alla base del cosiddetto “trionfo populista”: l’ex media borghesia oramai proletarizzata, e precedentemente messa ai margini dalle élite colte e parioline, quando diventa consapevole di poter andare a formare una forza considerevole – quando prende coscienza di sé, per dirla con Marx –, alza la cresta e fa sentire la sua voce. Così è per gli esclusi dalle magnifiche sorti progressiste che avrebbero dato vita alla tanto sbandierata rivoluzione sessuale.

Le libertà dell’universo capitalistico, è noto, generano mostri, soprattutto perché non si profilano mai come assunzioni del libero arbitrio ma come imposizioni della società. Nessuno oggi è, per dir così, libero di avere una vita sessuale varia e stimolante. Piuttosto, questa gli è imposta come necessità per una vera affermazione sociale. In tal senso, il libertinaggio è come l’automobile. In principio appare come un magnifico ritrovato che permette a chiunque di percorrere in un tempo limitato ampie distanze. Di lì a breve, si rivela una sorta di schiavitù a cui risulta impossibile sottrarsi. Senza macchina non si può trovare un lavoro e, se la si possiede, ci può essere chiesto di trascorrervi buona parte del tempo per onorare la nostra giornata di fatica a centinaia di chilometri dal luogo di residenza.

Per farla breve, oggi chi non scopa è uno scarto su cui pesa la stessa vergogna che in altre società gravava sulla donna di facili costumi. L’incapacità di imporre la propria potenza nella realtà senza confini del libero mercato trova la sua cartina di tornasole, oltre che nella mancanza di lavoro, nell’essere sessualmente inattivi. “Chi non lavora non fa l’amore”, cantava un Celentano in vena di fare il marxista da quattro soldi. Oggi si potrebbe dire che “non si lavora e non si fa l’amore”, perché si appartiene alla categoria dei nuovi dannati del mondo globalizzato.

Come ha di recente sottolineato Adam Kirsch, sul “New York Times”, tutto ciò era già stato preconizzato nell’opera del solo vero cantore del nostro tempo, Michel Houellebecq – altro che Philip Roth! Leggetevi Estensione del dominio della lotta e Le particelle elementari. Prestate particolare attenzione ai personaggi di Tisserand e Bruno. Niente di meglio che riportare la disamina del Maestro posta, non a caso, nella parte centrale del suo primo libro, a fare da baricentro al testo e più in generale a tutte le sue opere successive: “Decisamente, mi sono detto, nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato ‘legge del mercato’. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Sul piano economico, Raphael Tisserand appartiene alla schiera dei vincitori; sul piano sessuale, a quella dei vinti. Taluni vincono su entrambi i fronti; altri perdono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli”.

Tale scompiglio e confusione sono appunto ciò che vediamo dietro alcune delle ultime stragi che hanno funestato in particolare l’America – strano no? Proprio la patria del capitalismo. Qualche idiota parlerà di odio verso le donne e femminicidio. La cosa in realtà è molto più sottile e, infatti, colpisce anche il maschio dongiovannesco. I generi non c’entrano. Sempre citando Marx – il grande inascoltato, soprattutto da parte di quelli di sinistra –, è all’economia che bisogna guardare. Gli incel sono i nuovi luddisti: questi ultimi distruggevano i moderni mezzi della produzione industriale, così come i primi sfogano violentemente la loro frustrazione su chi incarna il modello supremo del libertarismo post sessantottesco. I loro gesti efferati ricadono, in fondo, nella dimensione del simbolico.

In tutto ciò, come al solito, è difficile comprendere, al di là della inascoltabile e trita logica del “la violenza è sempre sbagliata”, chi abbia ragione e chi torto. L’aspetto positivo è vedere che la struttura non tiene e il sistema perde consistenza. L’utopia rivela ogni giorno il suo lato distopico. Che possa partire da qui il “ritorno del represso” di marcusiana memoria? Che finisca per essere il sesso, finalmente, il vero motore della rivolta anticapitalista? Una cosa è certa: niente di ciò che potrebbe accadere si verificherà in modo indolore. La rivoluzione continua a non essere un pranzo di gala.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG