30 Marzo 2020

“Che quei figli di pu**ana non capiscano i miei libri mi rende pieno di gioia…”. Escono le lettere di Hemingway. Storia di un uomo che vuole azzannare la vita

Non vedevano l’ora di sparargli in fronte. Il successo di Addio alle armi, tre anni prima, era stato straordinario. Troppo. Hemingway mette in quel libro, letteralmente, la vita e la morte. Nel 1928 la seconda moglie di EH, Pauline, partorisce Patrick: taglio cesareo, diciotto ore di doglie, ogni sospiro pareva l’ultimo. A fine anno, poi, il padre. Si ammazza. Quando consegna il manoscritto del romanzo, Hemingway si fa spedire dalla madre la pistola con cui si è ucciso il padre, specie di terribile memento mori. Ma quell’anno, appunto, in molti non vedono l’ora di sparare in faccia a Hemingway.

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1932, Morte nel pomeriggio. Per chi non ascolta la campana degli hemingweiani di latta, quello è il più nel libro di Hemingway. Passò il 1931 tra la pesca al largo di Key West, la fiesta di San Firmin (la settima a cui partecipa), il flirt con Jane Mason, “bellissima moglie di un funzionario della Pan American” (Fernanda Pivano). R.L. Duffs, dal trono del “New York Times”, il 25 settembre 1932, lo scuoia con delicato bisturi. “Ci si potrebbe chiedere perché Mister Hemingway ritenga che i lettori americani siano tanto interessati al combattimento dei tori da comprare e sorbirsi un libro di 517 pagine sul tema. Ma questo significherebbe mettere il carro davanti ai buoi, o meglio, lasciare che sia il toro a sventolare il panno rosso sul ceffo del matador e non viceversa… La realtà è che il tanto celebrato stile Hemingway non è risolto come nei romanzi o nei racconti. Mister Hemingway, in questo libro, è colpevole del grave peccato di aver scritto frasi che devono essere lette almeno due o tre volte per capirle… La sua non è arte, nel senso che ricaviamo dalle pagine finali di Addio alle armi – è mero fuoco d’artificio… Mister Hemingway tenta di sorprendere il piccolo pugno di lettori che ancora vogliono ancora essere sorpresi… Il libro, insomma, troverà posto negli scaffali dei drogati di Hemingway. Non creerà altri drogati di Hemingway. Azione e dialogo sono le armi migliori di Hemingway – diluiti in filosofia e proclami, indeboliscono di molto lo scrittore”.

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La Cambridge University Press ha annunciato la pubblicazione del volume quinto delle Letters of Ernest Hemingway. Nei paesi culturalmente avanzati fanno così: dei ‘classici’ pubblicano tutto, panni sporchi compresi, in edizioni utili, reperibili. Il volume uscirà a giugno, copre gli anni 1932-1934, sono raccolte lettere, tra gli altri, a Maxwell Perkins, John Dos Passos, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald. Come aperitivo il “The Observer” – firma il pezzo Dalya Alberge – ne pubblica una che riguarda l’edizione inglese di Morte nel pomeriggio. Hemingway è incavolato perché l’editore inglese vorrebbe ‘sanare’, addomesticare per il pubblico UK alcune zone del libro. “Prenderò le mie decisioni sanguinarie rispetto a ciò che voglio o non voglio scrivere, senza che il mio libro venga stravolto”, scrive EH all’editore Jonathan Cape.

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La lettera è del 19 novembre 1932, Hemingway ha appena incassato la stroncatura americana di Morte nel pomeriggio. E sbotta: “Non capisci che se devono essere fatte modifiche o tagli sono io che devo farli, che non mi farò rovinare il libro? Se vuoi pubblicare altri miei libri o meno è necessario che lo sappia molto chiaramente. Tu non sei il mio vicario. Se il Papa è il vicario di Cristo è perché Nostro Signore non è qui sulla terra a prendere le decisioni. Non sono Cristo (questo è ovvio) e finché sarò su questa terra prenderò io le decisioni sanguinarie su ciò che voglio scrivere… Se dici che il libro non sarà edito perché contiene certe parole, affari tuoi. Se credessi che alcune parole non fossero importanti, che possano essere modificate senza alcuna perdita di senso, significato o effetto, le avrei cambiate o avrei lasciato uno spazio bianco. Che io sia dannato se voglio un vicario che purga i miei libri per compiacere le librerie”.

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Il problema del libro? Agli inglesi non garbava la locuzione “vadano a fottersi”; avrebbero preferito “si vadano a impiccare”. Si fottano, appunto. In una lettera precedente, ad Archibald MacLeish, Hemingway se la prende con il recensore del “New York Times”. “Che quei figli di puttana non capiscano il mio libro mi fa stare bene – significa che sono troppo avanti per loro”.

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L’anno dopo, nel 1933, Hemingway esce con Winner Take Nothing. Quattordici racconti, tra cui quel piccolo classico, Un posto pulito, illuminato bene. La vita continua a torcersi come una vipera. Quella ventenne con cui aveva una storia, Jane Mason, va in follia per lui, è gelosa, cerca di uccidersi, “si frattura la spina dorsale gettandosi dalla finestra ed è costretta a una sedia a rotelle” (Pivano). Alterna i safari africani alle gite in mare: nel 1934 ordina la sua barca, la “Pilar”, scrive poco, fa l’ammutinato alla letteratura, lo attira la rivolta alla ribalta, alle fotografie in posa; per una volta, almeno, vuole che la vita lo azzanni. (d.b.)

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