16 Aprile 2019

L’inquisitore Bloom contro Tolkien e C.S. Lewis. Ovvero, un secolo fa esce il fantasy di culto “A Voyage to Arcturus”: traducetelo!

Di due anniversari il primo ci fa arrabbiare, il secondo sorridere; il primo è cultura, l’altro pettegolezzo. Comincio con l’altro. E comincio così. Harold Bloom sapete tutti chi è. Il guru della critica letteraria, il grande inquisitore del Canone occidentale, sommo studioso di Shakespeare e autore di libri francamente importanti – e divertenti da leggere, cosa non da poco – come L’angoscia dell’influenza, Rovinare le sacre verità, Visioni profetiche, Il Genio. Esattamente quarant’anni fa, Bloom, gonfio di tracotanza shakespeariana, scrive un romanzo. Il romanzo s’intitola The Flight to Lucifer, è stampato da Farrar, Straus and Giroux calcando in copertina una immagine dal De Occulta Philosophia di Cornelius Agrippa, è una specie di favola gnostica con demoni svolazzanti. Bloom si pentì di averlo scritto e pubblicato, “è come se Walter Pater si mettesse a scrivere Star Wars”, disse, crocefiggendosi.

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E fin qui, piccoli affari di lordura bibliografica. Da qui, però, Michael Weingrad, sulla “Jewish Review of Books” impalca un lungo ragionamento su Harold Bloom: Anti-Inkling? Il (brutto) romanzo di Bloom, infatti, è un esplicito omaggio al capolavoro di David Lindsay, A Voyage to Arcturus. “L’ho letto centinaia di volte, ossessivamente, riducendo a brandelli le mie copie del romanzo… quel libro mi ha influenzato con più intensità di ogni altra opera di maggior levatura del nostro tempo”. Il libro idolatrato da Bloom è stato pubblicato un secolo fa (ecco il secondo anniversario!). All’epoca, vendette poco. Eppure, la sua influenza fu effettivamente decisiva nel regno del fantasy anglosassone. J.R.R. Tolkien dichiarò di averlo letto “con famelica avidità”, C.S. Lewis disse di essersi ispirato a quel romanzo per la sua trilogia fantascientifica, Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra, Quell’orribile forza. Per Colin Wilson, è “il romanzo più grande e conturbante del Novecento”, addirittura. Ovviamente, quel romanzo tanto importante è un oggetto misterioso in Italia.

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Dati di massima. David Lindsay (1876-1945) è scozzese, di ceppo calvinista, s’impegna ai Lloyd’s di Londra, a quarant’anni s’arruola, siamo nella Prima guerra, nel Royal Army Pay Corps. Ne riemerge certo di voler fare lo scrittore. Con la moglie s’infogna in Cornovaglia dove scrive il primo, grande libro, A Voyage to Arcturus, una gita interstellare – tutto comincia con una seduta spiritica in Scozia, poi accadono una serie di incontri speciali con evidenze morali, sinuosamente gnostiche – in cui, dicono i critici, le letture di Nietzsche e Schopenhauer si mescolano ai panorami di Jules Verne e di Robert Louis Stevenson. Il libro, al principio, non funzionò. Lindsay ne scrive un altro, pubblico nel 1922, The Haunted Woman, una favola metafisico-dark, che funzionò ancora meno. David perseverò scrivendo Sphinx, The Violet Apple – edito postumo, però – Adventures of Monsieur de Mailly, Devil’s Tor, A Christmas Play. Povero David: un anno dopo la morte, nel 1946, ripubblicarono A Voyage to Arcturus che si attestò come vero e proprio libro ‘di culto’.

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Il ragionamento di Weingrad è questo: Harold Bloom ha usato il romanzo di Lindsay – di cui nessuno osa mettere in dubbio la grandezza – in funzione anti-Inkling. Ecco cosa scrive il sommo Harold: A Voyage to Arcturus è davvero al centro della fantasy moderna, in contrasto con le opere dei neocristiani Inklings, che restano periferiche nonostante la loro popolarità. Tolkien e Lewis lusingano il narcisismo del lettore mentre ammorbidiscono il suo desiderio prometeico… La fantasia degli Inkling e roba soft perché pretende di fondere in modo benevolo la tradizione romantica e la dottrina cristiana. Il selvaggio capolavoro di Lindsay, invece, costringe il lettore a mettere in discussione la sua fantasia e la trasmissione della tradizione”.

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Il vero obbiettivo di Bloom non è tanto colpire Tolkien, quanto nanificare Lewis. Nel saggio che dedica all’autore delle Cronache di Narnia, Harold l’inquisitore rimesta nella memoria e attacca. “C.S. Lewis è la persona più dogmatica e aggressiva che abbia mai conosciuto… Ho partecipato ad alcune sue conferenze, ho parlato per un po’ con lui, al pub. Avevo 24 anni, lui 56, l’incontro fu molto istruttivo. Era un cristiano polemista, e io un ebreo gnostico, devoto a William Blake. Condividevamo l’amore per Shelley ma davamo un significato diverso alla parola ‘Shelley’. Per quanto fossi intimidito, la rottura fu inevitabile e non ci parlammo più”.

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L’attacco di Bloom continua in questo modo. “Pur sedentario come me, C.S. Lewis era un cristiano muscolare, è diventato il vecchio saggio dell’America di George W. Bush, il cui cristianesimo ci fa comprendere l’egoismo illuminato, il militarismo teocratico, la semi-alfabetizzazione. Come Tolkien e altri amici simili, Lewis è famoso per la narrativa fantasy, in particolare per le Cronache di Narnia. Ho tentato di rileggere quel tendenzioso sermone evangelico. Non ce l’ho fatta. Ho 75 anni, non posso più perdere tempo neanche per rileggere Tolkien”.

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Ovviamente, gli esiti letterari di Lewis sono infinitamente più alti delle prove imberbi di Bloom. Ciò non toglie che qualcuno debba affrettarsi a far tradurre A Voyage to Arcturus. (d.b.)

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