25 Luglio 2019

“Su Morselli resta ancora tanto da pubblicare: i romanzi inediti, le opere teatrali, il soggetto per un film. Per non parlare della casa-museo…”. Dialogo con Linda Terziroli

Non credo alla leggenda dello scrittore ‘incompreso’. Di Guido Morselli – che si è ucciso il 31 luglio del 1973 – non sorprendono i reiterati rifiuti (esempio ne è il sugoso e arcinoto scambio di lettere con Italo Calvino), ma il suo accanimento nel rifiuto, una ambizione più lauta di ogni riconoscimento. Sembra, intendo – perché una vita può essere letta, geologicamente, dopo la fine e contro le intenzioni dell’autore – che il rifiuto – che non fiacca l’opera, la rinfranca – sia l’acme del carattere di Morselli, su cui regna uno sfolgorante pudore (e dunque una vitale vanità). “Con Dante Isella, il ‘colto amico’ di Varese, Morselli aveva condiviso incontri abituali e amabili conversazioni letterarie, senza mai fare allusione alla propria attività narrativa”, ricorda Valentina Fortichiari introducendo la raccolta dei Romanzi di Morselli (Adelphi, 2002). Con surplus di tragedia, Morselli sa che lo scrittore deve ‘farsi fuori’ – o a lato, a distanza di stella – per dare avvio all’opera. Piuttosto, Linda Terziroli, che a Morselli, anche per carisma esistenziale, ha dedicato anni, ha riportato al centro del palco – e quindi, dell’opera – lo scrittore, Guido. Nella “Biografia di Guido Morselli”, Un pacchetto di Gauloises (Castelvecchi, 2019), non incontriamo uno spettro – ciò che accade, di solito, leggendo la leggenda di un morto – ma una creatura in carne, il personaggio, nonostante lui, di un romanzo, amante strepitoso, elegante, spericolato, d’intelligenza irriverente. Merito dell’autrice, che con scrittura densa, devota alla presenza e non allo sciupio della memoria, recupera una vita da uno sguardo anomalo, da un accenno di pettegolezzo, da una confessione elevata dal ferro. I capitoli che narrano il viaggio in America, dal fratello Mario – L’America, Il comunista, mio fratello e Mario Morselli, il fratello di mio fratello – sono di commossa bellezza. Mi sorprende, di Morselli, soprattutto, l’accanita fame di scoprire ogni angolo della vita, del mondo, dell’uomo. E la rabbia, solare. Così ricorda il fratello: “Nel 1971-1972 Guido si stava interessando, fra l’altro, di Fisica teoretica e in particolare, ricordo, delle teorie dei campi elettrico e magnetico. Voleva proporre, in sostanza, una riformulazione su basi non matematiche, del concetto dell’azione a distanza. Anch’io ne sapevo poco dell’argomento. Tuttavia, avendo letto alcuni articoli in proposito, ero relativamente al corrente dei nuovi sviluppi. In quei mesi mi fece avere copia della lettera che aveva scritto sul tema, sottoponendo le nuove idee a Mary Hess che insegnava Fisica teorica a Cambridge e che era considerata il massimo luminare sull’argomento e l’autrice, fra l’altro, di un volume sulle teorie dei campi che aveva destato molto interesse. Guido mi chiese in quell’occasione: «Credi che risponderà?». Non volli essere schietto con lui. Gli risposi che nel mondo scientifico anglosassone anche i supremi sacerdoti sono così cortesi in genere dal rispondere a chiunque. Purtroppo mi ero sbagliato. Dopo mesi la professoressa Hess non si era ancora fatta viva. Non posso escludere che le idee di Guido le erano forse sembrate così poco ortodosse da non giustificare nemmeno una riga di commento. Comunque, mio fratello ci rimase male e se ne lamentò con me. Cosa che non aveva mai fatto in passato quando i suoi manoscritti non venivano accettati. Mi scrisse più o meno così: «Vedi come si comportano coloro che si considerano gli unici addetti ai lavori… sulla loro porta c’è scritto “qui non si entra ci siamo già noi”». Un giudizio amaro, quindi. Guido aveva ragione. Fu quello uno dei suoi ultimi commenti con me sul cosiddetto establishment culturale”. A Linda porgo due domande banali – le risposte aprono mondi morselliani. (d.b.)

Cosa resta da scoprire?

Chi non conosce a fondo l’opera morselliana probabilmente non immagina il ricco ventaglio di materiale che non è stato ancora pubblicato. Non faccio riferimento solo agli abbozzi dei due romanzi Mia celeste patria e Uonna, l’ultima creatura narrativa in cui Morselli voleva esplorare i confini tra uomo e donna (uonna appunto è un neologismo morselliano nato da una crasi uomo-donna) e ai saggi Filosofia sotto la tenda (riflessioni nate durante la Seconda Guerra Mondiale, a cui Morselli ha preso parte in Calabria), Due vie alla misticaVangelo e peccato Teologia in crisi, testimoni della profonda riflessione religiosa di Guido Morselli. Lo sperimentalismo dello scrittore gaviratese l’aveva portato a scrivere persino il soggetto per un film, È successo a Linzago Brianza, e a scrivere tre opere teatrali che rimangono purtroppo ancora oggi inedite: Il redentoreCesare e i pirati e Marx: rottura verso l’uomo (opera che il Premio Morselli con la compagnia teatrale STCV ‘Anna Bonomi’ ha messo in scena lo scorso anno, proprio in occasione dei duecento anni dalla nascita del filosofo di Treviri) e il soggetto teatrale di una divertente opera Cose d’Italia centrata sui vizi degli italiani. Un altro testo teatrale inedito, L’amante di Ilaria, permetterebbe di comprendere meglio il legame tra i due romanzi pubblicati da Adelphi Incontro col comunista (una delle prime opere narrative dell’autore) e Il comunista (il romanzo appena pubblicato negli USA da New York Review of Books, traduzione curata da Frederika Randall). Tutte queste opere teatrali inedite sono state a lungo studiate dal professor Fabio Pierangeli dell’Università di Tor Vergata che ha dedicato molte e accurate pubblicazioni specialistiche in attesa di una pubblicazione completa in grado di dare il giusto rilievo nazionale alle opere morselliane. Grazie alla notevole opera di studio di Pierangeli ho avuto la possibilità di leggere, in particolare, la drammaturgia solo manoscritta, Il redentore, restituitoci dattiloscritto dalla studiosa Cristina Faraglia. Il protagonista di quest’opera è ‘il santo’ e medico Nipic, un personaggio affine a Karpinski di Dissipatio H.G., boemo nella Germania nazista, nel settembre 1938, alla vigilia della guerra, all’interno di un manicomio (luogo protagonista di un altro racconto morselliano Irrenanstalt, pubblicato da Morselli su Il Mondo nel marzo 1950). Rivela infatti Pierangeli: “Morselli, in linea con i suoi laceranti dubbi di quel periodo, fa del suo eroe un perseguitato anche dalla religione ufficiale. Il vescovo e il pastore protestante (distanti su tutto e qui solidali) sottopongono Nipic ad un processo-interrogatorio, in cui il santo risponde punto per punto, illustrando la sua contrarietà al dogma del peccato originale”. Il santo diventa un martire perché viene ucciso, guadagnandosi un colpo mortale di pistola per aver tentato di dividere due donne innamorate di lui che si accapigliavano. Il finale resta sospeso: “Non è purtroppo chiara la volontà di Morselli per il finale: probabilmente si interrompe indeciso se far accadere qualcosa di soprannaturale sul corpo di Nipic, un segno miracoloso, oppure lasciare semplicemente al medico il compito di dichiararne la vittoria, se non del tutto eroica, umanamente limpida, rispetto ai boia nazisti. La sua docilità è ormai definitiva, dichiara il direttore della clinica ai tedeschi venuti ad arrestare il redentore, con quella sottile ironia segno di superiorità rispetto agli ottusi strumenti esecutori di una perversa strategia del Male”. Il fascino di queste opere teatrali non risiede quindi soltanto nella loro oscurità editoriale, nel loro essere come in questo caso ‘incompiuti’ ma nella loro ricchezza di significati e di fertili collegamenti con le opere narrative edite e conosciute dal pubblico di lettori. Mi auguro, quindi, anzitutto come lettrice appassionata di Morselli e poi come studiosa di quest’autore, di poter avere tra le mani, presto o tardi, il libro che veda finalmente pubblicate le sue opere teatrali magari a cura di Pierangeli e Valentina Fortichiari che resta tutt’oggi la massima esperta dell’opera di Guido Morselli.

Cosa resta da fare?

Sogno da anni di vedere la Casina Rosa trasformata in un piccolo museo (il mio modello esemplare è la casa-museo Hermann Hesse di Montagnola, sopra Lugano, nella radiosa e vicina Svizzera amata dal Morselli) o in una raccolta museale o casa d’artista. La casina appartiene come da lascito testamentario al Comune di Gavirate (la casa, intonacata di Rosa, disegnata e costruita dallo scrittore negli anni ’50 è ai margini di un bosco prealpino, alle pendici del Campo dei fiori, sul podere Santa Trinita, circondata dal verde che guarda ai laghi e alla catena del Monte Rosa) ed è oggi sede di una mostra permanente allestita dal Comitato ‘Guido Morselli Il Genio Segreto’ (il cui presidente in carica è il poeta Silvio Raffo), tuttavia i visitatori possono accedervi soltanto in occasioni particolari di apertura o durante particolari escursioni appositamente organizzate. La Casina Rosa, dove Guido Morselli ha ideato e scritto le sue opere narrative per vent’anni, sarebbe l’unica casa-museo di scrittore visitabile e aperta al pubblico nella provincia di Varese. Potrebbe quindi costituire una tappa ideale del percorso di visita ai luoghi morselliani d’ispirazione letteraria. Il luogo peraltro è estremamente suggestivo e in tutte le stagioni si possono ammirare paesaggi di una bellezza naturalistica a dir poco straordinaria.

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Per gentile concessione si pubblica un brandello dal libro di Linda Terziroli, “Un pacchetto di Gauloises. Una biografia di Guido Morselli” (Castelvecchi, 2019), dal capitolo “I sentieri editoriali e Italo Calvino”.

Guido contro i “fabbricanti di libri”

È cosa nota che, un giorno, Guido si è nascosto dietro a una colonna all’interno della casa editrice Mondadori per non incontrare Giorgio Mondadori, il suo ex compagno di scuola al liceo, figlio di Arnoldo e fratello di Alberto Mondadori. In quel gesto ho sempre visto una timidezza commovente, la ferma volontà di non ricevere favori. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche gli editori erano in grandi difficoltà, come riferisce Arnoldo Mondadori a Guido in una lettera che giustifica il rifiuto di pubblicazione: «Le difficoltà di rifornimento dell’energia elettrica che hanno ridotto l’attività di Verona a due soli giorni per settimana». Arnoldo Mondadori aveva stima di Guido, gli «dava confidenzialmente del tu», rivela Valentina Fortichiari, ma di fatto lo escludeva dai propri progetti editoriali: «Tra le nostre collezioni non ce n’è una nella quale la tua opera possa degnamente figurare, e tu sai che le richieste dei lettori italiani si orientano esclusivamente verso i libri che sono raccolti in collane». Ma il rifiuto editoriale è qualcosa contro cui Morselli ha combattuto anche prima della pubblicazione di Realismo e fantasia. Nel 1947, «la casa editrice Ceschina di Milano rifiuta i Dialoghi con Sereno (pubblicato poi nello stesso anno, a spese dell’autore, dai Fratelli Bocca con il titolo Realismo e fantasia) perché “fuori dall’attuale nostro programma”, per “l’incertezza dei tempi” e in definitiva perché “siamo molto perplessi”». «Le anticamere degli editori mi fanno paura, ho l’impressione che gli uscieri, le seggiole persino, mi urtino: è proprio vero che non c’è un italiano che non abbia un copione, un romanzo o un quaderno di liriche nel cassetto!» scriveva Guido il 20 agosto 1964. Un desiderio – quello di vedere pubblicato il frutto della sua opera letteraria paziente e profonda – che piano piano si trasformava nella disperata constatazione di un fallimento, come è stato definito, venato di rabbia e desolazione. Queste righe Guido scriveva all’Edizioni di Comunità, il 18 novembre 1955: «È questo un modo di procedere che certo non vi qualifica all’altissimo ufficio di giudici di opere dell’intelletto. Ricordatevi che per arrogarsi una qualsiasi funzione nell’ambito della cultura, conviene anzitutto mostrarsi edotti del civile riguardo che si deve alla personalità degli altri». Aveva spedito a Einaudi, tra il 1955 e il 1957, il dattiloscritto dell’opera Fede e critica, spedita ad altri sei editori (Vallecchi, Garzanti, Sansoni, Casini, Nistri-Lischi e Guanda), ma alla casa editrice torinese l’opera andò perduta e Guido diede avvio a un contenzioso, contro Einaudi, da lui definito «stampatore, fabbricante di libri», definendo, in generale, gli editori come «arbitri della altrui produzione intellettuale». La protesta di Guido contro l’Einaudi, che ebbe un certo effetto, suonava così: «Vi significo la mia protesta pel modo onde vien trattato chi vi offre il prodotto della propria intelligenza, contro quelle norme d’urbanità che vigono nei più comuni rapporti commerciali, per cui si risponde alle lettere che si ricevono. Una Casa che si arroga una funzione direttiva nella cultura italiana, dovrebbe mostrare una ben diversa considerazione dell’opera intellettuale, quand’anche non rechi una delle “grandi firme” di cui è facile e comodo l’incensamento». Il danno fu quantificato in 25.000 lire di risarcimento di carta e trascrizione – qui gli tornarono d’aiuto gli studi in Legge – «danno materiale per un’opera intellettuale senza le patenti della notorietà né il merito altrettanto discutibile d’essere appoggiata da qualcuno dell’ambiente». All’Einaudi il manoscritto fu ritrovato l’anno successivo.

Linda Terziroli

Gruppo MAGOG