13 Giugno 2018

Grazie Luciana! Ci lascia la mamma di Ilaria Alpi. Nel 2014 ha dato una lezione memorabile ai giornalisti da caviale&champagne

Io c’ero. Era dicembre. Era il 2014. Facevo ‘la punta’ nel giornale a cui ho prestato la penna per tanti anni, La Voce di Romagna. La notizia arrivò come un bombardamento sul perbenismo patrio. Luciana Alpi invia una lettera ferma, senza fronzoli. Uno schiaffo in faccia al giornalismo italiano. Un pugno sul muso dei governanti dal sorriso reiterato. Rewind. Luciana Alpi era una donna elegante, forgiata nel platino, sembrava indistruttibile. Invece è morta, a 85 anni, ieri notte. Dal marzo del 1994 si era prefissa un compito: scoprire la verità sulla morte della figlia Ilaria, talentuosa giornalista del Tg3, 32 anni, uccisa insieme al suo cineoperatore, Miran Hrovatin, a Mogadiscio, Somalia. Probabilmente, Ilaria ha visto ciò che non bisognava vedere. E come ogni buon giornalista, indagava nel cuore della tenebra. Ma è inutile speculare su ciò che non si conosce. La XVII legislatura ha creato un imponente “Archivio digitale Ilaria Alpi e Miran Hrovatin” dove si possono sfogliare i documenti prodotti dalle diverse Commissioni d’inchiesta sul caso. Fatevi la vostra idea. L’archivio, come sempre, ha il pregio della completezza e il difetto della mancanza di sintesi (questo intenso testo di Mariangela Gritta Grainer, da sempre al fianco della famiglia Alpi, allinea i fatti in modo ‘ragionato’). Intorno alla morte di Ilaria Alpi, già nel 1994, nasce a Riccione, per merito di un gruppo di amici capitanati da Francesco Cavalli, poi assessore alla cultura riccionese, l’idea di un premio intitolato alla giornalista. L’idea, in sostanza, è fare di Riccione – terra turistica per altre, meno nobili ragioni – il centro del giornalismo d’inchiesta italiano. E soprattutto, procedere, anno dopo anno, nella ricerca della verità sul ‘caso Ilaria Alpi’. Ovviamente, viste le buone intenzioni, al Premio ‘Ilaria Alpi’ accorre la ‘crema’ del giornalismo italiano. Convegni. Documentari. Belle parole. Bella gente. In un posto piacevole. C’è anche il mare. Per un tot di anni ho seguito il Premio. Con la scusa delle buone intenzioni, un momento di relax, dove il giornalista recitava la parte del vip – autografi compresi – come un attore qualsiasi. Nel dicembre del 2014, vent’anni dopo la morte della figlia, Luciana Alpi scrive una lettera alle autorità politiche e ‘scientifiche’ che gestiscono il Premio ‘Ilaria Alpi’ (tra cui, Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e Sindaco di Riccione). Le parole della lettera sono tombali: “Vi prego di prendere atto delle mie dimissioni irrevocabili da socio dell’Associazione e del mio desiderio che si ponga termine ad iniziative quali il Premio Alpi, di cui non è più ravvisabile alcuna utilità”. Eccola, la pietra in faccia contro il giornalismo fatto a caviale, champagne e happy hour. Il premio non serve più perché senza la verità c’è poco da festeggiare e pochissimo da premiare. In quei giorni, telefonai a Luciana Alpi. Voce di metallo. Parole centellinate. Non voleva polemiche futili. Ennesima lezione al giornalista pruriginoso che vuole lo scoop sotto ogni pietra. Non aveva altro da aggiungere. Ringraziava per l’impegno. Ringraziava tutti. Con un ‘grazie’ rabbioso. Ma basta, era ora di dire basta. Fu un atto clamoroso. I giornalisti, infatti, che hanno convenzioni per pagare di meno l’assicurazione dell’auto, che usufruiscono di possibili vantaggi se hanno il conto in Cariparma o in Monte dei Paschi di Siena (vedi qui), tendono a ridursi in ‘casta’. Chi non appartiene allo stretto cerchio della ‘casta’, annaspa, pagato in modo ridicolo per il rischio che si prende (esempio banale: come fai a mettere sotto torchio la giunta di un Comune se ti pagano 20 euro ad articolo, quando va bene, e magari ti casca sul cranio una querela?). Luciana, la mamma di Ilaria, ha dato una lezione duratura. Contro il narcisismo dei giornalisti, contro la barbarica foia di mettere in primo piano se stessi, parlando di altri. Grazie. (d.b.)

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