20 Dicembre 2020

“Per scrivere bisogna spogliarsi di tutto, e poi mettersi in contatto con le forze potenti della natura”. Viaggio reale & meraviglioso lungo il grande fiume Po

Un invito al viaggio è sempre una proposta difficile da rifiutare. Al primo sì deciso innesca in noi l’aspettativa della partenza a cui dovrebbe seguire un periodo di esplorazione in territorio incognito. Arrivato il giorno di prendere aerei, treni o macchina, ci avventuriamo spesso in una prospettiva orizzontale del viaggiare, che sicuramente ci permette, come conferma la stessa espressione, di “allargare gli orizzonti”. Ma se diamo per scontato che anche una lettura può essere in qualche modo un viaggio, accompagnare lungo Il grande fiume Po lo scrittore Guido Conti (Giunti, 2020) risulta di certo un’esperienza diversa. Ho attraversato il Po sull’autostrada decine di volte e ho pure girovagato per largo e per lungo la prateria padana cercando di solito un cartello che indicasse Bologna o Brennero. Purtroppo, non sono mai uscito a uno svincolo per guardare quel fiume possente da una sua sponda. Né ho pensato di esplorare i paesini appostati lungo gli argini che non di rado innalzano in cielo il campanile di una chiesa o la statua dorata di una Madonna. Dopo avere letto il libro di questo scrittore parmense lo ammetto: mea culpa.

Altri avevano tentato l’impresa. In un altro tempo, con ben altri mezzi e diversi intenti. Vale a dire. Mario Soldati, Guido Ceronetti e anche Gianni Celati. In determinati tratti, persino i mitici Guareschi e Zavattini. Il libro di Guido Conti s’inserisce bene in questa ideale compagnia offrendo un viaggio geograficamente completo lungo le acque ancestrali del Po, dal Pian del Re alla foce del Delta, ricalcando quelle tracce profonde che attraverso i secoli hanno tessuto una miriade di micro realtà e culture su entrambe le sponde di Eridano, il mitico nome del Po. Per l’intero tragitto, l’autore cavalca un’energia narrativa che spesso trasfigura il letterale nel simbolico includendo l’aneddoto, il risvolto storico, l’elegia della testimonianza, o la traccia mitologica che obliquamente guada tutte le arti o i gesti che rendono la vita un vero inno alla bellezza. Dalla musica, alla pittura, all’utopico insediamento tra isole e argini, fino alla domestica ricetta dei tortelli di zucca. Un ecclettico sforzo narrativo al fine di illustrare una complessa prospettiva tesa a svelare al lettore ciò che gli antichi romani chiamavano il genius loci.  La specificità di un luogo, di una persona, di una comunità. Il suo principio fondante. La vitale manifestazione al mondo di un’anima. Premesso ciò, l’assunto che trapela non può che meravigliare e turbare allo stesso tempo. Perché dalla notte dei tempi un fiume è considerato una soglia tra due mondi. Un luogo di spontanea epifania dove regna il caos creativo nella forza irruente del fiume o il genio sregolato che come un’improvvisa piena può sfiorare la follia. Alcuni dei personaggi che incontriamo in questo viaggio sono passati alla storia. Virgilio, Petrarca, Folengo, Tasso, Ariosto, Verdi, Toscanini, Matelda di Canossa, Ligabue, Bassani. Altri invece sono degli illustri sconosciuti. Come il professore di lingue slave, Luigi Salvini, che è ricordato dall’autore per avere creato nel 1945 la repubblica di Bosgattia su di un isolotto alla foce del Po. Una realtà utopica in cui dominò fino al 1957 un ingegno artistico che la rese paradossalmente libera, indipendente, periodica, transitoria, e analfabeta. A Boretto invece troviamo Alberto Manotti, il re del Po, un uomo che da quarant’anni vive sotto un ponte del fiume. Durante l’intervista parla come un torrente in piena, raccontando di salvataggi e altre peripezie, dei tuffi del fratello “Ringo”, e del lavoro duro sugli argini per proteggere la comunità. Alberto è un uomo che appartiene al Po con la funzione di suo eterno custode e dalla testimonianza ne risulta per davvero consapevole. In realtà, tutti i personaggi elencati, famosi o meno, sono individui che hanno firmato con le loro storie il posto assegnato dalla sorte arricchendolo di un senso d’anima. Perché l’anima non è una categoria fissa cristallizzata in una cronologia astratta. Al contrario, scintilla nel rapporto che instauriamo con le cose del mondo svelandosi nella molteplicità delle connessioni che i nostri passi realizzano nel tempo.  

Lui è Guido Conti

In questo libro, Guido Conti si è collocato all’interno di una regione fluviale che lui stesso ha vissuto, sia dentro che fuori, lasciando che il luogo parli a ogni lettore pur dando a seconda della località l’appropriata risposta. Ne emerge un affresco vivo e multiforme in cui noi stessi cominciamo a fare mille distinzioni in un paesaggio che poco prima quasi ignoravamo. Scopriamo così un piacere nella lettura che stimola ad esplorare la fitta trama. Ho impiegato diversi giorni a coprire l’intero tragitto del fiume perché volevo che durasse di più quel mio viaggio fittizio. Assieme al suo sapore. Le cartine collocate alla fine del libro mi aiutavano ad orientarmi. Volevo sapere dove mi trovavo a ogni località sconosciuta perché provavo piacere anche nell’orizzontarmi rendendomi in questo modo più co-partecipe. Non come quando guidavo la macchina velocemente sull’autostrada puntando al miraggio di una meta fissa. La fretta purtroppo è uno dei risvolti di una modernità che sta stravolgendo le nostre esistenze promuovendo poca sintonia col mondo circostante e i suoi ritmi naturali. L’alba, il tramonto, lo zenith del mezzogiorno, la luna che ingrossa le acque o il sole che inaridisce e crepa le sponde. Durante la lettura del libro di Conti, c’imbattiamo spesso nelle ansie ecologiche e climatiche dei cittadini del Grande Po perché con il passare degli anni qualcosa è davvero cambiato. Si toglie sabbia dalle sponde e non si draga il fiume. Molte delle attività lungo il suo corso hanno avvelenato l’acqua che non si può più bere. Mentre sugli argini dominano strutture architettoniche che fanno scempio delle sue bellezze naturali. Le torri bianche e rosse dell’Enel, seppur erette a un fine utile, ne sono un magistrale esempio. Nel suo Un viaggio in Italia, Guido Ceronetti ne parlava così: “Dov’è l’Enel, è la devastazione. Il paesaggio è sconvolto e febbricitante…”. Il nostro autore commenta invece prediligendo l’utopia e afferma che forse “il Po rinascerà quando rinasceranno una nuova società e genti che gli porteranno rispetto”. Non ci sono alternative, sappiamo tutti che qualcosa deve essere fatto perché da sempre il fiume è sacro in quanto ricettacolo di vita.

Sono trenta i fiumi che s’accompagnano al mare attraverso i seicento chilometri del fiume Po. E con loro, troviamo i relativi ecosistemi e le migliaia di vite che si sono avvicendate, generazione per generazione, lungo queste antiche autostrade della pianura padana. Ai giorni nostri sono molti i volti nuovi che dimorano nei paesini della Bassa modenese o di quella reggiana. Sono i visi dei cinesi nei bar, o dei Sikh impegnati nelle stalle, o dei rumeni che pescano i pesci siluro, di cubani, africani e altre etnie che l’autore spera aggiungano, col tempo, qualcosa di nuovo e costruttivo nella grande storia del fiume Po. Come del resto era già capitato ai Sarmati nell’epoca romana. Di origine iranica, erano diventati preziosi alleati di Marco Aurelio nella difesa dell’Impero e di questa settentrionale regione italica. Ma la sacralità del fiume si rivela pure in altre sfumature. Più metafisiche. Le acque del Po possono anche essere intese come una linea di demarcazione tra la vita e la morte. Quanti gli adolescenti di ogni generazione che sfidano a nuoto la corrente per attraversarlo e dimostrare il proprio coraggio. Creandosi pertanto un rito d’iniziazione. Quanti i soldati che durante le tante campagne militari da Annibale ai tedeschi della linea gotica hanno trovato la morte durante l’infido guado. Come nella storia di Nabo, il gigante buono, che nel 1945 improvvisamente diventa una specie di traghettatore per i soldati che scappano dal nemico. E nel mezzo delle sue rapide, l’esecutore. Non sorprende quindi che lungo il fiume s’incontrino varie Madonne (anche nere) e santuari, acque miracolose, guaritrici cristiane “le strolghe”, e zone di animismi come “il Boscaccio” dove “può capitare che un morto ti passi di fianco in bicicletta e tu non abbia paura.” Alla fine spetta sempre al fiume di decidere se dare o prendere una vita. Come nel caso di Dario Mantovani, detto “Taiadela”, l’ultimo di una grande tradizione di comici, barzellettieri, musicisti, e artisti da strada. Vicino al Delta la corrente è forte ma il giovane intrattenitore prova ad attraversarlo durante una giornata afosa d’estate. Nel bel mezzo della sua impresa i crampi lo fanno annaspare e gridare “Aiuto! Aiuto!” Viene per fortuna afferrato per i capelli da una mano sconosciuta che lo butta sul fondo di un barcone come un pesce mezzo morto. L’aveva salvato un barcaiolo dal nome altisonante, Uripide, i baffi neri e nessuna voglia di ridere. Inizia così il romanzo e la vita di questo sedicenne alto e magro soprannominato “tagliatella”. Siamo nel 1920. Diventato comico itinerante, Dario rischierà molto durante la guerra, perdendo tragicamente anche l’affettuoso sodalizio della moglie durante un bombardamento. Nel dopoguerra, il suo spettacolo diventò un vero e proprio circo con tanto di animali e clown, specchi deformanti, comicità alla Zelig e teatro di strada. Guareschi, Zavattini ed Erminio Macario furono presenti a uno dei suoi spettacoli. Raggiunto il successo, il comico morì il 7 settembre 1950 con la sua Topolino amaranto a causa di un incidente sulla strada verso Cremona. In quell’occasione, non ci fu nessun Uripide a salvarlo.

La vita del Grande fiume Po però continua con un alternarsi di aneddoti che ci accompagna fino alla fine del libro. Il Delta. La Zabriskie Point dell’autore che termina il viaggio usando il gommone e la bicicletta per raggiungere un ultimo isolotto. Abbandonando la costa. Nell’epifania di quell’ultima esperienza riverberano le parole dell’amico scrittore Alberto Bevilacqua: “per scrivere bisogna spogliarsi di tutto, e poi mettersi in contatto con le forze potenti della natura, quelle più profonde, quelle che attraversano i campi, che fanno da letto ai fiumi, che fanno ululare i cani, fiorire le piante, che ospitano le radici degli alberi e poi, da lì, ricominciare a raccontare il mondo…”.

Massimo Maggiari

Kiawah Island, S.C., USA

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