07 Ottobre 2020

Il Goya con cui Franco sperava di sedurre Hitler. Storia formidabile della “Marchesa di Santa Cruz”

Joaquina Téllez-Girón, seconda figlia del duca di Osuna, era una divina, una di quelle donne che costituiscono la stella polare di un’epoca. Bella, bellissima, nel salotto di Madrid ospitò i più importanti artisti del suo tempo, che provvedeva a remunerare con commissioni e regalie. Il matrimonio con José Gabriel de Silva-Bazán y Waldstein la rese, nel 1802, Marchesa di Santa Cruz: tre anni dopo Francisco Goya la dipinse nelle vesti di Euterpe, musa della lirica. Il geniale pittore l’aveva dipinta molti anni prima, nel 1788, aveva quattro anni, nel quadro familiare – paiono tutti angelici pupazzi – Los duques de Osuna y sus hijos. La marchesa di Santa Cruz è adagiata sul divano, la lunga veste bianca le lascia scoperte braccia e parte del petto, alla moda di Paolina Bonaparte. Si appoggia a una cetra, stringe un fazzoletto bianco, il volto, da bambola, ha il viso fermo, spietato, di chi miete flotte di amanti e ammiratori.

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Il quadro di Goya, di bronzea classicità, di solito al Prado, di cui la marchesa fu, ai suoi tempi, responsabile, è ora al Museo de Bellas Artes di Bilbao, ed è il cuore di un intrigo. La mostra impila le opere che furono proprietà di Félix Fernández-Valdés (1895-1976), uomo d’affari basco che in una vita ha collezionato più di 400 capolavori, da El Greco a Ribera, da Zurbaran a Murillo, Van Dyck e Goya, appunto. La storia del ritratto della marchesa – dettagliata da Peio H. Riaño su “El País” – s’incunea nelle oscurità della Storia, specie di cristallo tra i denti di un molosso.

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In sostanza: l’opera, mostrata al Prado nel 1928, per una antologica dedicata a Goya, fu portata in Svizzera durante i torbidi della Guerra Civile. Il quadro rientra in Spagna nel 1940 e Francisco Franco, il Caudillo, ordina di acquistarlo dai proprietari, la famiglia Silva, per un milione di pesetas. La strategia di Franco era letale: conquistare Hitler con la bellezza, durante l’incontro di Hendaye, accaduto il 23 ottobre 1940. “Nel corso dei secoli, molti potenti sono stati conquistati con la pancia. Hitler era incline a una dieta vegetariana e temeva di essere avvelenato. Doveva quindi essere sedotto con altri mezzi. L’arte – come si sa, fu un pittore sfortunato e frustrato in gioventù – era una delle sue debolezze. Quando Franco pensava che il leader nazista potesse conquistare il mondo, cercò di avvicinarlo. Cominciò donandogli tre opere di Ignacio Zuloaga, un artista che Hitler ammirava. Il pezzo forte, però, sarebbe stato La marchesa di Santa Cruz di Goya… Il tedesco, da parte sua, avrebbe ricambiato con una Mercedes ultimo modello” (Jesús Ruiz Mantilla, El ‘goya’ con el que Franco quiso conquistar a Hitler).

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La scelta di quel quadro di Goya non era semplicemente estetica: sulla cetra maneggiata dalla marchesa è inciso il simbolo del lauburu, la croce basca, segno di matrice celtica, probabilmente, assai simile alla svastica. In ogni caso, l’abboccamento andò male: il quadro restò alla dogana di Hendaye, gli eventi bellici costrinsero Hitler ad altre malie. Nel 1944 l’opera è segnalata al Prado; tre anni dopo fu acquistata da Félix Fernández-Valdés per 1,5 milioni di pesetas, pagati a Francisco Franco Salgado, cugino di Franco. Dopo la morte del collezionista, la sua collezione aurea fu spezzettata tra gli eredi, a tratti dissipata. Il quadro di Goya fu infatti venduto in Inghilterra nel 1983; tre anni dopo appare presso una casa d’aste, proprietà di tale Lord Wimborne. Il governo spagnolo, denunciando che l’opera era espatriata illegalmente, bloccò l’asta, incamerò il bene. Con l’obbligo di risarcire il lord inglese, tuttavia: l’operazione costò sei milioni di dollari. Ovvio… la bellezza non ha prezzo.

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