03 Settembre 2018

Gli scrittori di domani saranno peggiori di quelli di oggi. Il tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea della Marcos y Marcos sembra il libro dei defunti: sette giovani autori spacciati

Tutti, critici, lettori e scrittori, stanno aspettando l’opera letteraria del secolo, o almeno del decennio, eppure è difficile scegliere persino quella dell’anno. È possibile d’altronde che non si possa giudicare prima che lo abbia fatto il tempo.

Un classico diventa tale quando negli anni colleziona così tante interpretazioni da divenire illeggibile, invivibile, come una relazione con una donna su cui abbiamo fantasticato per troppo tempo. I classici non si leggono, si studiano.

La letteratura, tuttavia, non è fatta solo di questi e la selezione nelle librerie più rinomate comincia a essere banalmente ripetitiva. Ogni mercato tende ad accontentare i suoi fruitori. È facile notarlo con i film, quando escono in serie, o con la musica, tutte le volte in cui i produttori credono di aver intercettato il gusto del pubblico. Gli scrittori, invece, sono di gran lunga più subdoli.

La letteratura a ogni modo è più viva, forse meno bella, lontano da quegli scaffali nei quali si trovano affiancati morti, uno dopo l’altro, i grandi autori della storia e qualche fortunato intruso. Solo così, fuori dai circuiti del mercato e da quei premi che riconoscono unicamente libri ammiccanti, è possibile cercare nuova linfa, coltivando la speranza di trovare l’opera che parli davvero di noi in questo periodo storico nuovo e incerto. Sicuramente ci sono testi del passato che saranno attuali ancora per molto tempo, ma sarebbe plausibile pensare che, qualora si voglia trovare qualcosa di sperimentale e innovativo, diverso rispetto alla tradizione, questo possa essere cercato tra le nuove leve della letteratura. La Marcos y Marcos riesce invece a capovolgere questa logica con Poesia contemporanea. Tredicesimo quaderno italiano. Il volume raccoglie i testi di sette giovani poeti che il prefatore e curatore Franco Buffoni indica come I magnifici sette, reduci da una durissima selezione che ha impegnato il comitato di lettura per più di un anno. Sfortunatamente, però, nella prefazione possiamo trovarli tutti sviscerati in appena una paginetta, uniti sotto il comune denominatore dell’attenzione per lo spazio. Ciò basterebbe per chiudere il libro e rinunciare alla poesia, a meno che non si provi il bisogno di sentire verseggiare sullo spazio. Ma al peggio non c’è fine: i “magnifici sette” sono in grado di farcelo ammosciare anche a vent’anni, e non c’è cosa più triste che scoprire privo di qualità, ma soprattutto privo di audacia, il futuro della lirica italiana.

poesiaÈ difficile prendersela con loro che, più che colpevoli, sembrano ignare vittime sacrificali che da subito provocano compassione, come i sette fanciulli ateniesi da mandare in pasto al Minotauro. Nomi che, accomunati, sembrano creare una sorta di monumento ai caduti: Agostino Cornali “poeta degli spazi non solo geografici”, ma in gran parte padani; Claudia Crocco, poetessa con la quale “gli spazi divengono informatici”; Antonio Lanzacon il quale gli spazi diventano funambolici”; Franca Mancinelli che “apre a nuovi spazi”. Parlano di “concretezze ed essenzialità gli spazi percorsi da nutrie” e altra fauna disinteressante messa in versi da Daniele Orso e poi Stefano Pini e Jacopo Ramonda, spazi urbani e di confine. Spazzatura! Insomma, il grosso della colpa è dei curatori che sono riusciti a selezionare gli scrittori giovani meno giovani che ci siano, il più possibile vicini ai modelli che potete trovare in centinaia di altri libri già in commercio, riempiti con parole patinate dalla polvere del secolo scorso, che non potranno mai essere scambiate per letteratura, nemmeno se confuse con temi attuali come i social network o concetti astrusi come lo spazio.

Per soli venticinque euro avrete quindi la possibilità di posare gli occhi su immagini d’antan, termini ammuffiti, versi da compitino di scrittura creativa del liceo. Nonostante i difetti però, leggendoli, dovremo almeno riconoscere un’arte a questi giovani poeti selezionati, anche se non si tratta dell’arte della poesia: riescono sistematicamente a instillare il dubbio nel lettore – nessuno riuscirebbe a capire che cosa comunicano con le loro liriche. Dunque, se qualcuno fosse preoccupato per la letteratura, abbandoni pure l’ultima briciola di speranza, gli scrittori di domani saranno ancora peggio di quelli di oggi.

Alessandro Paglialunga

*

Alcune liriche estratte da Poesia contemporanea. Tredicesimo quaderno italiano, Marcos y Marcos, 2017.

 

Via Cecco Angiolieri

Poi pensavo che volevo tornare
lì dove iniziava tutto, e le cose
erano importanti mentre le vivevamo.
Incontro due ragazzi nuovi,
mi danno un volantino. Chiedo, ma non sanno
di nessun vecchio striscione, conoscono
protestavano,
ma non ricordano un prima.

Sono gentili. Camminiamo, chiedono
se cerco una singola casa mista
fuori le mura, appena fuori.
Non so che dire,
beviamo qualcosa insieme, torno indietro.

Claudia Crocco

*

I romanzi

Rosso è il cuore in basso
sta a sinistra, scriveva Saba.
La letteratura è sempre di destra,
chiosava Pier Paolo.

La verità è che i romanzi
sono sempre così pietosamente
ostili alla ragione:
che succedeva a Dachau, Dachau-paese.

Mentre poco distante l’essere
scompariva nei forni del campo
e l’Agnese andava pedalando,
come fosse niente, a morire?

Daniele Orso

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Milano, Via Bovisasca

C’è una linea dove la città cade
un ponte a croce sui binari verso sud:
se penso a Via Bovisasca la sera
fatico a dormire, a ricucire le voci
spezzate dalle ringhiere
ad agosto, la pioggia nuda che batte
i piedi sul cemento e gli zigomi
dritti verso dove scivola la fuga.
Il fianco scoperto, la spesa in mano
il riso di Curzio rimandato
per non avere mai sempre vent’anni.

Stefano Pini

 

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