18 Gennaio 2019

“Gli artisti vanno dove nessuno vuole guardare”: Johanna Holmström ha scritto il romanzo sui manicomi femminili. L’abbiamo intervistata

Sembra statuaria la virtù dei finlandesi. Sono stato a Turku, dove origina il romanzo, vagando per la città medioevale, fino ai cantieri navali, le gru abnormi, come ragni di metallo. In superficie, ogni cosa è lucida, affilata dal gelo, eticamente perfetta, senza il morbo, senza il morso. I finlandesi vanno in biblioteca, leggono, girano in bicicletta, sono belli, buoni, giusti. Sotto la superficie, interrato dal sorriso, giace l’interrogativo, il Minotauro, il mostro. Johanna Holmström, tra gli scrittori finlandesi più importanti, oggi, tocca il cuore della questione quando mi dice, “Gli artisti vanno dove le altre persone non vogliono guardare. Vedono il labirinto dove abita il Minotauro, si chiedono, Che cosa c’è lì dentro?, e vanno, e restano, e guardano. Poi escono di nuovo e riferiscono su ciò che hanno visto in modo che altre persone non vi debbano entrare, mai”. Il gorgo del labirinto, la tana del Minotauro, nel romanzo, è il manicomio dell’isola di Själö, dove venivano internate donne ritenute folli, spesso prostitute, spesso vagabonde, spesso stuprate e lordate dalla vita. Ritenute, per questo, fuori norma, fuori legge, recluse per impedire che procreassero. La storia raccontata da Johanna attraverso alcune figure femminili lampeggianti – al principio è Kristina, che nel 1891, colta dalla colpa, uccide i propri figli, poi è Sigrid, icona della cura, poi saranno Elli, l’adolescente ribelle e tante altre – s’intreccia all’orrore eugenetico perpetrato dalla Germania nazista nei Trenta, a cui si allinearono i medici finlandesi, verso l’utopia della razza ‘migliore’. Il romanzo, dal titolo flautato, L’isola delle anime, pubblicato con lungimiranza da Neri Pozza, ha bagliori di dolore acutissimi – la malattia indotta, la mente come sistema concentrazionario, la femminilità come punizione – ma è scritto con pregio, da una artista che ama William Faulkner e dice il vero, evviva, “Gli scrittori, oggi, hanno spesso paura di essere complessi e di sfidare il lettore”. In questo caso, la sfida, oltre che linguistica, riguarda il concetto di follia, che ustiona (“Se i profeti della Bibbia fossero tra noi sarebbero tutti internati”) ma di cui troppi abusano, facendosene vanto, estremità di un narcisismo abulico. Piuttosto, serpeggia l’impossibile confine che distingue sanità e insania. (d.b.)

Come è venuta a sapere dell’esistenza dei manicomi femminili in Finlandia? Che tipo di donne erano internate in quegli istituti?

È stato un caso, per caso ho scoperto per caso l’esistenza di un ospedale vero e proprio. Prima del 2012, quando ho iniziato a fare le prime ricerche per il mio romanzo, non lo conoscevo. Volevo scrivere una storia sulla “malattia mentale delle donne finlandesi”, ma non pensavo che avrei trovato molto sull’argomento, di certo non un ospedale che si occupava di ciò che stavo studiando. Facendo ricerca, mi sono imbattuta nella tesi della sociologa Jutta Ahlbeck-Rehn, pubblicata nel 2006, che aveva studiato quell’ospedale per la prima volta da quando l’istituto fu chiuso, nel 1962. Fino ad allora la storia di quel luogo era del tutto sconosciuta. In quell’ospedale erano ricoverate donne con problemi di salute mentale, ma c’era anche un’alta percentuale di donne semplicemente povere, senza un luogo di ricovero. L’ospedale che ho studiato era un posto dove si recludevano donne ritenute incurabilmente pazze, ma non tutte avevano la stessa diagnosi. Una diagnosi comune, ad esempio, recitava: “cuore frantumato”. Si trattava di donne tristi, giovani, depresse, mai rilasciate, anche se il “cuore frantumato” era stato ricomposto. Spesso erano prostitute, vittime di abusi, alcolizzate, senzatetto, ma tutte giovani e sessualmente attive, recluse perché non potessero riprodursi. Parliamo, insomma, di un groviglio di persone con malattie mentali come schizofrenia, paranoia, piromania insieme a giovani donne perdute, che avevano commesso piccoli reati ma che venivano etichettate come criminali.

Kristina, Elli, Sigrid: le donne che appaiono nel suo romanzo sembrano la raffigurazione di una idea, di un simbolo: è così?

Sì e no. Ho scelto di costruire i miei personaggi su tipi molto comuni all’epoca. Kristina, che vive nel tardo XIX secolo, uccide i suoi figli. L’omicida di bimbi, una madre che uccide i propri figli, era un paziente molto comune nei manicomi di tutto il mondo occidentale, fino agli anni Trenta. Condividiamo una storia comune quando si tratta di chi era considerato pazzo o criminale nella civiltà occidentale, dunque Kristina è il simbolo di una società che l’ha portata a compiere ciò che ha compiuto. Soffre gli esiti di una morale che insegna che una donna stuprata da ragazza è una donna dissoluta, per questo non le è permesso sposarsi in chiesa con l’uomo con cui vuole vivere. Elli, d’altra parte, è una adolescente che si comporta come una adolescente in un’era in cui non era consentito essere adolescenti. Le giovani donne della classe abbiente dovevano crescere velocemente e sposarsi il prima possibile. Elli non ci sta e ha un esaurimento nervoso a 16 anni. Mi sono semplicemente immaginata una adolescente, chiedendomi: “Se mi fossi comportata come ho fatto, negli anni Trenta, mi avrebbero spedita in manicomio?”. La risposta è, “Certamente, in meno di due settimane”. Sigrid simboleggia il bene della cura, anche se la cura, in sé, non era il bene. È una umanista che fa il meglio che può con il poco che ha. È profondamente umana e ritengo che ogni uomo che lavori in un posto del genere prima o poi sia destinato a perdere la calma e a fare cose di cui si pentirà. Lavora come infermiera specializzata negli anni Trenta, ciò significa che ha l’aspetto dell’igiene razziale indotta dalla sua educazione. La Finlandia seguì l’esempio della Svezia e costrinse alla sterilizzazione forzata diverse persone indesiderate negli anni Trenta, anche attraverso la legge. In migliaia furono sterilizzati per rendere la popolazione “migliore”. In Finlandia il progetto fu interrotto dalla Seconda guerra mondiale, prima i dottori finlandesi andavano in Germania a studiare l’igiene razziale.

Platone dice che i poeti sono abitati dalla follia, dalla mania; il filosofo Norman O. Brown ha scritto che “i pazzi soffrono della verità”. Che cos’è la malattia mentale? Come scrittrice non si sente un po’ “pazza”?

Come è stato detto, i veri pazzi sono quelli che non mettono mai in discussione la propria sanità mentale. Non so cosa sia la malattia mentale. Ho scritto un libro per pormi questa domanda, ma non l’ho risolta. Ho cominciato a scrivere con l’idea che non esista la malattia mentale, che ci siano soltanto modi diversi di essere al mondo e diverse forme di espressione. Alcuni si adattano alla nostra società, altri no. Immagino che la malattia mentale sia il bisogno compulsivo di ferire o uccidere altre persone. Ma quando si tratta di infliggere un dolore emotivo su se stessi, o soffrire diversi stati di realtà alterata, di cosa si sta parlando? Un tempo la pazzia era la capacità di raggiungere altre dimensioni. Se i profeti della Bibbia fossero tra noi, probabilmente sarebbero tutti ricoverati. Quando si tratta di artisti, penso che molte persone usino la loro “pazzia” come una scusa per ferire se stessi o gli altri. Divulgano le proprie sofferenze, pubblicano sui social media i loro intenti suicidi, come se fosse intrattenimento, ma allo stesso tempo non vogliono chiedere aiuto perché pensano che la loro creatività sia connessa a una forma di instabilità mentale. Anche io la pensavo così. Non ci credo più. Penso di poter essere felice e di creare. Certo, a volte mi sento un po’ pazza, soprattutto mentre scrivevo questo libro. Quando ho iniziato a scrivere di Kristina, la donna che annega il suo bambino di otto anni perché è depressa ed esausta, ero nella stessa situazione. Dopo un matrimonio durato dieci anni mi sono trovata da sola, con un bambino di 2 e un altro di 8 anni, era inverno e c’era così tanta neve che non potevamo uscire, e non c’era nessuno a pulire il marciapiede. Ero intrappolata in un piccolo appartamento, con pile di pannolini, vestiti, giocattoli, e nessuno con cui parlare, e ho scritto di una donna come me, vissuta 140 anni fa, per non impazzire. Ho sentito tutta la pazzia di cui scrivo nel libro sulla mia pelle, nella mia mente, ed ero esausta e piuttosto depressa quando l’ho terminato.  Ero triste. Triste perché ho passato cinque anni in quel posto, con quelle persone, che era diventato uno spazio sicuro, proprio come lo era per i veri pazienti, infine. Poi ho dovuto andarmene. E dove potevo andare? Gli artisti vanno dove le altre persone non vogliono guardare. Vedono il labirinto dove abita il Minotauro, si chiedono: “Che cosa c’è lì dentro?”, e vanno, e restano, e guardano. Poi escono di nuovo e riferiscono su ciò che hanno visto in modo che altre persone non vi debbano entrare, mai.

Un romanzo di donne, sulle donne. Crede che la letteratura femminile abbia una sua specificità?

No. Penso che i romanzi di donne e sulle donne vengano etichettati come “letteratura femminile” perché cose come il corpo della donna, lo stupro, il parto, l’allattamento, l’amore, le case, le madri, come possono interessare lettori che non siano donne? Questo è un pensiero ridicolo, che induce a pensare che una certa “esperienza femminile” appartenga solo alle donne. Ognuno di noi ha vissuto nove mesi, più o meno, nel corpo di una donna, quindi il corpo di una donna e l’esperienza femminile sono una esperienza completamente umana. I pensieri e le emozioni di uomini e donne e di tutti i generi sono i medesimi. Il modo in cui reagiamo, piuttosto, è individuale. Quindi, sì, il mio romanzo parla di donne perché penso che la storia delle donne sia ancora uno spazio vuoto, e voglio scrivere queste storie perché nessuno le racconta, ma ogni storia che riguarda le donne riguarda gli uomini visto che insieme condividono il mondo. Il mio è un romanzo basato su importanti eventi storici accaduti in Europa e in Finlandia, ma visto attraverso la lente di un posto particolare, che ne è stato influenzato.

Qual è il libro che ha orientato la sua vita? Che cosa ama leggere e quali autori sono stati utili a perfezionare lo stile del suo romanzo?

Alcuni autori sono stati particolarmente importanti per me. Vladimir Nabokov, García Márquez, Virginia Woolf, Sylvia Plath, la scrittrice svedese Sara Strindsberg e la finlandese svedese Monika Fagerholm. Un libro definitivo, per me, è stato Assalonne, Assalonne! di William Faulkner perché a quel tempo è stato il libro più complesso che avessi mai letto. Gli scrittori, oggi, hanno spesso paura di essere complessi e di sfidare il lettore. Di recente, ho cominciato a leggere poesia. Ho bisogno di rallentare, di meditare. Scrivere un romanzo di successo significa viaggiare molto, presentarlo, è stato un anno e mezzo piuttosto stressante. Mi piace anche leggere Elena Ferrante. Più che altro, lo stile del mio romanzo è stato influenzato dai materiali frutto delle mie ricerche. Le dichiarazioni dei medici e le riviste ospedaliere erano limpide, precise. Oltre a questo, c’è il mio stile. Sono interessata al linguaggio, mi forzo alla perfezione, verso una specie di espressione poetica. Amo descrivere la natura, tutti quei lunghi passaggi sull’erba, le foglie, gli alberi.

Che clima culturale si respira in Finlandia? A quale romanzo sta attualmente lavorando?

In questo momento, in Finlandia, il clima culturale è positivo per le arti. Le persone visitano musei e biblioteche come non facevano da tempo. I cinema stanno riaprendo. Abbiamo sempre avuto una cultura in cui libri e scrittori sono rispettati, ricevono attenzione. D’altra parte è crescente il razzismo e il nazionalismo. Recentemente il dipartimento giovanile del nostro partito di destra, The True Finns, ha dichiarato in pubblico di voler promuovere il razzismo e la pratica eugenetica, restaurando i programmi di eugenetica e di biologia della razza della Germania nazista degli anni Trenta. È doloroso assistere a come sia divenuto di tangibile attualità il tema del mio romanzo. Il nostro ministro degli esteri, apertamente antiabortista, Timo Soini, ha dichiarato di essere stanco della politica finlandese e di tutti i “froci vegetariani che vanno in bicicletta” del nostro paese. In questo momento, sto lavorando a una raccolta di racconti. Tratta di crimini o incidenti che hanno suscitato molta attenzione quando si sono verificati. Faccio un esempio: nel 2014 la polizia della città di Oulu ha trovato cinque neonati tenuti nel congelatore dalla donna che li ha fatti nascere. I bambini erano nati a diversi anni di distanza uno dall’altro, eppure, ogni volta, la donna prendeva i loro colpi, li metteva nel congelatore, che conservava nel seminterrato. Quella storia ha avuto una enorme eco sulla stampa, ma ora nessuno sembra ricordarsene, quindi la sto usando per scrivere un racconto. Spero di terminare la raccolta nei prossimi due anni.

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