18 Ottobre 2019

“Sto scrivendo la storia dell’editoria letteraria, sto facendo la rivoluzione, sto imponendo un nuovo modo di narrare”: Giulio Milani, il Joker del sistema editoriale odierno, ci racconta “Wildworld”

Giulio Milani è uno stratega – adotta l’arte del nascondimento e il suo impatto, una intelligenza da knock out, esige l’elusione. Pratica l’assalto, credo – credi che non ci sia, quando ti accorgi di lui, ti è addosso. Di fatto – ammetto ciò che disse Gianluca Barbera, che lo ha intervistato su questo foglio digitale – Giulio Milani è il genio selvatico del pensiero editoriale. Autore di libri quasi introvabili, spesso di culto, come si dice – esordisce alla narrativa vent’anni fa con La cartoonizzazione dell’Occidente, nel 2004 pubblica con Baldini & Castoldi Gli struggenti (o i kamikaze del desiderio) – e di manuali di guerriglia editoriale (L’arte della scrittura e della caccia al falcone), Milani è legato al marchio d’avanguardia Transeuropa, per cui, nel 2018, crea la collana di narrativa italiana “Wildworld”, “che inaugura un nuovo genere letterario… nasce il fatto di cronaca con dentro un’ucronia”. Milani è un incrocio tra Machiavelli e il Roy Batty di Blade Runner, forse è l’autentico Joker del sistema editoriale odierno. C’è da crederlo, leggendo i propositi di “Wildworld. Cronache e bugie dal mondo selvaggio”, lo spazio digitale, il giornale, il diario di bordo redatto da Achab, costruito intorno alla collana letteraria: “per esplorare il nostro mondo selvaggio fuori alle mappe novecentesche e lanciare una rivoluzione in campo editoriale e letterario”. Giulio Milani crea prototipi di narrazioni astronautiche da sbattere in faccia al grigiore dell’editoria presente, è un bombarolo della meraviglia, uno che stordisce per eccesso. Non posso che contattarlo. (d.b.)

Per Transeuropa Giulio Milani ha varato la collana “Wildworld”

Wildworld: che il mondo sia ‘selvaggio’ è un po’ sotto gli occhi di tutti. Come affrontare il selvaggio? Addomesticandolo, uccidendolo, ascoltandolo…

Non sono sicuro che sia così chiaro a tutti che il mondo sta tornando “selvaggio”, anche perché la selva è oggi la cattedrale, non più gli alberi della foresta a cui si ispiravano le colonne edificanti. Il costruito, il segno, il simbolico, non la natura – la più ambita delle prede, ormai accerchiata da ogni lato e prossima alla capitolazione – sono il nuovo mondo selvaggio di cui dobbiamo prendere le misure. Per farci cosa? Per sopravvivere, “naturalmente”.

Decidi (dici) di “lanciare una rivoluzione in campo editoriale e letterario”. Perché la parola (rosa dall’uso) rivoluzione? Cosa c’è che non ti piace nell’attuale “campo editoriale e letterario”?

Ribellione e rivoluzione sono parole logore, abusate, monopolizzate dall’ideologia, è vero. Ma qui ci si riferisce al letterario, dove le ribellioni e le rivoluzioni sono forse meno eclatanti dei fatti politici, se ne contano in minor numero, ma lasciano un segno duraturo. L’ultima rivoluzione letteraria che ricordo è stata la nascita del cosiddetto “movimento minimalista”, che come tutte le rivoluzioni è stata molto performativa e ben poco teorica. Batteria dei disse, paratassi e poetica della quotidianità. Sembra pochissimo, ma sono quarant’anni che ne parliamo e continua a dettare legge sul testo letterario. Questo succede perché le rivoluzioni, quando accadono – e se accadono, accadono sul campo – diventano un modello. Nel campo editoriale e letterario di oggi, in Italia, in primo luogo io vedo un territorio conteso fra tre regni: la poesia, la favola, il romanzo realista. Sono modelli di sovranità molto diversi uno dall’altro: il primo regno quasi non ha sudditi, ma solo capitale simbolico e stilistico da impiegare come dispensa per alimentare gli altri due; il secondo è la menzogna romantica che maccherona la realtà, come il mito, la religione naturale e la cosiddetta “cultura”, allo scopo di nascondere le tracce dei nostri misfatti e su queste basi stabilire permessi e divieti morali; il terzo è la sintesi dialettica dei primi due regni, che nei casi migliori rivela la verità apocalittica sulla tragedia della condizione umana. La rivoluzione si rende necessaria nella misura in cui dobbiamo liberarci dell’attitudine pedagogica, dell’isteria metaforizzante, dell’aquaplaning linguistico/affabulatorio, dell’ambiguofobia didascalica da sovranismo psichico: ossia le tare della favola nel romanzo realista. La rivoluzione che ho in mente è fatta di un paio di tecniche sostitutive, attitudine in levare e poetica del paradosso. Ma stiano tranquilli poeti e favolisti: non voglio fare prigionieri tra i loro sudditi. Non voglio proprio “fare prigionieri”. Anzi, cerco lettori di un tipo nuovo, soggetti attivi a cui affidare il compito di interpretare la capacità del testo.

Perché “cronache”, cosa c’entrano le “bugie”?

Il romanziere realista ha sempre preso ispirazione dalla cronaca, ma siccome è un romanziere (compromesso con la poesia e la favola) sa che la cronaca non è mai oggettiva, contiene la menzogna dell’interprete: lo scopo della nostra poetica è quello di mettere in rilievo le implicazioni tra vero e falso che sono alla base di tutte le cosiddette narrazioni del contemporaneo. In che modo? Impiegando il paradosso, come nel primo racconto inedito che abbiamo pubblicato: Inchiesta sulla Lega e il suo doppio di Massimo Iovinella, dove le Ong risultano finanziate da Salvini. Curare la bugia con la bugia somiglia in effetti a un trattamento omeopatico, con buona pace di Burioni. Però non lo faremo in modo sistematico. Anche qui, al lettore il compito di districarsi. Il nostro sito è una palestra per l’intelligenza del lettore, un campo di addestramento per imparare a sopravvivere nel nuovo mondo selvaggio in cui viviamo.

Wildworld affianca un progetto editoriale. Parli di “realismo allargato”: cosa significa?

Mi riferisco al superamento dei modelli del romanzo realista conosciuti fin qui. Per noi la tradizione va tradita in modo sistematico. Le regole del gioco non possono valere in eterno. Se cambia il gioco devono cambiare anche le regole, e il gioco sta cambiando. Cosa ci facciamo con le mappe letterarie del novecento se il territorio non è più lo stesso? Insistere con certe mappe significa relegarsi all’insignificanza. Per quanto riguarda la definizione approssimativa di realismo allargato, in sé e per sé, mi riferisco a un tipo di realismo che rinuncia al verosimile, all’appropriato, allo stereotipo e abbraccia il paradosso, il surreale e perfino l’impossibile «come cosa salda».

Cosa stai leggendo, cosa stai scrivendo?

Sto leggendo il futuro della narrativa in Italia. Sto scrivendo la storia dell’editoria letteraria.

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