12 Settembre 2020

Giovanni Allevi: anatomia di un fenomeno. Storia di un artista che si crede l’uomo del secolo (e che ora paragonano a Beethoven)

«Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze» (Uto Ughi su La Stampa, 24 dicembre 2008).

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Questo era lo sfogo del violinista Uto Ughi, che in una vigilia di Natale inaspriva la diatriba sul pianista Giovanni Allevi, un estenuante affaire culturale che si trascina da un quindicennio e ancora non ha trovato una soluzione. Come sappiamo, già nel 2008 Il Sole 24 Ore ricostruì la geniale operazione di marketing a due fasi – esibizione al Blue Note di New York propagandata come trionfo internazionale (quando in realtà il pubblico era soprattutto italiano e i media locali non ne facevano parola) e il successivo martellamento in tutti i media nostrani, con osanna generalizzati e interviste a piena pagina – che in brevissimo tempo aveva trasformato Giovanni Allevi in un divo inarrestabile. «Mi accusavano di volare troppo alto, così ho diviso l’album in due parti: nella prima prendo l’ascoltatore per mano con melodie accattivanti, nella seconda lo porto nei miei territori preferiti» dichiarava il pianista, corteggiato da giornalisti e ammiratori. «La mia non è contaminazione; la contaminazione è debole e soggetta alle mode. La mia è una musica dallo sviluppo rigoroso. Per questo non sono un jazzista ma un compositore europeo».

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Definito come un nuovo Mozart, come il “musicista classico” che avrebbe rivoluzionato l’intera tradizione occidentale e che sarebbe entrato nei cuori e nell’anima della gente, Giovanni Allevi si è considerato fin dall’inizio un profeta della nuova musica, parlando e agendo come se lo fosse davvero, e ne è rimasto convinto fino a oggi senza il minimo cedimento. Il fatto che fin qui abbia prodotto un pianismo leggero, semplice, quasi d’ambiente, ricalcando un Ludovico Einaudi in tono minore, non è valso a nulla, tanto che gli sono state affidate – addirittura – prestigiose conduzioni d’orchestra dagli esiti a dir poco imbarazzanti, eseguite con gesti puerili, inesperti, goffi, che talvolta mettevano in difficoltà anche gli strumentisti, servite solo a rinfocolare le polemiche. «La mia musica avrà sulla musica classica lo stesso impatto che l’Islam sta avendo sulla civiltà occidentale» arrivò ad affermare, con un’improntitudine tanto ingenua da non lasciarne nemmeno capire il senso.

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Ma ciò a cui vogliamo arrivare è l’attività “letteraria” di Giovanni Allevi, legata inevitabilmente alla sua controversa ascesa artistica. Sappiamo che il potere economico può rendere possibile qualsiasi cosa, quando azzecca le mosse, sia nello spettacolo, sia nella musica, sia nella politica, e naturalmente nella cultura. Rizzoli prima e Solferino poi (dopo la fusione di Rcs con Mondadori) gli hanno pubblicato sei libri, ovviamente focalizzati sui moti interiori del genio, di cui l’ultimo è appena uscito. Revoluzione (Solferino 2020) ha già il programma nel titolo: Giovanni Allevi sarebbe il portatore del Nuovo, colui che romperà lo status quo, rivoluzionerà la musica occidentale e scardinerà il dominio dei baroni che la vogliono mantenere ancorata al vecchio classicismo.

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Questo il risvolto dell’edizione digitale: “Le mani che si bloccano sulla tastiera di un pianoforte e si rifiutano di suonare, durante un concerto in Giappone. Una crisi di ansia, una contrattura di ogni muscolo, persino quelli della creatività. Che succede? Per venirne a capo, il protagonista di questo libro si rifugia in una casa di campagna. Solo, circondato da una natura brulla, tenta di sintonizzare di nuovo mente e corpo, per riprendere a comporre e suonare, ma gli incubi lo perseguitano e l’incertezza aumenta. Finché un giorno, nel silenzio di una radura, una voce lo prega: «Accudiscimi». Ed è l’inizio dell’amicizia tra lui e Maddalena, un «guru» che si manifesta dapprima come disincarnata voce filosofica e poi in una forma quanto mai inaspettata. Prendersi cura di questo «altro da sé» sarà il modo per rimettere ordine nel proprio universo interiore, arrivando a capire che la sua ansia è quella dell’innovazione, il fardello di chi decide di infrangere gli schemi e si sente esposto, privo di appoggi. Ma proprio dalla vulnerabilità e dall’imperfezione scaturisce il gesto artistico: uno slancio di compensazione, di superamento della nostra condizione di mortalità”.

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Il fardello di chi decide di infrangere gli schemi e si sente esposto, privo di appoggi: francamente non capiamo di cosa si stia parlando. Giovanni Allevi è stato insignito nel 2005 dell’onorificenza Bösendorfer Artist a Vienna, nel 2006 premiato come Miglior Pianista dell’anno a Napoli, nel 2011 è stato addirittura nominato Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, senza contare il Giffoni Award ricevuto nel 2013 e l’inno della Lega Calcio di Serie A commissionatogli nel 2015. Per soprammercato, gli è stato dedicato un asteroide, chiamato 111561 Giovanniallevi. Dunque, vorremmo che qualcuno spiegasse cosa significa, qui, l’espressione privo di appoggi. È una presa in giro? O una patologica aberrazione della realtà? Ciò che abbiamo visto finora è un artista che si ritiene l’uomo del secolo, il coraggioso innovatore che cambierà lo scenario musicale europeo, talmente sicuro di esserlo da pretendere di vedersi riconosciuto all’unanimità, non accettando il fatto che è impossibile convincere la totalità del pubblico e dei critici.

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In pratica, per soddisfare la sua personale ricerca dell’estasi artistica si vorrebbe imporre uno standard che investa l’intero immaginario collettivo. E, per assecondarlo, l’editore Solferino – diretta emanazione del Corriere della Sera – è arrivato a inserire nell’ultimo libro, Revoluzione, nientemeno che la “prefazione” del vicecaposervizio del giornale, Massimo Sideri, che scrive articoli su economia e innovazione tecnologica. Questi sono alcuni titoli sugli argomenti di cui è esperto: “Ecco chi sono i più ricchi di sempre”; “Supercomputer, l’Italia può tornare a competere”; “In ‘1984’ George Orwell descriveva la capacità dei sistemi totalitari di imporre un linguaggio e dei meccanismi capaci di annichilire le capacità critiche del pensiero”. L’esperto Sideri, incaricatosi di convincere tutti che Giovanni Allevi è il genio destinato a rivoluzionare la musica del nostro mondo, da bravo articolista ha confezionato una prefazione a suon di cannonate ad alzo zero.

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La prima mossa: “«È una musica arida e poco interessante, un tentativo sforzato di strane modulazioni, un’avversione per le normali relazioni tonali, un accumulo di difficoltà su difficoltà così da perdere ogni piacere nel compito. Un altro critico ha detto all’incirca le stesse cose e non possiamo altro che essere d’accordo con lui». Se vi state chiedendo chi potesse meritare questo giudizio tombale, privo di qualunque appello di fronte alla storia e al popolo, la risposta è Ludwig van Beethoven. Il lavoro del genio tedesco appariva così alla più autorevole rivista di critica musicale dell’epoca, la «Allgemeine musikalische Zeitung». Era il 1799. Le aspre critiche mosse non solo al Beethoven più giovane, ma anche a quello insuperabile dell’Eroica (…), mostrano come la musica sia sempre stata un campo di duro confronto tra chi difende la tradizione e chi vuole, a tutti i costi, innovare”.

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Ecco il primo sillogismo. L’innovatore Ludwig van Beethoven veniva osteggiato; Giovanni Allevi viene criticato; quindi Allevi è come Beethoven, di fronte alla storia e al popolo. Asteniamoci da osservazioni, e proseguiamo. “L’innovatore è sempre stato il grillo parlante della società, una fastidiosa goccia cinese che ci ripete ciò che non vogliamo sentirci dire: le cose stanno cambiando. Tic. Le cose stanno cambiando. Tic. Non c’è niente di peggio di questo «tic» per quella specie chiamata Homo sapiens che, una volta lasciati gli alberi centomila anni fa, ha scoperto la pigrizia. Ma troverete qualcosa di più in Revoluzione: il libro di Giovanni Allevi potrebbe essere interpretato come un manuale per la professione dell’innovatore, ancor più vero in quanto autobiografico. Dovrebbero studiarlo gli startupper e gli scienziati in erba per capire che, quando si ha una grande idea, c’è sempre immancabilmente un momento in cui bisogna domandarsi se si vuole essere dei bravi interpreti del proprio tempo oppure dei grandi visionari. Beethoven sarebbe stato un grande compositore anche se avesse deciso di non sfidare la penna dei critici del suo tempo. Ma volle fare di più”.

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Dunque, se l’Homo sapiens (sceso dagli alberi?) ha mantenuto la sua pigrizia, Giovanni Allevi gliela toglierà, perché è deciso a sfidare la penna dei critici. Non gli basta essere Beethoven, vuole andare oltre, fino a solcare gli oceani della Letteratura: “Nell’innovatore vive il senso della storia. E nella storia si cela sempre un contraltare, il senso del fallimento. Esserne consapevoli può essere doloroso: Melville creò il grande romanzo moderno, dove il nemico dell’uomo non è la Natura, l’infinità degli spazi, l’orrore o l’ignoto della balena. Moby Dick è l’uomo, da solo, nell’abisso della propria caverna. Vendette poche copie. Ma divenne immortale, seguendo la ricetta di de Musset”.

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Gli oceani, l’abisso, l’infinità, il grande romanzo moderno: ma questo è niente. “La distanza che separa l’innovatore dal fallito è un battito di ali di farfalla, una lucciola al suo ultimo luccichìo. Nessuno ricorda Alfred Russel Wallace: costretto a studiare da autodidatta per le incerte condizioni economiche della sua famiglia, si mantenne con delle docenze. E quando nel 1848 intraprese una spedizione in Amazzonia, una tempesta distrusse tutti i suoi materiali e i suoi appunti. Il suo articolo sulla teoria evoluzionista arrivò alle stampe insieme a quello di Charles Darwin. Fu un grande innovatore, di cui la storia decretò il «fallimento». L’innovatore, che sia scienziato, intellettuale o artista, percepisce la fuggevolezza della propria battaglia contro il creato (la Natura) e contro la società (l’uomo). Ma proprio questa fragilità, una sorta di resilienza morale, è la sua forza. Come nel massimalismo di Infinite Jest, la vita filtrata dai sensi di Allevi, colando nella scrittura, crea una esplosione infinita di stimoli, in questo caso musicali”.

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Siamo sconvolti. Dopo l’Homo sapiens che lascia gli alberi, Darwin che affronta la Natura, Moby Dick che solca i mari, non sappiamo se il “massimalismo” di Infinite Jest venga erroneamente riferito ad Alfred Russel Wallace scambiato per David Foster Wallace: il sospetto c’è, ma preferiamo non indagare. Vorremmo fermarci, ma dopo un passaggio sull’artista come “fisico delle particelle che non usa il microscopio” e – ovviamente – su Albert Einstein, arriva la sparata finale: “Quando, alla ricerca di civiltà extraterrestri, rimanderemo la musica nello spazio con un nuovo Voyager Golden Record, ricordiamoci di mandare anche una composizione di Allevi (No More Tears): parlerà al loro cuore. Se lo hanno”.

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Fatichiamo a trovare le parole per concludere. Un annaspare dalla preistoria ai classici alla scienza agli atomi fino a Voyager nello spazio: sembra che il bisogno di dare a Giovanni Allevi ciò che pretende pestando i piedi come un bambino cocciuto abbia fatto perdere il senso delle cose. Abbiamo un compositore di ambient music che vuole essere portato sugli scudi come un condottiero, come l’innovatore che porta il progresso, come il demiurgo che con i sensi filtra la sua vita e la fa colare nella scrittura, creando “l’esplosione infinita di stimoli” che forgerà l’uomo nuovo. Abbiamo una prefazione così sfacciata e incompetente, tanto servile e insensata da far vergognare. Abbiamo una casa editrice, Solferino, e un giornale, Corriere della Sera, finiti in questa trappola mascherata da normalità, senza sapere come ne usciranno.

Paolo Ferrucci

*In copertina: Giovanni Allevi; la fotografia è tratta da qui

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