28 Settembre 2020

“Bussare all’impossibile ogni giorno, omaggiare l’infinito. Non ci è chiesto altro per diventare poeti”

C’è chi si dedica alla scrittura quale unico mezzo per non cadere nel baratro. Sottopagato, ma meglio che niente. C’è chi, tutt’altro, non si dedica affatto alla scrittura per aver il tempo necessario per lavorare e quindi poter permettersi di pagare tasse, affitto o mutuo, e bollette varie. Nulla da obiettare. Infine, c’è qualcuno, ogni tanto (evviva!), che si dedica anima e corpo alla letteratura: leggendo e scrivendo, dopo il lavoro che gli dà il pane. È questa ineluttabilmente la condizione migliore, se non l’unica, con la quale ha a che fare chi si cimenta con la parola, quotidianamente, nel proprio atelier. Dopo aver rassettato casa, fatto la spesa, stirato, provveduto all’ennesimo imprevisto, al bene dei figli e, perché no?, all’igiene personale, ovviamente.

La vita del poeta, come dello scrittore (chiamatelo come volete, insomma), non è affatto facile né semplice. Assomiglia, se proprio bisogna dirla tutta, a quella di una massaia che si alza alle cinque del mattino e non sa a che ora riuscirà ad andare a dormire.

Esistono dunque svariate sfaccettature del problema in questione. Semplificando, chi è fortunato e ricco, può permettersi ogni agio e viaggio, dedicandosi a tempo perso e indeterminato al dovere-piacere più bello del mondo. Chi non ha di queste fortune, sarà piuttosto doppiamente fortunato. Poiché non gli verrà risparmiato nulla dalla vita. Occorre allora non solo nascere poeta, col desiderio innato di scrivere; bisogna, per giunta, essere disposti all’impossibile. E l’impossibile ha la fragranza dell’infinito.

Un amico recentemente sottolineava profeticamente, per chi volesse intraprendere l’annosa questione dello scrivere, di sprofondare nella letteratura. Che meraviglia! Tutto il resto non conta. Semmai, verrà dopo. Non pensiamo alla ricerca dell’editore, al pubblicare o meno, a quei barlumi di speranza ancorati a pura illusione…

Con ciò, non si vuole scoraggiare nessuno nell’intraprendere «l’arte scrittoria», ché veramente a mettersi a scrivere occorre l’occhio e la tempra di un amanuense. Si vuole semmai dire esattamente le cose come stanno: senza mezzi fronzoli; senza barare con nessuno.

Io ho la fortuna di avere alcuni amici scrittori. Fra questi mi piace ricordare, omaggiandolo per la sua umanità e il suo stile oratorio e scrittorio, Sandro Bonvissuto. Non me l’ha chiesto nessuno di parlare di lui. Non è, la mia citazione, un fargli pubblicità. Non ne ha bisogno, credetemi sulla parola.

Se ne racconto, però, è perché per me lui è stato ed è tutt’ora ‒ tra i tanti ‒ un esempio importante. Uno che non ti abbandona mai. Che quando ci sentiamo, e a volte faccio capolino nella sua vita con un messaggio, mi manda umilmente la foto di dove lavora. Come a dire: ‒ Io sto qua, Gio. Non mi muovo. La realtà parla chiaro. Bisogna avere i piedi per terra, nonostante sia uno scrittore famoso. Ecco, io penso che Sandro, a sua insaputa, sia pure poeta. Ci si vuole bene come fratelli. E quando un giorno l’ho accompagnato alla stazione di Milano Centrale, lui ha dato un biscotto a una zingara e l’altro a me. È poeta perché, quando stavo dalle sue parti, m’ha dato lo spunto per un racconto pubblicato poi nel 2015, che s’intitola Noi nessuno. Scritto come in un meraviglioso coro a due voci. Furono parole sue.

Tutto questo per dirti, sparuto lettore, che, se vuoi davvero scrivere e fare parte del mondo unico della letteratura, ti occorre ben poco: tanta tenacia, un desiderio infinito di bussare all’impossibile ogni giorno, mischiato ad umiltà e sacrificio. Tutto il resto appunto non conta. Non lo dico io. Lo diceva Jorge Luis Borges. Lo diceva Emily Dickinson.

Omaggiare l’infinito, e niente più. Non ci è chiesto altro.

Giorgio Anelli

*In copertina: un paesaggio di Nicolas De Staël (1914-1955)

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