26 Maggio 2019

“Se il fuoco ha ombra, ne porto testimonianza”: il nuovo romanzo di Giorgio Anelli, “Mirabilia Dei”

MONASTERO. 2

Don Girolamo ‒ vecchio prete ‒ lo afferro per il gomito prima che si fracassi a terra, e non mi possa più confessare. Mi confida, sorridendo, che i monaci, in passato, si erano divertiti a dare i nomi alle persone. Allora mi sono confessato. Ma, se di una colpa mi si vorrà accusare un giorno, sarà quella di esser stato poeta. Colpevole di aver vissuto.

Se il fuoco ha ombra, ne porto testimonianza. E la fatica ne è antico frammento, firmamento che crepita nel grembo della sua vampa. Non vi è fatica più grande, che quella di vivere nella fucina della solitudine. Ti ci porta il destino, a questa compiutezza. L’unica cosa certa di noi poveretti, è proprio la solitudine. Non c’è uno di noi che molto spesso il lunedì mattina, alla domanda: com’è andato il fine settimana?, risponda: al solito. Che tradotto, significa: solo come un cane. Ci si fa il callo, ad essere lasciati a noi stessi, abbandonati al proprio destino. Più gli anni passano, più signora solitudine vuole farsi padrona della tua vita. E tu, glielo concedi. Ognuno reagisce a suo modo, è chiaro. Io, probabilmente ‒ quasi certo ‒ sono più fortunato degli altri, perché son poeta. Così, la mia stanza da letto è diventata uno studio, dove leggo e scrivo. Sul muro campeggiano, tra le altre cose, alcune fotografie di amici poeti e scrittori che sono tutt’ora importanti nella mia vita. Tra queste, però, ne manca una. C’è un grande assente, qui, dove scrivo. Proprio per questo motivo, lo sento così vicino da esserne grato.

Rischiare tutto per la letteratura ‒ va detto. Sempre e comunque. Mi ha tenuto e mi tiene a galla, tra i gorghi della vita. ‒ Tu sei un folle, dove vuoi andare? È matto, non combinerà mai nulla di buono. Scrive poesie per cosa? Vive d’aria, ha la testa fra le nuvole. Insomma, la solita storia che si ripete. Sono stato spesso abbandonato, in passato, da gruppi di amici, a causa della mia malattia. Per non essere stato compreso. Sto male, se mi comporto stranamente, non lo faccio mica apposta. Invece, sì. Sei fuori dai giochi! Addio. Le cose più o meno andavano a tal maniera. Tanti anni fa. Nessun tentativo di voler capire quel che mi stava accadendo realmente. Gli amici si contano sulle dita di una mano. Si scopre l’acqua calda, a volte.

*

Nel centro città ‒ sembra che li attiri tutti io… ‒ mi si avvicina in bicicletta un ragazzo dal viso già visto, seppur sconosciuto. Inizia a chiedermi, tranquillamente, senza conoscermi: Senti, domani devo andare dallo psichiatra al Centro psico sociale. Sarà meglio che gli porti un regalo? Vedi tu, gli faccio io. Gli ho già fatto regali a Natale e Pasqua, continua lui. Allora lascia perdere, va bene così. Ma no, insiste lui, magari un pacco di pasta. Vedi tu, amico mio. Ma l’amico non mi molla, mi tallona sulla sua bicicletta, chiedendomi ancora: Secondo te non devo disturbare le infermiere alla mattina presto? E avanti di questo passo, riuscendo a mettermi addosso un minimo di tensione. Però, poi dopo se ne va, e io penso che l’averlo ascoltato nel suo delirio, l’abbia un minimo sollevato. Forse.

*

In un occhio ho sentore di lupo. Nell’altro, brilla la tempesta. Conoscere una musa sarebbe cosa perturbante. ‒ Sappi che aspetterò fino all’ultimo la tua risposta. Tu, che ami un figlio pieno di limiti ‒. Donna tra i ghiacci. Irraggiungibile. Protetta dai massi e dai boschi; fin dall’aquila. Il suo incanto ha qualcosa che non asseconda totalmente. Il suo gioco, mi disarma come rinuncia. Il suo giogo è follia? Non era folle, persino, la letteratura un tempo? Non è folle andare avanti oltre il limite, nonostante la malattia persista? Dimmi, tu, allora, cosa dobbiamo fare di noi? Pensi che io scriva unicamente per il lettore. E se, invece ‒ caro lettore ‒ io scrivessi anche per lei? Se esisti, rispondimi, musa di ghiaccio. Dimostrami che non sei chimera. La nostra anima è legata a un rito, inchiodata al mito. Ti scrivo tra l’Alfa e l’Omega, da questo transito chiamato percorso di cera… Ora…

Se tu vedessi quei massi
con gl’occhi fissi
messi come case su rigagnoli

Se tu vedessi quei lampi
in cielo come nei miei occhi
capiresti che

Di fugaci viaggi mi appaga
lo sguardo sul reale: quella fontana,
la coppia che passeggia,
bollicine di prosecco nel bicchiere;
mi appaga lo sguardo sul peregrinare ignoto e inconsueto,
perché è segno del poco che basta.
Eppure, più di tutto
cerco la visione

Amica intima, eterna incantevole tentazione.

Amante, che tu sei per me lo specchio, dammi tregua [per] un attimo, fammi contento. O come Medusa, raggeli il mio corpo e il cuore. Tanto da farne scempio, sotto il ponte, in quel burrone. Io, che pensai all’amore, puro e folle persi purezza. Tu incendi. Non intercedi. Prendi a tradimento. Non ti concedi. Amata musa. La tua malia mi sovrasta. Non disturba. Anzi. Contorce il cuore, e il mio livore si fa cupo tra la nebbia che sale al cielo. Mentre ‒ te stessa foresta, e cascata ‒ godi, come inebetita da profumo di lupa in calore. Ora so bene dove sgorga solitudine ‒ come nettare dalle tue gambe ‒ che mi fa nuovo al mondo e reietto, a te sola.

Giorgio Anelli

*In copertina: figura umana di Eugène Delacroix

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