28 Aprile 2019

“Essere voluti dal destino. E nient’altro. Dentro una foresta di farfalle”: il racconto a puntate di Giorgio Anelli, “Mirabilia Dei!

PSICHIATRIA. 5

Sul letto della mia stanza, con la chitarra suono i Doors. Un ragazzo si avvicina, mi osanna. Tira urla opache contro se stesso. Occhi stralunati, occhiaie novizie. Le mie o sue ‒ a seconda dell’occasione ‒ guardie del corpo, lo allontanano. Ha i capelli neri, e ricci. Chissà perché è qui anche lui? La stanza del refettorio è enorme. Mangio all’inverosimile. In un angolo di un’altra stanza, un’esile infermiera dai capelli bianchi taglia le unghie dei piedi a un paziente non certo giovane. Quella stessa infermiera che un giorno, in un battibaleno, mi ha portato nella chiesetta dell’ospedale e mi ha detto di salutare la madonnina. Ho saputo che, prima di trasportarmi sull’ambulanza, ho composto con le sigarette la parola ‘Maria’, davanti alla statua della Madonna, nel cortile del parroco. La sera, invece, gioco per il corridoio a tirare calci con una pallina di carta insieme a Laura. Laura è giovane, ed è bella. Ha la pelle del mare. Ed è la sera mundial. Sta giocando l’Italia. Gli infermieri sono incollati alla tv. Laura vuole scoparmi. Me lo fa capire con lo sguardo, mentre smorfie maliziose le piegano il viso. La sua voglia malata è anche mia. Voglio che mi prenda la nerchia e se la strofini in bocca. Interviene l’infermiere. La festa è finita.

*

Sono stato fortunato. Dopo il licenziamento da quella ditta, stavo giù parecchio. C, mi ha rivoluto in cooperativa. Perché c’era del lavoro da svolgere. E io, in passato, quel lavoro l’avevo svolto veramente bene. Mi ha chiamato. Ha cercato proprio me. Pur sapendo, che di lì a breve avrebbe lasciato la cooperativa. G, nemmeno di lei si scorderà.

Ero fortemente depresso, ma non feci un giorno di assenza. Ero abbattuto. Lavoravo accanto a quel dirigibile di collega, il quale non faceva altro che sparare cavolate tutto il giorno. Non mi assentai mai. Quel lavoro, fu la mia salvezza. Lì ho capito che quel luogo e quelle persone, nonostante qualsiasi fatica o antipatia avversa, a poco a poco mi stavano facendo sentire come a casa.

*

Avere un disturbo bipolare dell’umore, è come ricevere una sorpresa inaspettata da scartare lentamente negli anni. In uno dei miei deliri bevevo la notte scura, dallo scorrere di una fontana di montagna, in pieno inverno a milleottocento metri di altezza. Quella fonte fu il mio argento. Rendermi immortale nella vita fustigata dal reale, era il compito inconscio quanto precipuo. Tutto quello che toccavo, corrompevo. Il mio corpo, si disfaceva in mille costumi. Amori malati. Umori, presunti. Lune infuocate. Dove siete?, ripetevo a me stesso. Io non ho donne, ho solo incanti.

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In un altro dei miei deliri, invocavo il tuo nome, Dio mio… Non so come ho fatto a resistere. A guidare come un matto a tutta velocità, rimanendo vivo. A urlare per quella valle ghiacciata, notti e notti intere, senza essere arrestato. A Milano con Chiara ‒ eh, Chiara… ‒ ci andò bene. Guidavo di sera con gli occhiali da sole. Un’auto ci ha leggermente toccato dentro. Chiara ha gridato, come quando una zingara si accorge che le stanno portando via il figlio. Andavo in giro per la città, sputando contro le serrande e le vetrine dei negozi. Non ero più io. Eppure, ero pur io. Straniato. Estraniato.

Sembra facile non lavorare quando ci si trova in una situazione del genere. Certo, certo! Invece, è l’unica condizione possibile per poter guarire. Il tempo dilatato, che ha bisogno di tempo, affinché tu possa ritornare padrone del tempo. E dentro quel tempo, lotti. La depressione o l’eccitamento, hanno tempi dispari. Sembra di stare in un’altra dimensione, di vedere tutto sotto un’altra ottica, che spesso è quella del timore, della sonnolenza, dell’inedia. Altrimenti, fai cose assurde. Non legittimate o giustificate, certo. Però le fai! Sono entrato in un cinema. Durante la proiezione, ogni tanto mi muovevo nella sala buia. Meno male che eravamo in quattro gatti. Poi, ho iniziato a masturbarmi. E la donna in ultima fila, dannazione, si è accorta eccome. Sono riuscito a scamparla per un pelo.

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Quindi, nonostante tutto, sarei una meraviglia. E di Dio, per giunta! Che cos’è una meraviglia? Di meraviglioso conosco solo la poesia. Non ho mai pensato a me, in tal modo. Dio, poi… Con Nostro Signore ho sempre avuto un rapporto sinusoidale. Sono un uomo di grande fede, al punto tale che sono arrivato fino a bestemmiare. Aveva ragione don Ugo, a milleottocento metri, nel dirmi, sorridendo, che non è nient’altro che una giaculatoria. Dovrei imparare a lamentarmi un po’ meno. Comunque sia ‒ tempo, medicine, famiglia, amori, amici, lavoro, cura, passioni, destino ‒ aiutano eccome. La cosa più importante però è il destino. Voglio dire: vivere il tuo destino secondo destino. Essere voluti dal destino. E nient’altro. Poi, c’è lei. Lei, chi? La mia voce silenziosa. Perché, silenziosa? Perché la sento solo io. E non è che la sento sempre. Ogni tanto bussa, e mi parla. Per esempio, arriva all’improvviso come adesso e mi dice: ‒ Che fai, G?

Chi sei?

‒ Come, chi sono? Lo sai chi sono, G.

Dimmelo tu.

‒ Sono venuta a ricordarti che sei mio. Non ti sbarazzi di me.

E così com’è venuta, svanisce. Che sia la malattia, la mia ombra, o persino la coscienza, non saprei dire. Però c’è, e a volte mi fa compagnia. Anzi. So cos’è! È la voce di tutte le persone care che ho perso. A turno bussano, inaspettatamente. E io, follemente, ascolto la loro voce. Come una foresta di farfalle danza nel grido siderale della cascata.

Giorgio Anelli

*In copertina: Luca Longhi, “La dama e l’unicorno” (possibile ritratto di Giulia Farnese)

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