10 Ottobre 2018

Gianni Fucci, il “viandante delle parole”, compie 90 anni: elogio del poeta che ha scritto un possente romanzo lirico in dialetto, è stato influenzato da Nietzsche, si è dato all’arte dell’haiku ed è più bravo di Tonino Guerra

Di quelli del fatidico ‘circolo’ che cambiò un pezzo della letteratura italiana fu il più giovane, quello che restò al ‘paese’, senza fronzoli, a custodire il forziere delle memorie; quello, probabilmente, che ha scritto il libro abbacinante.

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Fecero di un piccolo borgo di Romagna, Santarcangelo, una angelologia lirica. Si chiamava “E’ circal de’ giudéizi”, che nome imperativo, il circolo del giudizio, si vedevano al bar, dilettandosi di letteratura, cominciando a manovrare il dialetto. Di loro, Tonino Guerra fu l’Omero, quello che fece fortuna a Cinecittà – con Fellini, Antonioni, Rosi, e poi Tarkovskij e Angelopoulos – Raffaello Baldini fu il sommo poeta, fece carriera a Milano e portò il favellare di Romagna a smusare con Samuel Beckett, Nino Pedretti, invece, fu il genio sregolato, per altro gran traduttore dall’inglese – con certe liaison con Sylvia Plath. Del gruppo, va detto di Flavio Nicolini, che s’inventò le più belle fiction per la Rai dai Sessanta agli Ottanta, mente finissima. Costoro, sono tutti morti.

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Gianni FucciPosto che importino misure, classifiche, pesi. Se I bu – Tonino Guerra – è il libro che fa esplodere la rustica genialità del ‘romagnolo’, Intercity – Raffaello Baldini – è il testo assoluto, tra i grandi della poesia italiana totale del secondo Novecento, mentre Gli uomini sono strade – Nino Pedretti – con silenziosa costanza trama nuovi cunicoli – nitidezza illecita dell’assurdo – nella nostra lirica. Eppure, è il più giovane di tutti, Gianni Fucci (nella photo di Daniele Ferroni), che ha fatto di tutto – “perito edile, ha esercitato veri mestieri fra i quali il bracciante agricolo, il muratore a Zurigo, l’insegnante a Rimini, l’aiuto regista, prima con Flavio Nicolini poi con Elio Petri, per chiudere la suo carriera lavorativa come bibliotecario nella Biblioteca ‘Antonio Baldini’ di Santarcangelo di Romagna” – a scrivere il poema totale, che li abbraccia tutti, Rumanz (2011), la sua “epica familiare in dialetto santarcangiolese”.

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Di quel libro mi pare che si sia detto troppo poco, eppure, che enormità. 38 canti suddivisi in tre cantiche, il tutto in ottave: Fucci ha fatto epica la propria vita, una specie di Orlando furioso in dialetto, seguendo l’esempio – di micidiale raffinatezza – dell’Onegin. Ha dato al dialetto, insomma, un fiato nuovo, un fato. Fatali, soprattutto, questa manciata di versi finali, che cito in italiano: “Ora che il nulla brilla e mi circonda/ (non è più tempo di credere alle fole)/ io son col mio dialetto – che scompare –/ la vecchia barca che attraversa il mare// per ritrovare la stilla d’emozione/ che oltrepassa il tempo”.

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Gianni Fucci, poeta dalle letture dottissime, che sembra frugale ma che con il dialetto cesella avorio, non fa mica il pane, ha compiuto 90 anni il 3 ottobre scorso, ha visto i suoi amici morire, è un sopravvissuto a un tempo frantumato, proviene dagli anni in cui essere poeta era una via, l’amicizia un ristoro nell’oro e il resto, beh, si aggiustava, ci si avviava all’avventura. La volta che l’ho incontrato, ricordo che Gianni Fucci parlava con ammirazione di Andrea Zanzotto, che aveva ospitato sul divano di casa sua (qui l’ho intervistato per i suoi 88).

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Gianni Fucci
Il ‘Rumànz’ di Gianni Fucci con una lettera autografa inviata a d.b. dell’11 dicembre 2016

Di Gianni Fucci, a 90 anni, mi sorprende sempre la ventosa giovinezza. In una lettera del 22 settembre 2016 mi ha fatto un regesto delle sue letture filosofiche: “Ho letto solo alcuni Dialoghi di Platone, parte della Metafisica di Aristotele, leggiucchiato qua e là Pascal, parte della Critica della ragion pura di Kant e con molto interesse Così parlò Zarathustra, Ecce Homo, Al di là del bene e del male di Nietzsche, di cui ho subito un certo influsso”. Uno stupendo dialettale influenzato da Nietzsche, che meraviglia. Nel dicembre del 2016 il poeta mi ha regalato una poesia, “Carissimo amico, la sua genialità di poeta mi vede, ancora una volta, ad importunarla”. Un mio verso, tratto da Annali, diceva avergli “ispirato il ‘Sonetto natalizio’ che ho scritto quest’anno (una consuetudine più che quarantennale)”. Parole di cui sono sempre grato, al cospetto della mia ingratitudine – non sono più andato a trovare Fucci.

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A 90 anni, cioè a giovinezza raggiunta, il poeta Gianni Fucci ci dona una raccolta di poesie in italiano, Il mio cuore ascolta, edite con notevole perizia da Il Vicolo di Cesena. Tra le tante cose sorprendenti, l’approdo del poeta all’haiku, risolto in modo estremamente musicale, e con furore di onestà: “Il nostro andare/ è solo un tribolare/ in alto mare”; “Ascolti il vento/ come un bel incantamento/ e sei contento”.

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La cosa più bella, però, è il testo con cui il poeta introduce alla lettura delle sue poesie. Eccolo: “Va, l’acqua, e passa silente, sotti i ponti. Così la poesia con discrezione si porge al lettore con l’umiltà propria dell’ancella. Il poeta è colui che ha gestito il suo ‘parto’ con delicatezza, ne ha raccolto il ‘battito’ e l’ha proposto al lettore, cui lascia il compito di colorare il suo cammino con l’intelligenza e la passione; di scandagliare mediante le sue parole il senso della vita, sempre diversa, misteriosa e inconoscibile; seguire i suoi voli, le sue impennate, le sue lusinghiere avance e sentirsi portare lassù, nei cieli tersi, luccicanti e sonori come un carillon. Poi stupire della sua forza, della sua levità, del suo essere. Sempre se stessa ma sempre diversa. Indifferente al proprio fascino. Siate quindi attenti e generosi. Io continuo ad essere l’antico viandante delle parole antiche e nuove”. Che risolta definizione del poeta, viandante delle parole antiche e nuove. (d.b.)

 

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