06 Settembre 2020

“Ho avuto la nettissima sensazione di trovarmi nel centro esatto dell’universo”. Gianluca Barbera ci scrive da Gerusalemme (e inaugura la rubrica “Cartoline dal mondo”)

L’ultima volta che l’ho incontrato – l’anno scorso, credo – mi ha portato tra i colli senesi. Il fuoristrada tagliava i boschi percorrendo sentieri vertiginosi, neri e pieni di uccelli. Dopo un po’ siamo approdati in un piccolo borgo: spunzoni di rocca medioevale, un paio di vie, il silenzio denso come olio, la luce che traduce le forme in possibilità. “Tutto è altro”, mi dicevo, ripetendo Evagrio Pontico. Il panorama era straordinario, che banalità. Solo che mentre io ammiravo i colli senesi Gianluca Barbera, bardato di cappello, barba da Achab e occhi enciclopedici, vedeva, in quegli stessi avvallamenti, Ecbatana e Efeso, una antica città in Normandia, un paese di minatori, in Russia, l’estasi di una storia. Da allora non l’ho più visto. Nel frattempo ha pubblicato un romanzo, “Il Viaggio dei Viaggi”, più ambizioso dei precedenti, dedicati a “Magellano” e a “Marco Polo”. Già quel giorno dichiarava il desiderio di inseguire la propria ispirazione, ovunque essa lo conducesse, di compiere una vita inattuale, tesa al rischio, devota all’enigma. Ho cercato di chiamarlo un paio di settimane fa, perché l’amicizia, per me, è oro. Il telefono è sempre staccato. Qua e là ho letto recensioni lusinghiere al suo romanzo, diverse interviste. È vivo, mi son detto. Poi si è palesato. Una breve mail da Gerusalemme in cui scrive qualcosa di vago sul “Vangelo di Cristo”. La cosa mi ha incuriosito; mi ha sollevato, soprattutto, avere una traccia del mio amico. “Questo mondo mi annoia”, ricordo che mi aveva detto, l’anno scorso. Da giornalista l’ho messo all’angolo: scrivimi una lettera compiuta, gli ho intimato, una specie di racconto del tuo viaggio, chiamerò la rubrica “Cartoline dal mondo”. Barbera ha detto sì, l’idea lo stuzzica, ed ecco a voi la prima puntata. (d.b.)

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Caro Davide, mio caro direttore, ti mando questa e-mail dalla città santa di Gerusalemme.

Ti domanderai che cosa ci faccio qui. È presto detto. Sono venuto per incontrare un amico dei tempi dell’università, che in questo momento insegna a Storia delle religioni all’Università di Gerusalemme. Una settimana fa ho ricevuto da lui una stranissima e-mail, che mi ha messo in un grande stato di agitazione. Sulle prime credevo a uno scherzo. Pensa che mi scriveva di essere entrato in possesso nientemeno che del Quinto Evangelio. Quello scritto da Gesù stesso, di suo pugno. Non potevo crederlo. Se non fosse stato lui a dirmelo – persona seria – lo avrei preso per un mitomane, un pazzo. Eppure, pare che sia proprio così. Mi ha mandato una scansione di alcuni frammenti e a quel punto non ci ho pensato due volte. Ho preso il primo volo. Voglio verificare di persona. È una questione troppo importante. Lo vedrò questa sera, cena a casa sua. Nel frattempo, per impiegare il tempo al meglio, mi sono dedicato a visitare la città.

Prima tappa, Monte del Tempio. Spianata delle Moschee, per i musulmani.

Mi sono fatto portare da un taxi fino ai piedi del monte. Seguendo alcuni cartelli sono entrato dalla porta riservata ai cristiani.

Appena dentro mi sono sentito preso da una vertigine. Il colpo d’occhio era impressionante. Al centro dell’enorme rettangolo in cui consiste la Spianata, un’area sopraelevata delimitata e sostenuta sui quattro lati da massicce mura di contenimento, troneggia una poderosa cupola d’oro. La Cupola della Roccia. Che meraviglia!, ho pensato. Mi sono voltato e sul lato destro, poco distante, ecco apparirmi il gioiello architettonico della Cupola della Catena, dove si racconta che Davide e Salomone amministrassero la giustizia. E su tre lati – nord, sud, ovest – i quattro zuccherosi minareti di al-Fakhariyya, Ghawanima, Bab al-Silsila e al-Asbat. Poco più in là, per uno stretto passaggio si accede a uno dei più stupefacenti edifici religiosi del mondo, la Moschea al-Aqṣā, sorta nel punto esatto in cui in età remota si ergeva il Tempio di Salomone, e dove, al tempo del re di Gerusalemme Baldovino II, i Cavalieri Templari ebbero la loro prima sede. Solo con la riconquista della città da parte di Saladino la complessa struttura sarebbe stata riconvertita in moschea. Quale emozione, trovarmi lì, in quel punto esatto, così vibrante di energie, crocevia e cuore pulsante di tutte le civiltà sorte attorno al Mediterraneo. Per un attimo mi è mancato il respiro.

Ho avuto la nettissima sensazione di trovarmi nel centro esatto dell’universo. In questo luogo s’incontrano, o forse dovrei dire si scontrano, le tre grandi religioni monoteiste del pianeta: cristianesimo, ebraismo e islam. Questo è forse il luogo più intriso di simbolismo e di misticismo della terra, e anche il più conteso. A dire il vero anche il paganesimo ha avuto qui un suo santuario, un suo centro di culto, ai tempi dell’imperatore Adriano; per l’esattezza un colossale tempio dedicato a Giove, poi demolito per far posto a basiliche cristiane e moschee. A un certo punto qualcuno mi ha tirato per la manica della giacchetta.

«Le serve una guida?» mi sono sentito dire in inglese.

Un arabo piccoletto mi sorrideva sotto un paio di baffetti saltellanti.

«Perché no? Why not?» ho risposto.

L’altro mi ha fissato sorpreso. Evidentemente non si aspettava quella risposta.

«Lei è italiano?».

«Ma certo. Da cosa l’ha capito?» ho detto scherzando.

«Anche io lo sono» ha detto l’uomo.

«Lei? E che ci fa qui, nei panni di una guida turistica?».

«Ah, sapesse» ha detto lui, «è una lunga storia. Non perderò tempo a raccontargliela, se non per dirle che una decina di anni fa mi sono convertito all’islam e mi sono trasferito qui, a Gerusalemme. Poi ho iniziato a seguire la via del sufismo e…».

«Lei pratica il sufismo? È un sufi?».

«A rigore, dovrei risponderle di no. Un sufi non ammetterà mai di esserlo. È una questione di purezza: tradotto, di modestia. Ma siccome siamo concittadini…». E ha allargato le braccia.

«Il sufismo mi ha sempre spiazzato» ho detto.

«Bisogna intendersi» si è affrettato a rispondere l’altro. «Vede, il sufismo non è qualcosa che si possa spiegare a parole. Non è un insieme di regole o di conoscenze: è una pratica, un comportamento, un adeguarsi alla volontà di Allah in tutto e per tutto. In realtà esseri sufi significa soltanto abbandonare quello che hai nella testa, donare ciò che hai nella mano e non ritrarti di fronte ciò che ti riserva il destino. Il sufismo non è che un abbandono totale a Dio. Un assumere le sue qualità. Per usare le parole del grande sufi Junayd al-Baghdadi, sii con Allah, senza attaccarti a nulla che non sia Lui… Un vero sufi a nulla si attacca e da nulla è attaccato… Come ha scritto il sommo Abul Hassan Ali ibn Jafar Al Kharqani, sufi non è chi porta sempre il tappeto da preghiera, né chi indossa vestiti rattoppati, né chi mantiene certe abitudini e apparenze. Sufi è colui che attira l’attenzione di tutti, pur nascondendosi. Sufi è colui che durante il giorno non necessita di sole e di notte non ha bisogno della luna. L’essenza del Sufismo è l’inesistenza assoluta che non necessita di esistenza, dato che non c’è esistenza oltre a quella di Allah».

«Lei parla come un libro stampato» gli ho fatto notare. «O piuttosto come una guida. E mi dica: si può essere sufi e guide turistiche al tempo stesso?».

«Perché no? In qualche modo si dovrà pur campare, no? L’importante è seguire la buona via, fare ciò che è più adatto a ciascuno in ogni momento, ciò che è più opportuno secondo il tempo e il luogo. Il sufismo consiste nel non possedere nulla, così come nulla abbia a possedere te… Ma venga, mettiamoci all’ombra di quegli alberi, parleremo meglio».

Come ci siamo spostati, la guida si è asciugata la fronte sudata con un fazzoletto.

«Vede, un sufi è come la terra, calpestata dai pii e dagli empi, è come le nubi, la cui ombra si estende su ogni cosa, è come la pioggia che bagna ogni cosa».

«Chi lo ha detto?».

«Un sufi persiano del IX secolo… Ah, a proposito, non ci siamo presentati. Piacere, mi chiamo Guido, anche se ora il mio nome è Abu Bakr, in onore di…».

«Piacere, Gianluca» ho detto, senza lasciarlo finire. E gli ho porto la mano.

«È qui come turista?».

«Sì e no. In questo momento sì. In serata vedrò un amico e domani prenderò un volo per rientrare in Italia, purtroppo».

«Ah, che peccato. Venga, le racconto qualcosa dei vari edifici che sorgono su questo sacro recinto»…

Così, tanto per raccontarti qualcosa. Mi fermo qui. Domani, se potrò, ti dirò come è andato l’incontro con Y. Immagino che tu stia morendo dalla voglia di sapere di più del Quinto Evangelio. Per me è lo stesso, del resto. A domani, a Dio piacendo. Un abbraccione, Gianluca

Gerusalemme, 4 settembre 2020

*In copertina: Giacomo Brogi (1822-1881), Cupola della chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme

 

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