20 Novembre 2019

L’editoriale al poeta: “E non vantarsene”, la poesia-manifesto di Giancarlo Sissa. Con una modesta proposta: i poeti rinuncino al nome, lascino parlare la poesia, nuda, in mano al lettore. Ammutinamento dell’io

Appena l’ho sentita, letta, s’intitola “Nota di poetica non richiesta”, mi sono detto, bisogna farne una regola, una norma. Andrebbe letta prima di tutto. Prima di credersi iniziati al verbo, prima di darsi al verso, prima di ogni cosa. “E non vantarsene”. Masticare queste parole, di continuo. “E non vantarsene”. Perché vantarsi della poesia significa ucciderla in culla. Questa, di Giancarlo Sissa – ma è così poco il poeta, il nome, dico, rispetto alla poesia, che ha genealogia obliqua e generazioni al di là, chissà dove germina – non è una poesia, è un ‘memento mori’, mi pare, mi piace. D’altronde, “vanità” è una parola ventosa, perfino bella. Rimanda al vuoto, al vano, al fugace, al futile. Nel vuoto i mistici vedono Dio; nel fugace i monaci giapponesi riconoscono la trasparente bellezza della nostalgia; nel futile alcuni santi intendono la resa di sé, il dono, lo spreco gratuito per il bene altrui. D’altronde, amiamo le cose, i volti, perché sono vani, ombre, cosa di cui è assurdo darsi vanto, a cui occorre dedicarsi. La vanità è la zona franca, l’istante in cui il male ci morde: crederci una clamorosa individualità, al posto di dare fondo al vuoto per poter essere tutto. Ecco. Il poeta è niente per lasciare spazio a tutto il resto. La scrittura, che inchioda verbalmente la nostra vita, ci dà l’idea che siamo scrittori, che il vano sia vanto, che l’ombra sia carne. Idiozia. Del poeta è ammissibile, con quieta tenerezza, la vanità soltanto perché è la creatura più debole, cosa gli resta dopo aver scritto ciò che gli è dettato? Il vanto, il vento. Francesca Ricchi, scrittrice, poeta, porta una rivoluzione dell’ego, la sua riduzione in ago: “perché non fate dei piccoli libretti di singoli poeti che non si firmano e rinunciano ai diritti di autore (peraltro milioni di euro), da vendere a tre/quattro euro? se uno non resiste e dice che il libercolo è suo deve uscire dalla collana, se no saranno i lettori (peraltro milioni) nel tempo, a divertirsi a capire chi possano essere. Niente pseudonimi o baggianate simili, solo potere alla Poesia…”, e specifica, “spostando l’attenzione dal creante – che è importante ma non nel suo bisogno di farsi riconoscere – al creato”. Facciamolo. Un ammutinamento dell’io, in favore della poesia – gesto di rinuncia che ci eleva a umani. “Non vantarsene” sarà il nostro inno. (d.b.)

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Prima di parlare di poesia bisognerebbe aver incontrato i secoli. E le proprie mani piene di lavoro e di silenzio. E non vantarsene ma ricominciare ogni giorno. E non vantarsene ma bruciare sottovoce nel fuoco del buio. E non fingere di sapere. E non vantarsene. In riva al destarsi. In riva. Al destarsi. Non vantarsene.

Volevo dire prima di parlare di follia.

La follia non ha specchi ma garze marcite attorno al cuore. Vele strappate al buio. Voci bisbigliate da dietro le colonne crollate. La follia a volte può essere il vento ai prati o la pioggia ai giorni stanchi di numeri.

E volevo dire poesia. E volevo dire poeti.

E non vantarsene

Giancarlo Sissa

*In copertina: Giancarlo Sissa nel ritratto fotografico di Daniele Ferroni

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