05 Agosto 2019

“Oggi i veri poeti si muovono alla luce delle fiaccole nel ventre della terra e baciano i loro martiri”: pellegrinaggio nell’ultimo libro di Gian Ruggero Manzoni

Vi è mai capitato di leggere un libro e di trovarci dentro non soltanto voi stessi, ma una porzione del mondo che vi circonda? Si tratta di misteriose congiunzioni astrali, momenti più che fortunati, coincidenze meravigliose. Ecco, davanti ad un libro così si incorre in una sorta di epifania e non si può restare impassibili. Non si può, a nostra volta, non scriverne. Il libro in questione, almeno per me, in questo momento, è Nel profumo delle catacombe di Gian Ruggero Manzoni. Le poesie contenute in questo volumetto edito da L’Arcolaio di Forlì, sono invocazioni, preghiere, imprecazioni; troverete i fetidi cubicoli stipati di cadaveri, teschi prodigiosi, epigrafi ambigue e perfino crudeli. Insomma, io stesso, a mente fredda, mi sono chiesto come mai un libro simile mi è parso fin da subito perfetto per descrivere il nostro momento culturale. E ho cercato una risposta, forse andando contro il poeta stesso; ma si sa, una volta buttata in pasto a noi lettori, l’opera letteraria diventa nostra.

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In un’epoca dal capitalismo vittorioso, imponente, dove alla qualità si è via via sostituita la logica del mercato, era naturale e prevedibile che anche la cultura, presto o tardi, cadesse nel baratro del consumismo. Ma questa è storia vecchia. Sono decenni ormai che la l’arte è schiava del portafoglio, sono anni che la letteratura credono di farla con gli scrittori/personaggi anziché con il valore dei testi. Ormai è un ritornello che continuiamo a leggere su molteplici testate, gridato a gran voce con quel certo gusto sadico di chi sta affondando in pieno oceano e gode nel dire “ve l’avevo detto!”.

Credo sia il tempo di superare la delusione generata dall’ampia alfabetizzazione: si credeva che aumentando le possibilità, i mezzi, la tecnica con cui diffondere la cultura, questo avrebbe portato anche un miglioramento della cultura stessa. Ma non è andata così. “L’alfabetizzazione non è cultura” diceva Carmelo Bene.

Sempre più spesso si sente dire che la cultura vera sta da un’altra parte. Ecco, questa “Altra parte” assume così la consistenza mistica del romanzo di Alfred Kubin, una porzione d’ombra dove i riflettori della pubblicità non riescono ad arrivare. Si tratta di piccole/medie case editrici, alcune delle quali restano volutamente nascoste o inaccessibili, di vecchi stampatori che mettono insieme i caratteri mobili per comporre un testo pregiato e unico, o di librerie nate e cresciute in un sottoscala. Ma il quadro non è così semplice: occorre fare attenzione perché la letteratura non diventi roba sofisticata, roba chic. Di contro alle grandi distribuzioni, alle catene, agli e-commerce, ai libri di Benedetta Parodi stampati in centinaia di migliaia di copie, ci sono gli intellettuali snob che prediligono i salottini con aperitivo e poesie annesse, spesso incomprensibilmente brutte, stampate in dodici copie e su carta riciclata del Ghana. Sono circoli in cui la parola d’ordine è ‘esclusivismo’, all’insegna di un borioso atteggiamento supponente generato da montagne di manoscritti rigettati, ambienti dominati dal risentimento e dalla gran voglia di stupire, sconvolgere una morale già sufficientemente sconvolta, e da un’assoluta ignoranza verso i classici. In questi ambienti si studiano novità tecniche per la ‘fruizione’ della letteratura, come i distributori automatici di racconti alla fermata della metro: questa gente crede di fare molto per la cultura, ma in realtà non fa un bel niente, non ha compreso che la tecnica non ha bisogno di ulteriori spinte, quasi che la letteratura avesse bisogno di nuovi supporti, o di una scusa per esistere; questa gente non ha capito che la letteratura è il verbo del profeta, cardine della vita.

Perciò, tra i premi letterari alla moda o le mega-librerie, tra i poetucoli con la puzza sotto al naso corteggiati dalle piccole case editrici per un pugno di dollari, dove sta la verità? Dov’è che la letteratura si nasconde e si salva?

Qualora non si fosse capito, questi sono tempi bui, ma non è detto che ciò sia un male. In una giungla di porcherie, marchette culturali, editori senza scrupoli e tanta, troppa politica, potrete ritrovare il gusto dell’avventura. Ciò che rende affascinante una giungla sono le insidie che cova tra le sue fitte ombre. Questo ambiente culturale produce ancora delle perle, ma è diventato difficilissimo scovarle. Perfino certi organi di stampa fino a ieri considerati come ottime bussole per orientarsi in questo caos culturale hanno mostrato il loro vero volto, perdendo ogni credibilità.

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Se c’è una cosa che la storia ci insegna è che l’Arte si nasconde nelle fogne, nelle torbe dei fiumi, nelle cantine accanto alla muffa. Al principio dell’estate è uscito questo libro, per me significativo. Nel profumo delle catacombe (L’arcolaio, Forlì), raccoglie le più recenti poesie di Gian Ruggero Manzoni. Come preannunciato, forse questo mio specchiarmi in un libro porterà travisamenti, incomprensioni, interpretazioni lontane dal reale intendimento dell’autore; ma la letteratura è soprattutto questo, un felice fraintendimento in grado di generare significati prima impensabili.

Se cercate le architetture perfette, le simmetrie, le strutture imponenti che combaciano con un disegno più alto; se cercate le cattedrali, questo autore non fa per voi. Ne suoi scritti troverete le labirintiche geometrie delle tombe che precipitano nel sottosuolo, fatte di scorciatoie, vicoli ciechi e le vostre care mummie millenarie.

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Quelle cavità scavate nel tufo / quelle grotte farcite di corpi / sono la mia dimora.

Il libro potrebbe sembrare un’ode macabra, una litania funebre, il canto della fine di un’epoca, proprie di chi attende con morbosa delizia al trapasso dell’umanità. Niente di più sbagliato. Manzoni ci trasporta direttamente nel ventre pulsante della terra che gli uomini hanno riempito di cadaveri, e lì scopre la vera vita.

Il primo e logico pensiero va al culto dei morti: ormai tutto è sbrigativo, i corpi dei nostri cari diventano resti da smaltire al pari dei rifiuti. Troppo spesso fraintendiamo gli antichi, troppo spesso li accusiamo di aver dato importanza alle cose sbagliate, e non capiamo che onorare i morti non serve certo ai morti, ma a noi stessi che ancora restiamo in vita. C’è stato un tempo in cui i morti erano parte integrante della società. Oggi ne vengono estromessi, con una punta di ripugnanza verso l’idea della fine; i corpi vengono dispersi e di loro resta un flebile ricordo.

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Per la Chiesa di Roma / il culto delle ossa è paganesimo

Quel che pare di leggere è quindi un desiderio di ritorno verso un Cristianesimo, non primordiale, ma emergente. Credo che la parola giusta sia proprio “emergente”, perché racchiude tutta la volontà di esistere, di imporsi nel presente per gettare le fondamenta del futuro. Si tratta di culti pagani, forse, ma che avevano tutta quella concretezza di cui oggi si sente la necessità. La Chiesa stessa, di fatto sinonimo di “tradizione”, sta ipotecando queste sue salde colonne per andare incontro ai gusti dei fedeli.

Dopo queste considerazioni, non possiamo dimenticare che le catacombe non sono famose soltanto come labirinti stipati di carcasse, ma anche per aver dato asilo ai reietti, a coloro che la società cercava di estromettere o eliminare.

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Santa beatitudine quando i demoni / fanno di te un esempio / e seppellisci loro, non usandoli / quali complici oppure servi.

Nei lugubri anfratti di quelle grotte, tra ossa e mummie secche, fremeva la vita nuova, cresceva l’avvenire nutrito da nuovi culti, nuove fratellanze. Insomma, nelle catacombe si preparava il futuro.

I tempi difficili sono difficili, chiaro, ma non è detto che non siano al contempo carichi di speranza, di voglia di vivere.

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Oggi i veri poeti / si muovono alla luce delle fiaccole / nel ventre della terra / e baciano i loro martiri, incrociano / ossa, creano festoni con tibie, / costole e femori.

Ecco allora la risposta. Dove si nasconde la letteratura, dove si salva dalle macerie della contemporaneità? Mi pare di vedere Manzoni avvolto in un sudario, fingersi morto per poi alzare una mano e indicare un pertugio, una bocca di roccia da cui escono i fiati delle mummie di tutti i secoli, come a dire “salvati!”. Sì, troveremo rifugio nelle catacombe. Con occhi di profeta indica una via impensabile, una scelta ardita: nascondersi non è sinonimo di codardia, ma di conservazione. Laggiù prepareremo un mondo diverso.

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Oggi ci sono ragazzi plurilaureati in materie umanistiche costretti a ripiegare su occupazioni umili, oneste, certo, ma che non hanno nulla a che fare con la loro anima. A costoro va la preghiera, l’imprecazione, la profezia, la mano di Manzoni: rifugiatevi nelle catacombe, onorate le mummie, lasciate che la cultura prosperi nelle vostre viscere. In questa società, dietro un semplice magazziniere potrebbe nascondersi il migliore ricercatore in storia moderna; dietro una cameriera del fast-food potrebbe celarsi la migliore lettrice di Samuel Beckett. Io dico, continuate e perseverare, come i libri parlanti di Ray Bradbury, andremo in giro per il mondo come se nulla fosse portandoci dentro la nostra meraviglia, forse in attesa di tempi migliori.

La nostra generazione è stanca di sentirsi lodare inutilmente, di promesse mai mantenute; è stanca dei lavori astratti e inconsistenti, di consulenze, di tirocini e quanto di più bieco s’è inventata questa società. Questa generazione sente il richiamo della terra, della concretezza, della verità. Nonostante vogliano farci credere che i giovani siano tutti mammoni, che aspirino a trascorrere la propria vita insieme ai genitori, sappiate che non tutti sono disposti ad attendere cinque o sei anni per i risultati di una graduatoria, o in attesa di un concorso.

“Bisogna strappare la gioia ai giorni futuri” diceva Majakovskij davanti alla salma di Esenin. E sebbene quello di Manzoni possa sembrare un canto funebre, in realtà c’è molta più vita e sforzo, molta più speranza e tensione di qualunque altra languida poesia sulla vita.

Questi sono tempi difficili. Come nell’antichità, dovremo cercare la letteratura di borgo in borgo, di casa in casa se necessario. Sarà un lavoro estenuante, ma quando troveremo un libro bello sarà già una gran cosa, un piccolo miracolo. Questi sono tempi da catacombe, dove la letteratura se ne sta ben nascosta tra le spoglie dei propri cari estinti; ma i tempi difficili sono sempre carichi di grandi aspettative e si sa, un granello di fede vale più del paradiso intero.

Valerio Ragazzini

Gruppo MAGOG