22 Aprile 2019

Gene Wolfe, l’uomo delle Pringles che divenne “il Proust della fantascienza” (e non è una presa per i fondelli)

Una storia mi colpisce e mi pare, per così dire, pasquale. Ma tutto parte, come quasi tutto, da un effluvio narcisista.

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Intanto, il titolo. Gene Wolfe Was the Proust of Science Fiction. Faccio due constatazioni rapide. Gene Wolfe. Non lo conosco. Posso non conoscere uno che è giudicato “il Marcel Proust della fantascienza”? Secondo. Mi stanno prendendo per il culo. Leggo. Beh. L’articolo è un articolone, uscito su The New Republic, a firma di Jeet Heer. I dettagli critici intorno a uno scrittore che, come dicono, ha mescolato pulp, letteratura modernista e teologia cattolica, sono interessanti. Ingurgito a tonnellate la mia ignoranza.

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Procedo. Neil Gaiman, qualche anno fa, era il 2011, quando il Guardian gli chiese chi fosse il suo eroe e il suo maestro non ebbe timori e con micidiale tempismo disse. Gene Wolfe. “Resta il mio eroe perché continua a inventare nuovi modi e nuovi mondi per la scrittura e resta ancora così gentile e paziente con me, come quando ero ragazzo. È il migliore scrittore americano vivente di fantascienza – è, probabilmente, il migliore scrittore americano vivente in assoluto. In troppi non lo conoscono. Gene se ne frega. Continua a scrivere”.

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Poi c’è Ursula K. Le Guin, insomma, una che sa cos’è la fantascienza e ha detto, “Gene Wolfe è il nostro Melville”. Non conoscerlo, a questo punto, mi pare una offesa verso me stesso.

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In Italia non si sono strappati le vesti per la morte di Gene Wolfe, il Proust della fantascienza. Anzi. Io non ho visto paginate o paginoni. Gene Wolfe è morto mentre la cattedrale di Notre-Dame avvampava. I fan hanno trovato diverse pagine in cui, nei suoi libri, è descritta una basilica in fiamme. E hanno tracciato delle astrologiche connessioni tra la sua morte e Notre-Dame che lacrima fuoco.

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In Italia, si è potuto leggere Gene Wolfe negli anni Novanta, grazie all’Editrice Nord, e poi grazie a Fanucci, che nel 2012 pubblica i cinque libri del ciclo “Il libro del Nuovo Sole”, edito in origine tra 1980 e 1987, che ha fatto la fama di Wolfe.

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La storia di Gene Wolfe, tra l’altro, è affascinante. Nato a New York, studi in Texas, impiegato come militare in Corea, ne torna segnato assai. Per la prima parte della sua vita fa l’ingegnere – completa gli studi all’Università di Houston – e perfeziona la macchina che serve a fare le Pringles, le patatine. Se vedete la faccia impressa sul tubo delle Pringles – tonda e baffuta – pare proprio la sua. Negli anni Settanta comincia una ricerca personale acuminata, che lo porta a convertirsi al cattolicesimo. Contestualmente, a 45 anni, comincia a vincere i primi Nebula Award per il racconto e per il romanzo e decide di dedicarsi interamente alla narrativa.

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“Sensibilità letteraria, precisione e la potenza analitica di un Proust sono adagiati su cloni, robot, mostri a sei braccia e tutto l’immaginario pulp”, ha scritto un critico. “Sono uno scrittore cattolico, come molti, ma non scrivo libri cattolici”, ha detto lui.

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Il genio di Gene Wolfe è dato dal fatto che i suoi romanzi di fantascienza sono stratificati, una geologia della lettura. “La serie ‘Il libro del Nuovo Sole’ può essere letta come una semplice avventura che traccia il viaggio di Severian da apprendista torturatore a esiliato politico… ad un altro livello è il tentativo di tradurre teologia ed escatologia nel linguaggio della finzione fantascientifica”.

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Gene Wolfe traduce in pratica letteraria la statura esegetica. Il testo biblico, infatti, va colto ‘alla lettera’, ma anche perché è lettera per lo spirito. Ha un senso superficiale, ‘carnale’, e uno sottocutaneo, ‘spirituale’, e uno ancora riposto, in cui riposa la profezia.

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Ogni gesto è comunque linguistico. Anche Wolfe è un inventore di linguaggi: quello del suo mondo si chiama “Ascian”, che nell’etimologia greca presunta vuol dire “senza ombra”.

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Pratica eucaristica della letteratura: quel cibo si mangia davvero ma è davvero altra cosa dal cibo. Dici che è carne e il pane è veramente carne, così il vino riluce in sangue. Allo stesso modo, il fatto letterario: è ciò che leggi, è ciò che interpreti, è, soprattutto, un atto di ringraziamento, una grazia. Mi piace questo Gene Wolfe. I suoi libri sono belli, eucarsitici. (d.b.)

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