27 Ottobre 2020

Un “Taxi Driver” parigino. Sia lode a Gajto Gazdanov, traghettatore di anime desolate, e al suo piccolo capolavoro, “Strade di notte”

Anni Trenta, Parigi. Covo di alcolisti, sbandati, santi, puttane, ancora alcolisti. Poveri e morti di fame. Disadattati, debosciati, magnaccia, ancora puttane. Ancora e soprattutto Santi. Fatti per salvarci o per essere salvati.

Il vero angelo però è un tassista russo che, a bordo della sua auto, vaga per una città buia, squallida, misera ma per certi versi anche splendida.

Un angelo immigrato che ascolta altri emigrati afflitti da manie di persecuzione, prostitute che imparano la professione o si lasciano morire, filosofi alcolizzati davanti ai banconi di zinco dei bistrot notturni. Quelli che non ricordano più come si ritorna a casa propria.

Gajto Gazdanov, prima di diventare romanziere ha fatto davvero il tassista a Parigi (oltre che l’operaio negli stabilimenti Renault). Nulla è inventato qui dentro. Gajto narra le sue vicende, i suoi incontri, le sconfitte di tutti.Un angelo custode (come quelli del film di Wenders) un ascoltatore che si porta dietro le tragiche ed insulse esistenze di chi incontra.

Ascolta e girovaga, di notte, per sfuggire alla sua stessa solitudine che lo attanaglia, alla consapevole vacuità della propria vita, ricordandosi della Russia, patria lontana che non riesce a dimenticare.

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Strade di notte, ristampato da Fazi, capolavoro imperdibile! Anticipa enormemente, per certi versi, il celebre film di Scorsese con De Niro. Anche lì, resti d’immigrazione, tristezza, solitudini.

Basta soffermarsi sulle prime pagine quando il tassista, fermo in sosta, osserva una donna anziana spostarsi nel Boulevard deserto con una specie di carrellino semovente: “…Lo strano veicolo circumnavigò i poligoni luminosi dei lampioni a una lentezza folle, onirica, poi prese per Boulevard Haussmann. Mi avvicinai per vedere meglio; dentro c’era una vecchina imbacuccata e molto minuta; distinsi soltanto un viso scuro e incartapecorito cui restava poco di umano e una mano ossuta dello stesso colore che muoveva a fatica il volante…”.

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Solitudine, puzza di morte, mistero ed amarezza. Le strade deserte, la vita che si allontana, la malinconia perenne. Come una cappa che si impossessa della città: “Di solito rincasavo verso le quattro o le cinque del mattino per strade tanto addormentate e deserte che stentavo a riconoscere. Ogni tanto passavo per Les Halles; ricordo ancora la sorpresa quando vidi per la prima volta degli esseri umani agganciati a carretti carichi di cibarie; guardavo i loro visi segnati dal vento, i loro occhi – occhi strani, come coperti da una pellicola trasparente e impermeabile, gli occhi di chi non è abituato a pensare…”

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Persino il mattino è alba senza ritorno. Una condizione di perenne veglia, con gli occhi sciupati e andati. Coperti da pellicola trasparente ed impermeabile.

Il tassista russo, scassato e depresso, come un Caronte traghettatore di anime, porta a spasso i derelitti senza soluzione di continuità per una città che cade e decade nel suo trionfo dei tempi andati.

A leggerlo vien voglia di essere come lui o, più comodamente, stare seduti accanto sprofondati in un sedile sporco e sfondato, ad ammirare le luci di lampioni che abbagliano e coprono miserabili sguardi, le gesta, la rassegnazione dei personaggi che poi è la stessa rassegnazione contemporanea che ci attanaglia sempre.

Fabrizio Testa

*In copertina: Robert De Niro sul set di “Taxi Driver” (1976)

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