20 Novembre 2018

“Fondamentalmente, sono una monaca di clausura”: Willem Dafoe, il volto più sconcertante della storia del cinema, l’uomo che fu Gesù e ora è Van Gogh

Mi lascio dominare dal caso, che detona in me. Nicola Crocetti mi invia L’ultima tentazione, il romanzo di Nikos Kazantzakis. Una nuova traduzione, condotta sul greco. Come si sa, da quel libro – che non trovò editore in Grecia – Martin Scorsese ha tratto, trent’anni fa, L’ultima tentazione di Cristo. Non è un grande film, è vero, ma di quel film resta, indelebile, l’immagine di Willem Dafoe. Quel film, in effetti, coincide con il successo internazionale di Dafoe.

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Basta scucire una vocale e da Dafoe ottieni Defoe, l’inventore di Robinson Crusoe. In effetti, Willem Dafoe è un attore anomalo, di anormale bravura, sull’isola deserta del proprio ego.

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“Davanti ad alcuni dipinti di Bruegel mi sono detto, ‘ecco il mio antenato…’”, ha detto Dafoe in una intervista rilasciata a Amy Nicholson, sul Guardian. Di certo il suo viso, inciso con lo scalpello, è fiammingo. Ma quando penso a Willem Dafoe mi viene in mente il dipinto che amo di più, il cosiddetto Cristo alla colonna di Donato Bramante. Su quel viso marmoreo, atrocemente scavato e terribilmente inumano, bisognerebbe scrivere un trattato.

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dafoeA proposito di pittori. Trent’anni dopo essere stato Gesù, Willem Dafoe è Vincent Van Gogh, nel film di Julian Schnabel, At Eternity’s Gate, che è passato da Venezia – dove Willem s’è portato a casa la Coppa Volpi – e sarà distribuito dal gennaio 2019. “Per un attore è fondamentale la flessibilità. Altrimenti ti corrompi, ti cristallizzi in certi ‘tipi’, in un linguaggio puramente tecnico, che ti impedisce di assaporare il senso della scoperta, il pericolo del mistero”, ha detto Dafoe.

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Willem Dafoe è il viso più penetrante del cinema occidentale – qualcosa di simile a David Bowie nella storia della musica. Non c’è identità più penetrante del viso, verso cui ci si appropinqua come al cospetto di una sconfitta. Eppure, la potenza del viso di Dafoe – un ideogramma – è inversamente proporzionale alla sua filmografia. In fondo, mancano i grandi film a Dafoe e rischiamo di ricordarcelo abbrancato a Madonna con le tette al vento, in Body of Evidence – film di brutale bruttezza.

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“Di solito lo immaginiamo nella schiera degli artisti torturati. La storia mente. Era un uomo pieno di speranza”: Dafoe su Van Gogh.

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Figlio di buona famiglia – papà dottore mamma infermiera, sette fratelli quasi tutti finiti col camice bianco – cresciuto in Wisconsin, Dafoe capisce di voler fare l’attore per caso. Durante un progetto, al liceo, fa una video-intervista interpellando un nudista e un satanista. Lo cacciano dalla scuola. E lui si mette a studiare recitazione. A New York, nei Settanta, fa teatro d’avanguardia, fonda il ‘The Wooster Group’. Sfiguravano Shakespeare e Cechov, “fu una lotta – una lotta per sopravvivere”.

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Sul successo. “Non credo alla favola del povero artista sconosciuto. Però sono certo che il successo può corromperti – bisogna stare molto attenti”.

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Fare l’attore per Dafoe è una specie di esercizio mistico. “Gli attori sono inarticolati perché fanno un lavoro misterioso. Quando cerchi di descriverlo, sei sommerso dalle menzogne”, ha detto. E poi. “Mi piace partire da zero, avanzare verso qualcosa. Per alcuni fare l’attore è eseguire un copione alla perfezione. Anche a me piace la perfezione. Ma amo ancora di più tentare qualcos’altro, qualcosa di ignoto e che si specifica mentre eseguo il mio compito. Questa è la differenza tra un artigiano e un artista – aspiro a essere un artista”. Poco prima aveva detto, “sto lontano dal mondo – vivo in piccoli mondi interiori. Fondamentalmente, sono una monaca di clausura”. L’arte è una clausura. (d.b.)

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