27 Ottobre 2017

Che fine ha fatto il bimbo con lo "Shining"? Kubrick lo ha folgorato per sempre

Nella sagra dei superlativi c’è un difetto. Il 31 ottobre torna in sala – fino al 2 novembre – il più bel film horror mai girato, tratto da uno dei più bei romanzi horror mai scritti – era il 1977, 40 anni fa. Probabilmente si tratta della più bella traduzione in pellicola di un romanzo. Si parla, va da sé, di Shining, in cui il genio di Stephen King straluccica passato al setaccio dalla macchina da presa di Stanley Kubrick, tra i massimi registi di ogni tempo. Il film, esemplare, pieno di scene ormai proverbiali, uscì nel 1980, consacrò Jack Nicholson, mai pazzo fu più folle di lui sul grande schermo. In questa cuccagna di aggettivi, il difetto sta nel vero protagonista del film. Danny Torrence. Il bimbo che ha in dote la ‘luccicanza’, lo shining, appunto. Il bimbo che ‘vede’ e prevede. Danny Torrence si chiama, in realtà, Danny Lloyd. La storia di Danny Lloyd è simile a quella di Bruno Zanin, il ‘Titta’ di Amarcord, per i fellinologi. Gente incenerita da un film epocale. Solo che la storia di Danny Lloyd è ben più estrema di quella di Bruno Zanin. Zanin qualche film, dopo Amarcord, l’ha fatto. Lloyd non ha più fatto nulla. Quando il Guardian lo becca (l’intervista estesa è qui) Lloyd è un normodotato con barbetta e crapa calva a metà, che insegna biologia a Elizabethtown, un borgo del Kentucky, ha moglie, quattro figli, fa la spesa come tutti i mortali, “nulla di lui odora di Hollywood”, attacca il giornalista. “Semplicemente, non ho fatto molto dopo quel film. Solo una vita normale”. I fatti furono questi. Lloyd aveva quattro anni, il papà era ferroviere. Kubrick bandisce le audizioni per un film attraverso un quotidiano dell’Illinois. “Non era necessaria alcuna esperienza attoriale. Mio padre spedisce la mia fotografia. ‘Sei uno che vuole sempre attirare l’attenzione, giusto?’, mi dice. Per lui era un gioco. Dopo sei audizioni, mi prendono”. La notizia arriva nel bel mezzo del quinto compleanno di Danny. Il film avrebbe dovuto terminare entro 17 settimane. Ci volle un anno. “Non sapevamo in quale mondo stavamo entrando”, fa Lloyd accennando all’accanito perfezionismo di Kubrick. Cartolina dal set. “Stanley era straordinario. Giocava a pallone con me, giocava a prendermi. Non ho mai avuto paura di lui. E tutti facevano in modo di non farmi capire che ero sul set di un film dell’orrore. La cosa che mi piaceva di più? Guidare il triciclo in una casa così grande… un tipo dello staff mi promise che mi avrebbero regalato quel triciclo, alla fine del film. Aspettai, aspettai, ma il triciclo non è mai arrivato”. Per anni Kubrick tenne i contatti con la famiglia di Danny, informandosi del percorso scolastico del suo piccolo protagonista. Dopo Shining – che vide per la prima volta a 11 anni, “ma non mi spaventa, per me è un film ‘casalingo’” – una particina in un film tivù, qualche provino, stop. Danny si dà allo studio, e a una vita come tante. Dice di non avere rimpianti. Chissà.

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