Che l’arte possa ormai scivolare da se stessa è la suprema aporia di questo secolo. Siamo tutti d’accordo: di tanto in tanto necessita di una bottarella d’unghia proprio sotto il carapace, come in una corsa di scarafaggi contesa fra bravi detenuti in un penitenziario. Meglio ancora se l’unghia suddetta sia laccata da uno stencil floreale.
Pinacoteche, uffizi, musei, bancarelle sono divenute il sottobosco e la tappezzeria delle varie clip assatanate, fanno da coagulo storico alle spinte incrementali dei Mamhood e degli Sfera Ebbasta.
In piena era deleuziana, gli influencer possono macinare con mascella da verro qualsiasi ghianda, ostia e bullone, riducendoli alla solita scodella farinacea.
Stanno fagocitando lentamente tutto. Tutto ormai si misura in quarti d’ora, come accade ad esempio in questi giorni con la parola “frugale”, che tutti abbiamo riesumato nella nostra memoria, e che magari adopereremo misteriosamente nei prossimi colloqui di lavoro.
Anche Chiara Ferragni è stata agli Uffizi, e non è certo da imputare a suo disdoro il fatto che non abbia tenuto testa ad un qualunque Sgarbi. Ha fatto bene: la lepre è invitata a correre e corre per sua natura. Non parlerò di lei, quanto dell’economia generale che presiede gli apparati culturali.
Vedo tanti necrofagi convertiti da tempo al veganesimo, che sanno ormai morta la lettera, e tentano di sollevarla marionettisticamente attraverso rozzi cavi di new realism, la insaccano in bustine metropolitane, di ribellione controllata o realpolitik, senza infine rinunciare al termometro dei like, perché è il like la nostra vera valuta neoliberista, come lo zenny era la valuta degli antichi videogame. Hanno capito come gira il mondo e lanciano appelli di svendita progressista.
Così ogni tanto, bontà loro, quell’altre mirifiche divinità dell’incremento, scendono a compromessi rivoltandasi in amorazzi “metafisici”, perché l’arte è irrinunciabile, abbellisce l’universo e accresce le vedute.
La citazione non è certamente sua, ma è bassamente irresistibile.
Preferisco di gran lunga chi odia platealmente l’arte per la ruminazione di un personale dispositivo, più o meno collaudato, chi frantuma e ravviva la dialettica attraverso la classica e sempre valida negazione nietzschiana, che il polimorfo (perverso) che si arrende ad essa mercé le profferte di uno spiritello commerciale; perché il commercio è l’anima del commercio, come la divulgazione la è della divulgazione. Non si sfugge.
Antonello Cristiano
*In copertina: Chiara Ferragni, Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, e Botticelli, dietro… (l’immagine è tratta da qui)