04 Novembre 2017

Enzo Biagi. La vita inedita di un drammaturgo mancato

Ogni uomo ha il suo vizio e il suo segreto. Il segreto di Enzo Biagi è il teatro. A dieci anni dalla morte, tutti, giornali, amici, colleghi, ricordano, a ragion veduta, il talento del giornalista più popolare d’Italia. La pubblicistica su Enzo Biagi rischia di superare quella, già di per sé ‘mostruosa’, di Enzo Biagi. Solo che tutti, immancabilmente, dimenticano un dettaglio. Enzo Biagi prima di diventare giornalista sognava una carriera da drammaturgo. E a leggere i pareri degli esperti, sarebbe diventato un grande drammaturgo. La dimenticanza non è frutto di sbadataggine: è Biagi, in realtà, ad aver macinato nell’oblio il suo passato da uomo per il teatro. Come mai? Veniamo ai dati.

Biagi autografo
Enzo Biagi vince il Premio Riccione per il Dramma nel 1953. I documenti che lo riguardano sono conservati nella Biblioteca civica di Riccione.

Nei profili biografici di Biagi rastrellati on line non si fa cenno al teatro. La nota della Treccani, pur puntigliosa, non ne parla; Wikipedia accenna a un Premio Riccione per il Dramma vinto da Biagi nel 1960. Fuochino. Ci siamo quasi, ma la data è sballata. Per risalire al segreto di Biagi bisogna sfogliare il Dizionario generale degli autori italiani contemporanei stampato da Vallecchi nel 1974. La voce ‘Enzo Biagi’ ricorda, in calce, che il giornalista “è anche scrittore di libri che stanno tra la cronaca, il reportage e la storia, e di commedie”. Nel ghirigoro bibliografico scopriamo i titoli di tali ‘commedie’, Noi moriamo sotto la pioggia e Giulia viene da lontano. Nient’altro. Veniamo ai fatti. Primi anni Cinquanta. Biagi lavora al Resto del Carlino. Ha 30 anni. La vita da cronista gli ispira un pezzo teatrale. Si intitola Noi moriamo sotto la pioggia. Tre atti. Il primo è ambientato nello “stanzone di un Commissariato di Notturna”. Biagi impacchetta la pièce e la spedisce al Premio nazionale Riccione per il Dramma. Il Premio è nato nel 1947 su iniziativa del Sindaco di Riccione, Gianni Quondamatteo e dello scenografo bolognese Paolo Bignami, sotto gli auspici di Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, comunista. Il Premio, nato subito con la camicia – la prima edizione, e unica, aperta al romanzo ha premiato un baby Italo Calvino, con il manoscritto Il sentiero dei nidi di ragno, di lì a poco edito da Einaudi – ha una ragione ‘politica’: occorre ripulire l’immagine di Riccione dai fasti fascisti, dal fatto di essere stata la spiaggia estiva del Duce. A presiedere la quarta edizione del Premio, nel 1951, c’è Lorenzo Ruggi, noto commediografo bolognese, fondatore dell’Istituto nazionale del dramma italiano. “Questo lavoro è la tragedia del figlio del secolo, coi suoi cinismi, la sua anima vuota, priva di idealità, dove altro non trovi che disprezzo di tutto e per tutti”. Così Ruggi, nella scheda di lettura, scrive del testo di Biagi, giudicandolo un “lavoro premiabile”. Quell’anno, tuttavia, Biagi deve accontentarsi di una segnalazione. Il primo premio va a una superstar della scrittura cinematografica, Tullio Pinelli (premiato per Gorgonio), già autore per Pietro Germi e Alberto Lattuada, che ha appena sancito una collaborazione gravida di futuro con Federico Fellini. Pazienza. Biagi ritenta un paio di anni dopo, con un ‘interno borghese’, Giulia viene da lontano, dove, con scrittura da fiction, si mostrano le esasperazioni di un gorgo familiare. Questa volta, il giornalista drammaturgo convince tutti. Salvator GottaSalvator Gotta è entusiasta: “commedia notevolissima, da prendere in considerazione per il premio, è l’unica premiabile di tutte quelle che ho letto”. Anche Ruggi – ancora presidente di giuria – si scioglie. “Tremendo, sconcertante, scritto senza dubbio da un autore di talento”, attacca la sua scheda. “Attraverso la statica tragedia di un giovane ventenne inchiodato in poltrona a rotelle perché privo dell’uso delle gambe, tutto un mondo di passioni e di miserie umane risultano illuminate in questo lavoro”. Ruggi si lancia pure in un suggerimento di messa in scena: “rischiosissimo lavoro, che esige un interprete, insieme giovane e di grandi mezzi, come potrebbe essere un Gassman”. Mario Bonetti, uno dei giurati, non ha dubbi, “è l’opera di un autentico uomo di teatro”. Per Enzo Biagi è un trionfo. Il Premio nazionale Riccione per il Dramma 1953 è suo. Peccato che il Premio arrivi troppo tardi. Nel 1953 Enzo Biagi ottiene la prima delle sue tante direzioni. Diventa direttore di Epoca. Diventa Enzo Biagi, uno dei giornalisti più talentuosi – e cercati – d’Italia. I sogni di gloria drammaturgica sono anacronistici, ora. Nei ricchi Archivi del Premio Riccione – che negli anni premierà i massimi drammaturghi del Paese, da Renzo Rosso a Dacia Maraini, da Pier Vittorio Tondelli a Stefano Massini, fino a Vitaliano Trevisan, nell’ultima edizione – non c’è traccia dei testi di Biagi. I testi, come da prassi, vengono pubblicati su riviste di settore. Noi moriamo sotto la pioggia esce su Teatro scenario (1 ottobre 1952), mentre Giulia viene da lontano, con la dicitura “Primo premio al concorso teatrale Riccione 1953”, esce su Il dramma (1 ottobre 1953). Prima di chiudere definitivamente con la scrittura scenica, Biagi si leva un ultimo sfizio: scrivere un testo con l’amico Giancarlo Fusco, E vissero felici e contenti, nel 1956. Un biglietto autografo esumato dagli archivi riccionesi spiega tutto in modo lapidario. Carta intestata di Epoca, scrive “Il Redattore Capo” Enzo Biagi al responsabile del Premio Riccione. “Avrei bisogno di avere un paio di copioni che mi urgono. Cerchi di farmeli avere con cortese sollecitudine”. Così, i dattiloscritti spariscono. Stop. Biagi è su un altro palco, ora. Quello del giornalismo. Il resto non conta più.

Davide Brullo

 

Bonetti 1953 (idem)In un Paese culturalmente decente, oltre agli allori e agli onori, dovrebbero esserci i libri. Esempio. Riesumare dagli Archivi di Riccione Teatro (negli oscuri sotterranei della Biblioteca della nota località turistica, nel disinteresse patrio) i documenti che riguardano Biagi, collezionarli insieme ai testi drammaturgici dell’aureo giornalista, e inscatolare il tutto in una bella pubblicazione. Invece niente. Restiamo noi a perder tempo con i cimeli, ad amare le antiche carte. Per capire la tenuta etica del testo di Biagi, ecco un brandello da Giulia viene da lontano. Buona lettura. 

 

Carlo: Penso che, in ogni modo, in qualunque condizione, la vita è sempre un dono. Ma Dio mi ha assegnato soltanto prove leggere. Non ho meriti.

Massimo: Ho il privilegio di godere delle divine attenzioni, invece. Io, che non ho mai ambito alle gioie dell’Aldilà, sarei stato contento di passarmela decentemente quaggiù.

Carlo: Tu vai cercando Dio, e un giorno lo incontrerai. Egli ti attende.

Massimo: Non sono un puro di cuore. Non credo che i tribolati godranno dell’eterna beatitudine. Non credo che, sulla mia spina dorsale spezzata, spunteranno le ali del cherubino.

Carlo: Mi sento insegno del tuo dolore; permettimi di pregare per te. Ma io vedo che Dio ti sorride, Dio non ha la faccia cattiva.

Massimo: Invidio la tua certezza. Sei felice. Baci la croce e scendi nell’arena. Vai incontro alle belve, armato di speranza e di buone parole. Esci dal rifugio antiatomico e, recitando giaculatorie, ti avvii sul luogo dove scoppierà la bomba. Accendi il tuo cero, e vorresti riscaldare questo povero uomo nudo che trema di paura e di freddo. Prega pure per me. Io ho in mente i volti irati dei profeti che sostengono la cantoria delle monache. Annunciano la fine, non la resurrezione. (Forte) Non sono contento di morire su questa poltrona.

Carlo: Non gridare, Massimo, non stancarti. Mi spiace se ti ho fatto del male.

Massimo: (indicando la finestra) Visto da qui il mondo è diverso. Ho tutte le vostre miserie. Sono gonfio di malizia, come un adolescente. Le case di tolleranza mi sembrano paradisi. Come a sedici anni: fanciulle nude su pelli d’orso, odore di cipria, cosce bianche inguaiante nel filo di seta. Nella mia testa ballano di continuo il can-can. Questa stanza è piena di donne che corrono in bicicletta, che corrono contro il vento. Lo so, lo so anch’io che le prostitute hanno l’aria disfatta, i volti segnati, e i reggipetti rosa sono sudici e le coperte sanno del sudore di tanti uomini, e si paga. Eppure è meraviglioso. Mi ci portarono mentre aspettavo di partire per il fronte. Avevo scelto una ragazza piccola perché mi pareva gentile, non mi dava soggezione. Ma quando fummo nella sua stanza cominciai a piangere, piangevano tutti e due. Lei aveva al collo una catenella, e una croce di brillantini falsi le pendeva sul petto magro. Restammo abbracciati sul letto, senza parlare.

 

Gruppo MAGOG