04 Settembre 2019

Elogio di Emmanuelle Seigner, attrice che ammalia. Dietro la scollatura himalaiana di questa aitante fanciulla di 53 anni, la ferocia dell’intelligenza, la spavalderia del genio

La diva di Venezia è stata lei, aliena al divismo, assorta nell’inimmaginabile, assunta tra le dee crudeli, indaffarate all’indifferenza. Emmanuelle Seigner. Tutti lì, fotografi, giornalisti, cervelli della cinematografia, imbambolati davanti all’himalaiana scollatura della Seigner, aitante fanciulla di 53 anni.

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Emmanuelle Seigner non è la moglie di Roman Polanski, nonostante lo abbia sposato, esattamente trent’anni fa. Più giovane del regista di 33 anni, ne è la musa. Voglio dire: non è mai diventata la ‘Signora Polanski’. L’autonomia di Emmanuelle Seigner è tale che pur avendo lavorato in molti film diretta dal marito (compreso l’ultimo, J’Accuse, di cui leggete qui), non ne è dominata. Semmai, è lui, Polanski, a essere ammaliato da Emmanuelle.

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Se siamo sotto la malia della scollatura della Seigner, ovviamente, non è per via della carne – qualsiasi giovinetta sarebbe meglio tornita. Sarà il carisma, l’audacia, l’audizione di un genio. Pur bellissima – guardatela in La nona porta, vent’anni fa – Emmanuelle Seigner surclassa i canoni del bello, li sterza. Di quel corpo senti la sostanza eterna, occhi che se ti guardano sei in fiamme. Ciò che di un corpo attrae, irresistibilmente, è il particolare, la singolarità che evade dalla norma, l’incomparabile, il diverso. Di bellezza è pieno il mondo, date udienza agli sguardi – qui si dice di ciò che è degno di adorazione.

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La spudorata certezza di essere corpo, un corpo che parla, antiretorico, esatto. La Seigner passa dalla scollatura abissale alla divisa urbana e sottourbana, quando canta, ad esempio, da sola o con gli Ultra Orange. L’immagine rovesciata di Emmanuelle Seigner è Charlotte Gainsbourg.

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Venere in pelliccia (2013) si gioca interamente sul corpo che parla della Seigner – non c’è altro se non questo incanto. Emmanuelle Seigner (guardare le scene finali del film) è la Venere di Tiziano e di Velázquez, di Annibale Carracci e di Lorenzo Lotto, di Veronese e di Botticelli. L’amore a precipizio fino allo spuntare della morte – di un volto che ha presunzione di escludersi dal tempo, di torcere il teschio in simbolo, la sabbia in maceria d’oro.

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Inizia neppure ventenne, la Seigner, scoperta da Jean-Luc Godard, in Détective. Esplode, nel 1988, Frantic, parte memorabile, al fianco di Harrison Ford, in uno dei film più hitchcockiani di Polanski. L’anno dopo è nel Male oscuro di Monicelli, tra Giancarlo Giannini e Stefania Sandrelli. Non spicca mai, Emmanuelle, per bellezza – termine gergale a riguardo del carisma – ma per presenza.

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Emmanuelle non è al fianco di Polanski, è lui che la fiancheggia. Lei sa essere irraggiungibile, spietata. Quando l’Academy, l’anno scorso, le ha proposto un seggio, dopo aver ‘licenziato’ Polanski, in seguito allo tsunami MeToo, alle accuse di violenza su una tredicenne che inseguono il regista dal 1977, lei morde. Piglia carta e penna, pubblica su “Le Journal du Dimanche” una lettera in cui accusa il sistema hollywoodiano di “implacabile ipocrisia”. “Questa Accademia pensa probabilmente che io sia un’arrampicatrice ambiziosa e senza spina dorsale da dimenticarmi di essere sposata da 29 anni con uno dei più grandi registi al mondo. Lo amo, è mio marito, il padre dei miei figli. Roman Polanski ha creato personaggi femminili indimenticabili interpretati da Sharon Tate, Catherine Deneuve, Mia Farrow, Faye Dunaway, Nastassja Kinski, Sigourney Weaver. Non corrisponde minimamente alla caricatura machista, sintomo del male che sconvolgerebbe il cinema. E l’Accademia degli Oscar vorrebbe che io mi dissociassi da quest’uomo? Pensate che possa compiere una “scalata verso la gloria” sulle sue spalle? Non avrete mai la donna che sono”. Qui non è questione di giustizia, ma di ferocia, di difesa del destino.

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Un uomo non vuole essere sottomesso da una donna – la donna non chiede di farsi mediocremente adorare. Tra ammissione e sottomissione, desiderio e stella, c’è un candore nell’amore, il punto in cui il ghiaccio lacrima e ogni cosa è trasparente, abbaglia per ciò che è. (d.b.)

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