Mentre tutti gli zombi della cultura a destra e manca si sdilinquiscono di fronte alla biografia romanzata di Mussolini scritta dal tizio che voleva il suo premietto da anni e che, se non lascerà traccia nella storia della letteratura, di sicuro la lascerà nella sociologia del giornalismo e dei cosiddetti intellettuali italiani (avete mai visto un libro di un Busi, un Arbasino, un Pallavicini, un me, presi in considerazione da obitori simili?), chi si è accorto di Isabella Santacroce?
Non solo del suo ultimo divino romanzo, intitolato non per altro La divina, recensito solo dal Giornale (grazie all’illuminato capocultura Alessandro Gnocchi) e nel blog di Confidenze da Barbara Alberti. Per gli altri come se non esistesse.
Eppure avrebbero dovuto scriverne a maggior ragione, se di ragione ne avessero una. Non fosse altro per l’operazione pionieristica della Santacroce, che si è creata da sola una casa editrice e della sua ultima opera vende edizioni numerate, perfino in versione Deluxe, vere e proprie opere d’arte, e non perché gli editori non gliel’abbiano chiesta, non gliel’ha data lei a prescindere, perché se tanto ti dà tanto, e è così poco, tanto vale lasciare agli editori la paccottiglia che si meritano.
Insomma, cosa c’è di più eversivo per uno scrittore che mettersi fuori dalle consorterie, dalle giurie di parrucconi grandi e piccini a cui cascano le dentiere alla prima riga scritta non in italiano standard per analfabeti funzionali come ormai sono diventati gli italiani tutti, e dalle simpatie delle redazioni culturali più chic sempre più piene delle marchette reciproche dei “giornalisti e scrittori”; cosa c’è di più eversivo che fondarsi la propria avanguardia da soli?
Io non solo per la sua scrittura, ma anche per questo coraggio, per questa ossessione totale, per questa irriducibilità eroica, amo la Santacroce, questa scrittrice, questo Scrittore anzi (come lei vuole essere giustamente chiamata, alla faccia di ogni Murgia o Stancanelli e compagnia bella di femministe castranti), e costi quello che costi mi prenoto una copia di lusso de La divina, perché un domani varrà dieci volte tanto, perché Isabella è letteratura e fa diventare la letteratura anche un oggetto raro già sul nascere, senza aspettare cento anni, mentre tutti sono talmente impegnati a far avanzare la propria retroguardia impiegatizia da riuscire ormai a leccarsi il culo da soli senza distinguerlo neppure da quello degli altri.
Baci,
Massimiliano Parente