31 Ottobre 2017

A El Alamein ha vinto il tossico. Un libro svela i rapporti tra droga e guerra

Scena da film. Vista e rivista. Pigliate, chessò. Platoon. O Apocalypse Now. Soldati strafatti. Per fare quello che fanno, per procreare l’orrore, si fanno. Più dei proiettili, in Vietnam, potè la droga. “Nel 1973 il 70% dei soldati americani faceva uso di stupefacenti, che si trattasse di marijuana, eroina, morfina, dexedrina, oppio, allucinogeno o sedativo”. Parola di esperto. Lukasz Kamienski è un professore polacco. Giovane (classe 1976) ha scritto un bestseller. Il tema? Las drogas en la guerra (Editorial Critica, pp.592, euro 23,90). La droga durante la guerra, come dice – facile a intendersi – la traduzione di uno studio che ha già scosso, l’anno scorso, il mondo anglofono (in inglese suona come Shooting Up. A Short History of Drugs and War, stampa la Oxford University Press, la copertina è la stessa dell’edizione spagnola: una teoria di aerei tedeschi in volo, siamo nella Seconda guerra, insieme a un paio di siringhe abnormi). Lo studio di Kamienski spiazza i perbenisti e spazza i pregiudizi: il Vietnam, ‘pompato’ dalla macchina hollywoodiana, non è un caso – è la norma. “La guerra è inseparabile dalla droga”, scrive lo studioso. “Nel corso della storia sono costanti i riferimenti a piante, funghi e sostanze tossiche di ogni tipo, con lo scopo di ispirare i guerrieri nella lotta, di renderli migliori, di aiutarli a vincere il dolore. La droga è usata spesso, inoltre, per combattere la noia e il senso di alienazione di una guerra logorante”.droga e guerra Detto altrimenti, tramite una formula riuscita, “l’homo furens è un homo narcoticus”. Insomma, dietro ogni soldato si nasconde un tossico. Andiamoci piano. Kamienski stila una storia dell’utilizzo delle droghe in guerra nelle diverse epoche: dagli antichi greci (che privilegiano oppio e vino) ai kamikaze giapponesi (che si ficcavano in gola le “pillole dell’assalto”, cioè metanfetamine) agli Zulu (che avevano un abbecedario con siglate le virtù ‘magiche’ cioè allucinogene delle varie piante). Un capitolo è dedicato all’impresa di Napoleone in Egitto – pare che abbia dovuto agire di forza per impedire l’uso smodato di hashish da parte delle sue truppe – un altro all’ansia dei nazisti nel trovare “uno stimolante adatto alla guerra, una specie di ‘bacchetta magica’ in grado di fortificare i soldati”. Posto che “uno dei pilastri delle truppe di tutti i tempi” è l’uso di alcool, di ogni tipo – in Cecenia i soldati scambiavano armi per casse di vodka – Kamienski studia le droghe usate dai contingenti dell’Isis (il Captagon, cioè fenetilina) e costella il suo libro di aneddoti lisergici (il grande cancelliere Otto von Bismarck era “un morfinomane regolare”, John F. Kennedy si drogava con piacere, d’altronde la vittoria di Bernard Montgomery a El Alamein “ha a che fare con l’uso della benzedrina”). In attesa che il libro tocchi lidi italiani, Jacinto Antòn ha dedicato al tema un gustoso articolo pubblicato da El Pais. Verrebbe da dire che all’uomo la guerra fa schifo. Per combattere, ha bisogno degli stupefacenti. Per far prima, si potrebbe evitare di fare la guerra. Fole. L’uomo, per natura, o fugge il mondo o lo distrugge. In entrambi i casi, è necessario drogarsi.

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