19 Settembre 2019

“Se ami sopra ogni cosa l’arte, devi saper abbandonare anche il migliore amico”: su Egon Schiele, l’artista che non lascia scampo

La prima volta che ho visto le opere di Egon Schiele avevo quindici anni, erano su un manuale d’arte di mia madre. Avendo una madre artista ho sempre avuto la casa piena di quadri, libri e fogli disegnati. Ma quando ho visto quei disegni di Schiele qualcosa ha cominciato a bruciare dentro di me, non ha più smesso. Così ho cominciato a cercare tutto di questo artista, la vita, le opere e persino le lettere. In Ritratto di artista (Abscondita, 2007), con traduzione di Claudio Groff, sono raccolte le lettere, le liriche, alcune piccole prose e il diario di Neulenbach. La prima lettera scelta è esemplare del carattere di Egon Schiele: datata 1909, aveva diciannove anni, indirizzata allo zio e tutore Leopold Czihaczek che lo ostacolò sempre fino all’ultimo respiro, è un inno al coraggio dell’uomo, allo sfrondamento della paura, alla forza dell’indipendenza nella vita.

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Il segno grafico di Schiele è sicuro, libero, senza pudori e senza inutili abbellimenti. Nella lettera allo zio scrive “L’indipendenza è una grande fortuna, doppiamente pregevole per gente dotata di spirito autonomo; non tutti hanno le qualità necessarie per goderla in maniera opportuna. (…) Ma nulla è più detestabile dell’essere dipendente, nulla è più pernicioso e dannoso per un animo forte”. Se l’animo è forte spacca la paura, affronta ogni difficoltà, non teme la caduta, se nella caduta si ritrova una qualche forma di conoscenza. Nel suo segno ho sempre trovato un impulso primordiale, un uomo che sa da dove parte e che ha una spinta irrefrenabile alla vita, cerca l’esperienza, osserva, sa quindi dove vuole andare. Il segno di Schiele non ci concede pause, scava le forme, le rende essenziali, tutto è ridotto. Le maschere sono odiate, il pudore resta fuori dalla carne. “C’è un impulso, ininterrotto e sempre crescente, che mi sostiene”: ecco il suo fuoco, che con la sua arte ci passa ancora di mano.

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Schiele ha le idee chiare, è giovane ma solo all’anagrafe, è un volto che possiede due occhi con una energia vecchia di secoli. Nelle fotografie che lo ritraggono c’è un uomo senza età, ha la pelle giovane ma due occhi che non hanno paura di guardare, incendiano anche la neve. Egon nelle sue lettere viene fuori come un uomo pratico, che fa i conti con i pochi soldi che guadagna, consapevole del suo valore, quasi da risultare fastidioso, chiede soldi e prestiti in cambio di disegni, sa che il suo segno rimane, non si dimentica. Schiele è anche consapevole che l’artista deve allontanarsi dal pubblico, conosce le sue capacità ma “più si ha a che fare con il pubblico, più diventa difficile. (…) Se l’artista ama sopra ogni cosa la sua arte, deve saper abbandonare anche il migliore amico”. Ci può sembrare cinico e spietato, è solo sincero, non ha paura di dire la verità, che l’arte (per un artista vero) è avanti a tutto, al proprio ego, ai propri affetti. Non prendetela male, ma l’artista ama e ama tutto e chiunque in funzione della sua arte. Egon è un uomo appassionato della vita, è un uomo intero “Se mi vedo tutto intero sarò costretto a vedere me stesso, e a sapere cosa voglio, non solo cosa accade dentro di me, ma quanto ampia sia la mia capacità di vedere”.

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Egon Schiele (1890-1918) era il pupillo di Gustav Klimt. Non lo si ammira per passatempo

Guardo i suoi quadri al Leopold Museum di Vienna e ci resto tutta la mattina. C’è qualcosa che non lascia scampo, che ti incolla. Dei suoi quadri Schiele scrive “Il quadro deve produrre luce dal suo interno, i corpi hanno una loro luce, che consumano vivendo; essi bruciano, non sono illuminati”. Dalle sue lettere capisco. Egon ci dice che portiamo una luce dentro, che bruciamo il nostro combustibile vivendo, ci portiamo in giro come torce. Probabilmente era in qualche modo consapevole che lui doveva bruciare tutto e subito, essere un grande incendio, lasciare tutta la forza e la luce in ogni singolo disegno. Egon Schiele muore a ventotto anni, qualche giorno dopo la morte della moglie. Nel 1913 scrive “Io sono entrato nella vita attraverso l’amore, io vivo con l’amore per tutti gli stadi degli esseri vivi insieme a me, io voglio andarmene dal mondo per amore”. L’artista ama con tutta la sua forza, ama tutto dell’uomo, le sue debolezze. I corpi di Schiele sono alterati, eccessivi e allo stesso tempo scarni, smangiati, risucchiati nelle loro passioni, nei loro drammi, nei traumi. Era chiamato “il pornografo di Vienna” per la serie di disegni e dipinti erotici, venne pure rinchiuso in prigione 24 giorni per questo, siamo ai primi del Novecento nella ricca e avanguardistica Vienna, eppure un artista non può essere disinibito, non può essere libero. Paga il prezzo della sua visione. Schiele odia Vienna e “ardo dal desiderio di trovarmi tra uomini liberi”. Le sue donne e i suoi uomini, pure i bambini rappresentati, hanno tratti essenziali: “mi accorgo che siamo troppo confortevoli nelle nostre concezioni – dobbiamo diventare duri e primitivi.” Schiele cerca in sé attraverso gli altri, attraverso la sua arte, di giungere alla parte più scarnificata dell’essere umano, le sue figure sono magre fino alla deformazione, la pelle è tirata come un elastico attaccato per sbaglio alle ossa. Si scava, si scava anche nel corpo.

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Delle sue modelle non ne possiede mai nessuna. Lui ama tutto delle sue modelle, ama anche il loro inconscio, vede la loro luce astrale. Scrive “adesso ottengo il suo corpo” solo quando l’ha disegnato, possederle nel segno, prendere la torcia, farla bruciare infinite volte sulla tela. Egon Schiele viene appellato il pornografo di Vienna, tutti si scandalizzano per i suoi disegni erotici, li fanno addirittura togliere da una mostra, sequestrano alcune tele. Tutti improvvisamente sono più puri, non ammettono la corruzione dell’animo, non ammettono il tormento del sesso. Schiele è un uomo semplicemente consapevole: “gli adulti hanno dimenticato quanto essi stessi erano corrotti da bambini, cioè stimolati ed eccitati dall’istinto sessuale? – hanno dimenticato come il terribile impulso li bruciava e li tormentava quand’erano ancora bambini?”. Amo Egon Schiele perché spezza il pudore, perché non crede all’innocenza dei bambini, perché li vede come semi di adulti futuri, perché nella sua arte ci inserisce la vita, ruba l’anima di chi ritrae. Non ne resti indifferente, i suoi quadri ti inseguono di notte, ti vengono a prendere, ti rubano tutto lo strato superficiale. Davanti ai quadri di Schiele non ci si può mentire. Forse era proprio per questo che dava tanto fastidio, coccolato da Klimt ma anche un po’ tenuto al guinzaglio. Se volete vedere Schiele come passatempo tenetevi a una distanza di sicurezza.

Clery Celeste

*In copertina: Egon Schiele, “Autoritratto”, 1912, Leopold Museum, Vienna

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