28 Maggio 2018

E io che pensavo che il Governo sarebbe saltato per l’inconsistenza del Ministro della Cultura… Per una volta il Presidente parla chiaro, senza sofismi politici: l’Italia è in vendita. Anzi, è già svenduta

Sospiro di sollievo. Finalmente, una volta tanto, hanno detto le cose come sono. Il Presidente della Repubblica Mattarella ha detto che l’Italia è il dominio di “investitori e risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende”, che l’Italia è in balia dell’“impennata dello spread” e delle “perdite in borsa”. Per questo, il Presidente, come dire, ha fatto saltare il Governo: non voleva ingollare l’olio di ricino di Paolo Savona Ministro dell’Economia. Ieri, trasecolai. E io che pensavo che il Governo sarebbe esploso vista l’inconsistenza del Ministro della Cultura… Rileggetelo per esteso il discorso del Presidente Mattarella, vale la pena. Sobrio. Lucido. Agghiacciante. La ramanzina è piamente economica: “È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri – che mi affida la Costituzione – essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani”. Il Presidente della Repubblica è il tutore dei nostri risparmi. Siamo diventati una Repubblica fondata sul risparmio, non più sul lavoro – cioè: sulla creatività, e dunque, non sulla custodia dei soldi propri e dei fondi privati, ma sull’iniziativa, sulla conversione del risparmio in credito di possibilità e di sogno. La cosa interessante è la schiettezza del Pres. Non cita nessuno. Non cita Dante, Marco Polo, Alessandro Manzoni, Leopardi. Non cita neanche i suoi predecessori – neanche Machiavelli, cita. Perché dovrebbe citarli? Non certo per un esercizio di stile. Per un fatto preciso. Perché l’Italia non è una questione di denaro: è identità. E l’identità italiana – la sua essenza – non la fanno i Governi, ma i grandi. Dante, Marco Polo, Machiavelli, Manzoni. Invece. Il Presidente parla solo di denaro. E dice una cosa. In sostanza. L’Italia è in svendita – anzi, è già venduta.

E ora. Si è appiccato il falò delle interpretazioni e delle controinterpretazioni e delle contro-contro. L’arte della dietrologia – e di metterlo nel didietro – d’altronde, è un marchio di fabbrica italico. Esercizio di esegesi affascinante, forse, per i teologi del kitsch. A puro titolo di esempio, va letto l’editoriale di Luciano Fontana, direktor del Corriere della sera. Titolo canonico (Una sfida irresponsabile di fronte a un Paese smarrito. Una sconfitta per l’Italia) per un articolo che è più realista del re, una nuova accezione del politicamente corretto, roba da bar sport dei buoni sentimenti. D’altronde. Per la stampa estera – fate un giro tra Guardian, Le Figaro, El Pais – la questione Italia è assolutamente marginale, una notizia laterale, secondaria. Che un Governo non ci sia, fa comodo a tutti: meno rompipalle in UE, meglio trattare con i burocrati, adatti a obbedire. Nell’epoca della democrazia marcita, dove il nostro voto vale quanto una risata in faccia a una statua di marmo, i governi ‘locali’ sono un problema. L’ideale – a cui aspirano i subdoli – è il dominio degli uffici ministeriali, con il Parlamento esausto, esaurito, un paddock di stalloni castrati.

camelotE noi? Nel mio libro dei sogni farei un grande festa al Quirinale, invitando i massimi poeti e scrittori del Paese. Un libro interessante, uscito di recente negli Usa, Dinner in Camelot, firmato da Joseph A. Esposito (University Presso of New England, 2018), racconta la mitica “cena dei Nobel” organizzata dai Kennedy alla Casa Bianca il 29 aprile 1962, con “175 ospiti… 49 vincitori del Nobel… la più grande cena dell’era Kennedy”. Tra gli altri, c’erano James Baldwin, Pearl S. Buck, John Dos Passos, Robert Frost, William Styron. Pura smargiassata kennediana, con John F. che da un lato dialogava con gli scrittori e con la nerchia si trombava le hollywoodiane. Avercene. Comunque. Di dominatori rinascimentali che si circondano gli artisti. L’artista lo puoi stipendiare, lo puoi arginare. Ma lui resta indomato. E quando va male vien fuori una Cappella Sistina. A Kennedy importava la ‘narrazione’ degli Stati Uniti, più che il governo. Intendo. Il Presidente Mattarella avrebbe bisogno di un pool di scrittori per redigere la sceneggiatura della prossima Repubblica. L’Italia è nuova, non ha neanche due secoli, la Repubblica è nata l’altro ieri. Inventiamoci qualcosa di nuovo per un tempo nuovo, inaudito.

E noi? L’ecosistema politico non esiste più. L’unico modo per essere liberi è liberarsi dalla schiavitù del denaro. La nostra vita non ha un prezzo. La nostra identità non è quella dei prezzolati. Pigliatevi pure i nostri “risparmi”. Fotteteli. Noi abbiamo la testa, noi sappiamo risorgere dal niente. Sappiamo vincere l’oscurità. Abbiamo percorso gli inferi, con Dante, abbiamo visto la peste, con Manzoni, conosciamo l’amore e sappiamo cantarlo, grazie a Petrarca, siamo andati a piedi nudi, in capo all’Oriente, con Marco Polo. Non abbiamo paura di nulla. La nostra patria è il linguaggio. La nostra furia è l’inquietudine al creare. L’aborto del Governo italiano è un sussurro, un tremito; noi siamo ingovernabili. (d.b.)

 

 

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