16 Settembre 2020

Qualcosa su “DUNE”, il mondo creato da Frank Herbert: luddista, arcaico, reazionario, esoterico e al tempo stesso estremamente libertario

Quando, molti anni fa, Frank Herbert concepì il mondo di DUNE, non lo pensò mai come un ennesimo immaginario fantascientifico da Space Opera, ma creò un universo basato su una complessa struttura mistica nel quale ogni umano – e sovrumano – aspetto si fonde l’uno nell’altro senza confini ben precisi.

Ecco che la prossima uscita del nuovo film DUNE, questa volta con la regia di Denis Villeneuve, dopo quello, per chi scrive meraviglioso – seppur fallimentare – del lontano 1984 a firma dell’immaginifico David Lynch, ci dà l’occasione per ripercorrere il “Sentiero Aureo” tracciato dal romanzo e dai suoi seguiti che espandono il suo variegato milieu. Herbert ha attinto ad innumerevoli fonti, dall’epica greca con lo stesso nome della Casa Atreides ai miti norreni, dal mondo celtico a quello estremo orientale, profondendo in questo suo straordinario affresco che si snoda nel tempo e nello spazio, a piene mani, temi sociologici, politici, etici ed estetici oltre a quelli religiosi.

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In DUNE troviamo la scienza più estrema, quella dei cloni e delle modificazioni genetiche, in stretta convivenza con tecniche mentali che profumano della magia naturale del Rinascimento o di vie filosofiche orientali. Il Cristianesimo, nella sua formulazione sincretica Cattolico Orangista, è coesistente con una strana forma di Islamismo Zen, definita non a caso ZenSunni, mentre la misteriosa e inafferrabile popolazione dei Fremen – gli uomini liberi che vivono nel profondo deserto di Arrakis, il pianeta noto come Dune – sono seguaci del culto del Grandi Vermi e vivono in una società tradizionale, arcaica, simile ai clan delle Highlands o alle tribù di nativi americani, tra le rocce scolpite dai terribili venti che sferzano il pianeta dalle due lune. I Fremen sono gli “uomini liberi” che restano tali anche all’interno di un sistema feudale qual è l’Impero del Milione di Mondi, dove l’Imperatore stesso trama in continuazione con tutte le forze in gioco, con la Gilda, con il Landsraad delle Grandi Case in un eterno “divide et impera” sorretto dalla preziosissima droga geriatrica che soltanto su Arrakis viene prodotta: Il Melange, e senza la quale, irreplicabile, non è possibile né vivere a lungo né muoversi nel continuum spaziotemporale. Senza la Spezia ogni cosa si fermerebbe, non vi sarebbe più vita.

Chi governa Arrakis dunque, controlla l’Universo. Herbert allora, in un afflato poetico dopo l’altro, in una prosa che è verso e ritmo, costruendo trame e sottotrame, riprende il mito del Salvatore, del Messia che giunge da altrove, “la voce da un altro mondo”, a portare la vera pace dopo una guerra di liberazione.

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DUNE è il romanzo iniziatico sulla formazione di un giovane uomo, Paul Atreides, figlio del Duca Leto Il Giusto e di sua madre, la concubina Jessica, che dalle acque del suo pianeta Caladan, diventerà il Messia atteso dal popolo dei Fremen e guiderà i grandi vermi contro la nemica famiglia degli Harkonnen. Se nella visione di Herbert, gli Atreides sono l’onore, la dignità, l’orgoglio, l’eroismo di un mondo aristocratico e colto benché feudale, i loro nemici congiunti, la casata Hartkonnen ne è l’opposto speculare: è la brutalità, la sopraffazione, il tradimento spinto sino al genocidio dei popoli e della natura violata.

Herbert inserisce giochi verbali, poesie, litanie e canzoni nella sua infinita narrazione, disegnando così una società multistrato, cristallizzata e fluida al tempo stesso, dove i soli veri “alieni” sono i giganteschi vermi di Arrakis ed è piuttosto l’umanità ad essersi trasformata e differenziata dopo la sua espansione nel cosmo, avvenuta migliaia di anni prima dell’ascesa al trono di Paul Atreides. Così come in essa non esistono i robot antropomorfi, rinnegati dal “Jihad Butleriano” sostituiti dai veri e propri “computer umani” noti come Mentat. DUNE è luddista, arcaico, reazionario ed esoterico e al tempo stesso estremamente libertario. Il sesso è una componente essenziale di questo arazzo, ma mai disgiunto dall’amore, quale quello struggente di Leto per Jessica o quello destinato e scritto nelle stelle di Paul per Chani. La Sorellanza Bene Gesserit infatti, addestra le proprie adepte a un uso magico della sessualità, sino al controllo del sesso del nascituro e non soltanto come pratica erotica, ma l’amore è sempre l’aspetto più alto di tutto ciò e misticamente sfugge al controllo delle Streghe, come vengono spregiativamente chiamate le Reverende Madri. Una casta di femmine matriarcali che agisce nell’ombra, tramando contro ogni altra forza politica in gioco sulla scacchiera cosmica, ma impedita nel raggiungimento del proprio scopo dall’imprevisto che è il Kwisatz Haderach, Paul, istruito nelle pratiche misteriose della Sorellanza e che possiederà la capacità di vedere sia il futuro sia il passato e potrà recarsi “nel luogo che terrorizza tutte le Madri Bene Gesserit, il luogo dove non si può andare”.

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Un Messia che diventerà Rex et Sacerdos, sedendo infine sul Trono del leone, per poi accettare di scomparire nel deserto più profondo, “cieco veggente” Paul Muad’Dib – come sarà chiamato il giovane Atreides, o Usul per i Fremen – scomparirà infine dal mondo dell’uomo. Come per la nascita del Cristo anche per il giovane Paul è prevista una “strage”, non d’innocenti, ma della sua stessa casata. E così anch’egli deve fuggire per porsi in salvo da coloro che lo vorrebbero uccidere. Ma a differenza del Gesù storico, egli non predicherà la mitezza e il perdono, quanto la Guerra Santa, quasi in una visione millenarista cristiana. Infatti non è certo un caso se i Guerrieri Sacri di cui si circonda Muad’Dib, ovvero i Fedaykkin, siano la riproposizione dei Templari, degli Ismailiti o degli stessi misteriosissimi sufi del Vecchio della Montagna.

Ma Muad’Dib non è un dio, egli è piuttosto il Restauratore del Principio Primo e Assoluto, mentre raffigurazione terrena di Dio, per i Fremen, sono i grandi vermi, gli Shai-Hulud, nome con cui essi a volte designano anche lo stesso Principio Divino. Creatore è chiamato il verme che percorre il profondo deserto di Arrakis. Creatore della misteriosa sostanza psicotropa che consente ai Navigatori della Gilda di piegare il Tempo e lo Spazio. Piccolo Creatore è il cucciolo dei vermi che i Fremen sacrificano per ottenere la caustica Acqua della Vita, il liquido azzurro ottenuto dalla bile dei vermi, ci porta all’Alchimia: Aqua Vitae, l’acquavite, l’uiske betha irlandese, assumendo la quale l’uomo diviene prossimo a Dio.

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Paul Atreides, Muad’Dib, utilizza scientemente la violenza di un popolo vissuto per secoli nella più feroce repressione, soprattutto dopo lo sfruttamento indiscriminato operato dagli Harkonnen, per trasformare Arrakis in un mondo paradisiaco dove scorra liberamente l’acqua, facendolo diventare un pianeta verde dove il deserto sia soltanto una sorta di “riserva protetta” nella quale far vivere i grandi vermi.

L’Impero sotto il governo di Muad’Dib è dunque una civiltà tradizionale con un centro spirituale che è Arrakis, o meglio ancora la Città Santa di Arrakeen, posta dietro al Muro Scudo, sul circolo polare artico del pianeta, eco dell’Invariabile Mezzo, come un’iperborea Thule rediviva. Paul diviene il nuovo “legislatore universale” e in virtù della sua condizione, esprime la presenza dell’Assoluto in seno all’ordinamento temporale, assumendo la funzione di pontifex, dunque di mediatore, tra il naturale e il sovrannaturale. Usul è simile al Chakravarti della tradizione hindu, essendo egli il centro che può anche essere in ogni altro luogo, ed è Signore di Pace e Giustizia.

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Come il Deserto e come Dio, anche Muad’Dib sarà Uno, nessun altro della sua stirpe lo eguaglierà mai in Potenza, Saggezza e Misericordia lungo tutti i millenni del Sentiero Aureo, ma a noi uomini che ancora ardono del desiderio di sognare infiniti mondi e sovrumani silenzi, Frank Herbert ha lasciato questo dono fatto di pagine che si susseguono, come un labirinto di specchi dipinti in una dimora assoluta, colme di bellezza e di crudele violenza ma soprattutto d’amore per un luogo che non ha confini né limiti né nel nostro cuore né nei nostri sogni.

“Dimmi delle acque del tuo pianeta, Usul!” sussurra Chani all’orecchio dell’amato Paul.

Dalmazio Frau

*In copertina: Sting nel film “Dune” secondo David Lynch (1984)

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