21 Marzo 2018

Due lettrici di rara intelligenza a confronto: una mitragliata di grandi libri, da McCarthy a Flannery O’Connor, Gadda e Ralph Ellison

Come i malati. Quando mi sento male, in assenza di linguaggio, e divento debole come una foglia. Ho due libri sul comodino. Le Elegie duinesi di Rilke (forse la traduzione di Michele Ranchetti è la più bella, ma sono affezionato a quella dei De Portu). Le poesie di Boris Pasternak tradotte da Ripellino. Giusto per riprendermi. Elettroshock linguistico. Ora che ricordo. Il mio personale ‘canone’ contempla anche un paio di nipponici, Kawabata – il genio del chiaroscuro, della leggerezza – e Tanizaki – le sottili perversioni di un maestro. E poi Mario Pomilio, autore di un romanzo fuori dai canoni, Il quinto evangelio. E poi Meridiano di sangue, il più bel romanzo di Cormac McCarthy. Che cosa strana, il canone. Appena ne compili uno, ti ricordi di tutti quelli che ti sei dimenticato di canonizzare. Per fortuna mi aiutano due lettrici eccezionali, a capire ciò che amo con troppa distrazione.

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Elisabetta Cipriani

I fratelli Karamazov, Fëdor Dostoevskij. Possono accadere le più turpi tragedie – padri che castrano figli, figli che uccidono padri, bastardi che scimmiottano il nichilismo ed intellettuali euclidei che si fanno gabbare da demoni meschini; fiere donne che febbrilmente amano, odiano, ridono, piangono, cadono in ginocchio e stringono mani. Tutto può accadere in Russia. Tanto il sipario calerà sempre su un puro folle che dinnanzi a un pubblico di ragazzini giurerà: “Certamente risorgeremo, certamente ci rivedremo e ci racconteremo l’un l’altro allegramente tutto ciò che è stato”.

Fahrenheit 451, Ray Bradbury. Perché se vuoi salvare il mondo, te stesso e una storia non hai che da imparare a memoria il libro di Giobbe.

Giobbe, Joseph Roth. Perché l’uomo sarà pestato nel torchio della sventura ma il giusto vivrà per la sua fede, specie quando l’avrà persa.

Tutto scorre, Vasilij Grossman. Il monumento più schietto e antiretorico mai eretto al dissenso e alla libertà.

Tutti i racconti, Flannery O’Connor. Il reale del reale è la grazia.

Sessanta racconti, Dino Buzzati. Più vero del verosimile è il fantastico.

Canzoniere, Umberto Saba. “Per l’altezze l’amai del suo dolore/ perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra,/ perché tutto seppe, e non se stessa, amare”. Se esiste un intelletto d’amore è qui, in questi versi.

I giusti, Albert Camus. Non c’è terrorismo, dagli anarchici all’Isis, che questo dramma non incenerisca con il suo specchio ustorio.

Quattro quartetti, T. S. Eliot. “L’unica saggezza che possiamo sperare di acquistare è la saggezza dell’umiltà”. Grimaldello antinovecentesco impugnato dalla più grande poesia del Novecento.

Sunset limited, Cormac McCarthy. Vale la pena vivere, sì o no? Tutte le altre questioni impallidiscono per poi svanire, semplicemente.

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Una lettrice

Questi, i libri che accompagnano le tappe della mia vita. Cominciamo:

L’adolescenza:

Lo spleen di Parigi, Charles Baudelaire: I Fiori del male messi a nudo, spogliati della retorica. Rimane l’essenza.

La fisica teorica: un viaggio attraverso la bellezza della matematica (così simile a quella della musica e della poesia) verso l’infinto, un’India immaginaria, le cui porte “sono trasferite in tutt’altro luogo e più lontano e più in alto”. Il senso del limite che condanna l’uomo a perdere, ma, nella sconfitta, gli regala la bellezza.  Due libri:

Un medico di campagna, Franz Kafka: Il nuovo avvocato, In galleria, Il messaggio dell’imperatore.

L’Aleph, Jorge Luis Borges: La ricerca di Averroè, La scrittura del dio e, ovviamente, La casa di Asterione.

L’America:

Chadzi-Murat, Lev Tolstoj: il più bell’incipit della letteratura? Il guerrigliero e il cardo che si confondono e si fondono nella parola “tatar”.

Cuore di tenebra, Joseph Conrad: il viaggio attraverso la parte più cupa della civilizzazione, con un linguaggio che si fa esso stesso foresta. Attuale, purtroppo.

Invisible man, Ralph Ellison: la scoperta del jazz e della letteratura afro-americana. La prosa e la musica che si compenetrano: “I am an invisible man. […] I am a man of substance, of flesh and bone, fiber and liquids — and I might even be said to possess a mind. I am invisible, understand, simply because people refuse to see me.”

Il ritorno:

Viaggio al termine della notte, Louis Ferdinand Céline: la realtà, nuda, raccontata con una prosa che ti squarta la pelle. Difficile, a volte, proseguire nella lettura.

Morte dell’inquisitore, Leonardo Sciascia: il racconto della vita (vera) dell’eretico Fra Diego La Matina, che, in un gesto di disobbedienza, uccide il proprio inquisitore. Uno dei personaggi più amati da Sciascia. Sullo sfondo, l’Inquisizione spagnola nella Sicilia del ‘600, e la ragnatela di connivenze con la politica e la società cosiddetta “civile”. In ogni pagina, Sciascia trattiene, con uno sforzo di lucidità, la passione e la partecipazione alle sorti del condannato, per non sottrarre valore al sacrificio del frate e al suo messaggio di dignità.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Carlo Emilio Gadda: geniale, ironico, acuto. A tratti, impossibile trattenere il riso. Una dichiarazione d’amore a Roma, da un milanese che ogni strada ha calpestato e amato ogni pietra di essa.

I demoni, Fëdor Dostoevskij: il libro che sto finendo di leggere e mi è entrato sotto pelle. Tante le domande: chi è Stavrogin? Perché uno dei personaggi più cari a Dostoevskij? È davvero il male assoluto o c’è in lui una scintilla di luce? Perché il nome porta su di sé la croce?

 

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