10 Gennaio 2018

Il dramma delle imprese italiane? Che a fare ‘comunicazione’ è l’amante del direttore generale. Esperta in tutto. Ma non in quello

Per comunicazione, in sintesi, s’intende la filiera che parte dall’ufficio stampa – almeno questo ben tracciato nella sua attività nei confronti dei media – e arriva a ogni aspetto che riguarda l’identità, la promozione e la tutela – in situazioni di “crisi” (come nel recente caso di Apple che ha ammesso di aver rallentato i propri dispositivi più vecchi al fine di ridurne i consumi) – di prodotti e realtà aziendali, sia offline che online. Pubblicità compresa. E compreso il “demoniaco” storytelling, attualmente sulla bocca di tutti, che altro non è se non l’arte di narrare; e che, legittimamente, si può applicare in modo superbo anche alla sfera aziendale. Il quadro si complica ulteriormente perché nella società odierna chiunque – dallo studente all’imprenditore – deve (o, meglio, dovrebbe) saper comunicare, perché anche un semplice post su Facebook diventa la comunicazione di noi stessi in pubblico. E, peggio ancora, se in Italia tutti si considerano ottimi potenziali allenatori della propria squadra del cuore, si sentono anche, a maggior ragione, dei super esperti di comunicazione. Per esempio, l’altro giorno un bancario – che sa giusto fare benino il suo mestiere – mi ha spiegato perché un’azienda sua cliente non è pronta per fare comunicazione, e me lo ha spiegato con logiche che forse non andavano bene nemmeno prima dei social, figurarsi adesso. Ma il problema non è lui, visto che lavora in una banca locale dove la comunicazione è affidata all’amante del direttore generale (beninteso, il suo merito “professionale” è solo quello di essere l’amante del dg) e quindi non ha mai potuto vedere come si fa seriamente comunicazione. Purtroppo sorte simile capita in tante altre realtà nostrane e in vent’anni di mestiere ho conosciuto, nei vari ruoli, molte amanti di presidenti e amministratori delegati in aziende di tutte le dimensioni. E se non erano le amanti, spesso erano i figli dei proprietari. Senza particolari studi o qualifiche, erano messi lì perché al genitore sembrava il posto dove il figlio o la figlia poteva fare meno danni – ed era vero solo in parte. Detto ciò, questo “Ammazzacaffè” non vuole fare polemica, vuole dare una scossa. Perché tanti imprenditori stanno sprecando tempo e opportunità. Mentre oggi, grazie soprattutto ai social, si può fare ottima comunicazione a qualsiasi livello, dal negozietto alla società quotata in Borsa, fino a quella personale del personaggio famoso. Con costi ridicoli, soprattutto in funzione del ritorno economico, ora quantificabile al centesimo. Perciò basta col fai da te. Affidatevi ai professionisti, però non del sesso clandestino.

Michele Mengoli

www.mengoli.it

Gruppo MAGOG