01 Ottobre 2019

“Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere”: da Dostoevskij a Chernobyl, eremiti, folli e demoni nella letteratura russa

Una volta un professore mi raccontò di come in Russia, dopo decenni di comunismo e propaganda antireligiosa, i giovani cresciuti sotto la falce e il martello riscoprissero Cristo leggendo i romanzi di Dostoevskij. In effetti, dopo aver letto Delitto e Castigo ebbi come l’impressione di aver letto un libro su Dio; anche se l’autore non lo nominava mai, si avvertiva chiaramente la sua presenza, anche nelle scene più oscure, anche negli atti più abietti. Dio era presente, quasi che tutto il male di cui l’uomo è capace non fosse sufficiente a spegnerne la luce.

Questa “resistenza” di Dio la considero un tratto fondamentale della religione ortodossa. I paesi dell’Est Europa non possono dire di aver goduto un rapporto sereno con l’Altissimo: la loro storia è costellata di orrori indicibili, mostruosità tali che sarebbe facile considerare il mondo ortodosso come una terra dimenticata da Dio. Ma non è così.

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Nel 1928 lo scrittore Boris Zaitsev compie un pellegrinaggio in uno dei luoghi più suggestivi della terra: il Monte Athos, una penisola verdeggiante a strapiombo sul mar Egeo dove vivono soltanto monaci. Laggiù si sente davvero la voce di Dio, e Zaitsev descrive questo suo viaggio nel libro Monte Athos (Castelvecchi): i racconti delle vite dei monaci, dei santi eremiti che si nascondono nelle celle sperdute sulle pendici dei monti, si mescolano alle albe nebbiose e ai cieli violacei della vastità del mare. Durante questo pellegrinaggio, è impossibile per Zaitsev non pensare alla sua patria, a cosa è diventata la Santa Madre Russia: alle storie miracolose di santi che convivono con gli orsi, si è sostituita la sanguinosa burocrazia dei Soviet. Perfino l’Athos resta qualcosa di così lontano che è difficile credere possa esistere un posto simile, dove Dio è visibile in ogni riflesso, in ogni brina mattutina, ed è facile perdere il contatto con la realtà. Ma un monaco, sollecitato da un viaggiatore che vorrebbe spazzar via i bolscevichi, risponde che il martirio della Russia è un segno di favore celeste. È difficile, anzi impossibile per noi laici comprendere il martirio. Qualcuno magari intravede i segni della rassegnazione, ma non è certo il caso. Gli eremiti mettono a dura prova il fisico e la mente proprio perché convinti che soltanto attraverso le privazioni ci si possa avvicinare a Dio, quasi che la religione riveli la sua essenza più vera nelle grandi avversità.

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Gli stessi eremiti conducono una vita estrema, spesso nutrendosi di nulla e regalando quanto più possono ai bisognosi; uomini che vivono con appena due stracci buttati addosso, lasciati poi in eredità ad altri eremiti come vere e proprie reliquie (nel libro Gli eremiti del deserto, Quodlibet, 2016, Ermanno Cavazzoni racconta la vita di molti eremiti, fra realtà e fantasia). Compagno inseparabile di questi monaci è il Diavolo, che mai li abbandona per un secondo, ingaggiando una vera e propria lotta: “Per il monaco il diavolo è sempre vicino, qui accanto, con le fauci aperte, con gli artigli allargati: basta un momento di distrazione perché ci salti addosso. C’è anzi una speciale teoria: il nemico si occupa poco della gente qualunque. I suoi sforzi sono diretti contro quelli che si pongono scopi più alti: perciò lo attraggono particolarmente i monasteri” (B. Zaitsev, Monte Athos).

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Io stesso, quando seppi che sull’isola di Cefalonia c’era un monastero, e sotto di esso l’antica cella dell’eremita San Gerasimos, volli vedere con i miei occhi. Il monastero si erge in una piana verdeggiante, vi si arriva scendendo lungo un viale alberato e il mattino sembra più bello, senza una precisa ragione. La costruzione è magnifica, l’interno è una festa di ori e icone coloratissime, ma in un punto si apre una piccola botola e una scaletta a pioli scende nell’oscurità. Laggiù, in un buco scavato nella roccia, si trova la dimora di San Gerasimos. Appena una tana. Risulta difficile credere che un essere umano, a poca distanza dalle splendide spiagge che sa offrire Cefalonia, abbia deciso di rinchiudersi di sua spontanea volontà in un simile tumulo di pietra. Eppure Gerasimos è rimasto lì per anni, e su quel niente di pietra è cresciuta oggi, come per miracolo, una magnifica chiesa; quasi che la grotta del Santo costituisse le fondamenta per la vita monastica.

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Se nei paesi su cui sono passati gli scarponi chiodati dell’URSS sopravvive la religione ortodossa è anche per questo motivo: Dio si rivela nelle avversità, è quella linea di luce che brilla nell’ombra, che le dà una forma, che la rende meno spaventosa. È per questo che la letteratura russa è costellata di presenza demoniache, quasi una componente necessaria non solo per spiegare il male e la sofferenza, ma anche per trovare Dio. Francesco M. Cataluccio in Chernobyl (Sellerio, 2011) abbozza una carrellata di apparizioni diaboliche nella letteratura russa, fino a raccontare come persino il disastro nucleare in Ucraina fosse visto da alcuni come opera del Demonio.

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La storia di quei giovani che scoprono Dio attraverso Dostoevskij è un’altra delle numerose meraviglie di cui è capace la letteratura. In Dostoevskij stesso, per sua ammissione, è insita questa resistenza. Egli si considerava figlio del suo secolo, dove l’ateismo era sulla via del trionfo: “Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più fortemente mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Cionondimeno Iddio mi manda talora degl’istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl’istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri” (F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, Feltrinelli, 2017).

Non sono bastate le persecuzioni e la propaganda a fermare la ricerca di Dio. Anche nei momenti peggiori, soprattutto nei momenti peggiori, Dostoevskij, e con lui il cristianesimo ortodosso, sembrano dirci che Dio è ancora lì per noi, magari chiuso in una grotta in attesa che su di essa nasca una nuova Chiesa.

Valerio Ragazzini

*In copertina: Mikhail Nesterov, “La visione del giovane Bartolomeo”, 1889-1890

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