Al principio era una ragazza che “verso i ventidue o i ventitré anni” fa una gita nella Roma appena fascista, nel momento più delicato dell’impero del Duce, “subito dopo, o al momento stesso dell’assassinio di Matteotti, e c’era una grande eccitazione nell’aria”. Si esercita ad amare Roma, Marguerite Yourcenar, ad inalarne la torbida eternità e il torpore del millennio scadente; intravede, dietro i marmi levigati e lividi, il cuore di Adriano. Soprattutto, però, lo sguardo da Cassandra, che stupra le superfici, non si lascia ipnotizzare dal “lirismo dell’Italia romana, della romanità”: dietro “quella che si credeva una tradizione di grandezza”, il mito imperiale creato ad arte da Mussolini, Marguerite vede “la montatura e l’imbroglio”. Mi pare interessante: mentre la Yourcenar medita il libro più noto, Memorie di Adriano – lo scrive lei: “questo libro è stato concepito, poi scritto, tutto o in parte, tra il 1924 e il 1929” – s’impunta a scrivere il suo “romanzo ‘italiano’” – così la dida di una delle tante edizioni ‘tascabili’ Bompiani – il romanzo misconosciuto, Moneta del sogno, ambientato nell’Italia fascista, nella Roma del 1933. L’esistenza di quel libro è curiosa perché la Yourcenar pubblica nel 1934 – siamo agli esordi lirici e acerbi di Alexis e Fuochi, poco prima di un plastico capolavoro come Il colpo di grazia – la prima versione, poi vi ritorna, raffina e ri-pubblica il romanzo risciacquato nel delta dei decenni nel 1959 – dandoci un insegnamento esemplare: “mi sia permesso di contestare l’opinione corrente che vuole che tornare a lavorare su una vecchia opera, ritoccarla, a maggior ragione rifarla parzialmente, sia un’impresa inutile o addirittura nociva, da cui slancio e ardore non possono che essere assenti”. Interessante, ancora: appena Maguerite pubblica la prima versione di Moneta del sogno riattacca l’“Adriano” – “ripresi i lavori nel 1934. Lunghe indagini… progetto ripreso e abbandonato più volte tra il 1934 e il 1937”. Come a dire, la Roma di un romanzo amplia quella dell’altro, una scrittura è il respiro e l’incavo dell’altra – e in effetti, pubblicato l’“Adriano” nel 1951, la Yourcenar torna a Denier du rêve. Il punto ‘politico’ del romanzo – “uno dei primi romanzi francesi (il primo, forse) a guardare in faccia la vacua realtà che si celava dietro la tronfia apparenza del fascismo” – sta nel guardare in modo disincantato la narrazione che il governo fascista dà di sé – “il fascismo mi sembrava grottesco; avevo visto la marcia su Roma: dei signori ‘di buona famiglia’, accaldati nelle loro camicie nere, e altri tipi che venivano pestati perché non erano d’accordo. Non mi era sembrata una bella cosa”, dice a Matthieu Galey nel libro intervista Ad occhi aperti, Bompiani, 1982 – da scrittrice. L’impegno della Yourcenar, senza fronzoli partitici né proclami facili – “non sono italiana ed è difficile immischiarsi negli affari degli altri” – è quello del romanziere con gli occhi aguzzi, “uno scrittore può contribuire alla lotta politica dicendo semplicemente quello che ha visto”. Come scrive Stefania Ricciardi, nella sugosa intro alla nuova traduzione di Moneta del sogno – che scalza, era ora, quella di Oreste del Buono – “più che al regime in sé, Yourcenar guarda con apprensione al patrimonio umano che il regime tramanda. Nessun personaggio è un modello da seguire, nessuno fra loro è esente da vizi, difetti, colpe”. Sagace traduttrice dei grandi della letteratura francese – da Irène Némirovsky a Claude Simon e Alain Robbe-Grillet – la Ricciardi, tra l’altro, è autrice della nuova versione di un altro capolavoro ‘politico’, La condizione umana, il romanzo capitale di André Malraux – pubblica Bompiani, in novembre. Narrativamente, il fascismo è tornato in auge – dal libro di Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo a Il silenzio di averti accanto di Giancarlo Marinelli – spesso in forme sbilenche, esteticamente blande, per questo è bene abbeverarsi alla buona narrazione della Yourcenar. La sintesi del libro, ad ogni modo, sta nella plumbea epigrafe di Montaigne, “Abbandonare la propria vita per un sogno è attribuirle esattamente il suo valore”. Se la vita è un sogno, la si può sbilanciare soltanto sognando più forte, con la perentorietà dell’urlo d’argento. (Davide Brullo)
Marguerite Yourcenar: ci faccia capire in cosa consiste il carisma del suo linguaggio.
Yourcenar, che leggeva correntemente il greco antico e il latino, è nota per lo stile classico, per la scrittura cesellata, “scolpita nel marmo” – come hanno osservato diversi critici – ma permeata della leggerezza nell’accezione calviniana, che implica precisione e determinazione. Ecco, credo che il suo carisma risieda nella frase levigata, elegante ma essenziale, senza un grammo di troppo, capace di interpellare direttamente l’animo umano. Ogni opera ha poi le sue peculiarità: dalla sintassi di ampio respiro ai frammenti lapidari passando per i monologhi. Moneta del sogno è un romanzo anomalo non solo perché è l’unico a essere narrato in presa diretta, ma anche per lo stile: lucido e visionario nello stesso tempo e nello stesso spazio narrativo, come si addice a un racconto metà realistico e metà simbolico. I personaggi si trovano all’intersezione tra il verismo italiano e il mito: la lingua corrente (del periodo fascista) e le reazioni popolari vanno a intrecciarsi con il classicismo della voce narrante. Un operaio delle Condotte pubbliche, un’anziana fioraia dell’entroterra laziale, non si esprimono certo come l’imperatore Adriano, come il medico-alchimista Zenone o come il priore dei Cordiglieri – per citare alcune delle creature più famose concepite da Yourcenar – e questi scarti di registro rendono la lingua di Moneta del sogno realistica e straordinariamente polifonica.
“Moneta del sogno” ha avuto un traduttore d’eccezione in Oreste Del Buono: quando lavora di solito considera le traduzioni che la precedono? Esiste una ‘classicità’ nelle traduzioni (penso al Moby Dick di Pavese) o è nella natura dell’invecchiamento della lingua la necessità di ri-tradurre?
La nuova traduzione di Moneta del sogno è nata da una mia idea: per una serie di ragioni legate soprattutto all’estrema mobilità della lingua italiana attraverso il tempo, anche la resa stilistica di una personalità letteraria del calibro di Oreste del Buono risultava datata e non esprimeva, a mio modesto avviso, tutta la potenza dell’originale. Quando però ho cominciato a tradurre, non ho più visto quel testo, avevo bisogno di trovare la voce, le voci, senza “interferenze esterne”, per così dire. L’ho ripreso in mano solo alla fine. Una presenza assidua nel mio lavoro è stata invece la traduzione inglese di Dori Katz pubblicata nel 1982 e intitolata A Coin in Nine Hands, particolarmente illuminante perché fatta “in collaboration with the author”. È l’ultima edizione di Moneta del sogno con Yourcenar ancora in vita. Cerco sempre di procurarmi tutte le traduzioni esistenti dell’opera che traduco, anche quelle nelle lingue straniere che conosco. Sì, l’italiano, soprattutto quando è lingua di traduzione, rischia di sembrare obsoleto nel giro di pochi decenni, ma esistono rare eccezioni. Penso in particolare alla splendida traduzione di Mario Giobbe del Cyrano de Bergerac: risale al 1898, eppure quella lingua “vintage” – e più ricca dell’originale – regge ancora magnificamente il passo con i tempi, tanto riapparire nel giugno scorso negli “Oscar” Mondadori.
Che Italia appare trasfigurata in “Moneta del sogno”? In cosa consiste – se c’è – la necessaria attualità di quel romanzo strano, composto in tempi distinti, diversi?
Come si legge nella postfazione di Yourcenar, al di là delle varianti tra l’edizione del 1934 e quella, definitiva, del 1959, questo romanzo ambientato a Roma nell’undicesimo anno della dittatura fascista doveva restare “esattamente datato”, essendo “uno dei primi romanzi francesi (il primo, forse) a guardare in faccia la vacua realtà che si celava dietro la tronfia apparenza del fascismo”. La politica del regime è mostrata attraverso gli effetti sulla città e, specularmente, sulle persone. Roma subisce lo sventramento delle vestigia del glorioso passato per far spazio alle grandi arterie teatro delle parate militari. Al degrado urbanistico corrisponde quello umano: i personaggi sono perlopiù apatici, indifferenti, disposti ad avallare il male per semplice inerzia, incapaci di comunicare tra loro, di conoscersi in profondità. La moneta d’argento da dieci lire che passa di mano in mano, permettendo ai protagonisti dei nove episodi che compongono il libro di nutrire una speranza, costituisce uno scambio esclusivamente materiale, privo di ogni empatia umana. L’uomo “parvenu della natura”, l’individuo che antepone l’apparire all’essere, che è indifferente al destino del mondo in cui vive come a quello di chi incontra; persone che dialogano senza ascoltarsi: mi sembrano tutte situazioni riscontrabile nella realtà attuale. Anche rispetto alla politica, non è il fascismo in sé che preoccupa maggiormente la scrittrice, ma la crisi delle ideologie e dei valori, l’imbarbarimento progressivo che ritroviamo nella società odierna.
Che libro ha amato di più tradurre – e su quale vorrebbe lavorare?
Oltre a Moneta del sogno, sono stata molto felice di tradurre per Mondadori Ci rivediamo lassù di Pierre Lemaitre, prix Goncourt 2013, e Il ballo e altri racconti di Irène Némirovsky, di cui ho firmato anche la curatela e che è apparso negli “Oscar” nel 2017. Mi piacerebbe tradurre Pascal Quignard: Les petits traités, per esempio, o Emmanuel Carrère (che però ha già ottimi traduttori italiani).
“La condizione umana” è uno dei romanzi decisivi del ’900, di un autore, André Malraux, di contraddittoria grandezza, affatto diverso, stilisticamente, dalla Yourcenar. Come è entrata nella lingua di Malraux, che impatto ne ha ricevuto?
Tradurre La condizione umana ha richiesto innanzitutto un notevole lavoro documentale per capire il contesto storico e culturale, che è molto più di un semplice sfondo. È un romanzo di una portata universale per il rapporto tra l’angoscia del singolo individuo e la dimensione collettiva del destino; è un romanzo in cui lo spirito fraterno e l’adesione a valori comuni finiscono per prevalere addirittura sull’esito stesso della rivoluzione contro Chiang Kai-shek. Ho faticato a entrare in questa scrittura per ampi tratti tenebrosa, ma con repentini, significativi squarci di luce: non a caso, nel manoscritto, a margine, si leggono parole come “éclairage” e “lumière”. L’impatto con Yourcenar è stato senz’altro più immediato, forse per il ritmo prorompente, per il suo timbro inconfondibile.
Che cosa la affascina della letteratura francese e quale autore di quella letteratura, a suo avviso, è tanto grande da essere poco considerato in Italia?
Mi affascinano le sonorità della lingua, il patrimonio artistico e culturale, certe “ambiances” tipiche. Scrittori come Patrick Modiano, Mathias Enard, Emmanuel Carrère non sono apprezzati come meriterebbero, pur essendo pubblicati da editori importanti. Altri, come Pascal Quignard, dovrebbero trovare la consacrazione di un pubblico avvertito, sì, ma non necessariamente “di nicchia”.