07 Maggio 2018

Dio è l’infinito sessomane, ama fino a uccidersi. Noi siamo capaci di dare la vita per amore? (Non è lussuria, ma il lusso del dono)

La domenica parlano – con ispirazione – i preti. Il lunedì, da incosciente, metto il cranio dentro la liturgia domenicale. Screziando, da dis-graziato, i testi. La liturgia la trovate, per comodità, qui. Io uso il Nuovo Testamento interlineare, bisciando tra italiano, greco e latino. Pigliate questi come appunti sul margine sfinito, come punti d’appoggio – o di rovina – sulla roccia.

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Si può dire che Dio è un sessomane, che la Bibbia racconti les liaisons dangereuses tra Dio e Israele, tra Dio e i suoi amati, i suoi amanti, i suoi sudditi. Leggete il profeta Osea, vi prego, uno dei canti erotici più feroci mai scritti. Dio ricama seduzioni intorno a Israele – terra e popolo sono consustanziali – ora reclamata come la prediletta ora battuta come la puttana. Dio violenta: pretende il legame esclusivo, l’abbandono di tutte le certezze, è geloso, ha l’ardore della vendetta. Dio divora. Ogni pensiero religioso è generatore di eros: il rapporto con Dio è esageratamente erotico. Dio vuole il corpo, vuole la carne, figura capovolta delle divinità carnivore, fino a incardinarsi in Gesù per dare dono della sua carne, un sospiro carnale, una frattaglia appesa alla Croce, come i quarti di vitello al gancio di ferro. Non è lussuria – ma il lusso del dono. Gesù ci libera dal servaggio, è vero, ci chiama “amici” – “Vi ho chiamato amici perché tutte le cose che ho udito dal Padre ve le ho fatte conoscere”, Gv 15, 15 – imposta un rapporto di parità nell’esclusivo (d’altronde, si può amare solo se si è pari, la disparità è sadismo), ma proprio in virtù di questa amicizia chiede l’obbedienza senza concessioni. Senza obbedire ai suoi voleri – alle sue voglie – siamo esclusi dal rapporto di amicizia, dall’amore esclusivo: “Se i miei comandi osservate, rimanete nel mio amore” (Gv 15, 10). Già, ma che cos’è questo amore che è ingordo (“Dio non fa preferenza di persone”, At 10, 34) e rende folli (“li udirono parlare in lingue e magnificare Dio”, At 11, 46)? Chi forza la filologia del Nuovo Testamento, insistendo su agape – questo è la parola dell’annuncio evangelico – per squalificare eros – l’amore che fa venire la bava alla bocca, che non salva ma fa malati – è sballato. Leggete, a caso, le mistiche (Maria Maddalena de’ Pazzi, Angela da Foligno, Veronica Giuliani, ad esempio), per capire la tracotanza erotica di Cristo, dove il ‘mal d’amore’ è primizia angelica: l’incarnazione carica Dio di un surplus di foia sessuale. L’unione con Cristo è totale, macelleria liturgica, lampeggiamenti nel cuore, lame, incisioni, torture, tatuaggi verbosi, tormenti – mai vista l’Estasi di Santa Teresa del Bernini, il desiderio che si effonde per il marmo fino a squagliarlo? L’amore previsto da Cristo culmina nella morte. “Non c’è amore più grande: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Amare fino al morire. Per l’amato. Certo. Ma anche – come ha fatto Cristo – per l’ignoto, per l’ignorante, per lo sconosciuto, per chi non potrà dare in cambio nulla, neppure un grazie. Nessun ‘sacrificio’ – sacro è solo il gesto di Gesù – ma vigore nella perdizione, licenziosità nel titillare il nulla. Giovanni è il grande cartografo dell’amore oceanico: “non siamo noi ad avere amato Dio; ma è lui che ci ha amato inviando il Figlio come sacrificio di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 10). In questo rapporto d’amore continuamente riabilitato e ribaltato, è Dio che vuole convincerci di quanto ci ama. Dopo l’espulsione da Eden – cioè dall’amore perfetto – ci seduce attraverso il sacrificio del Figlio: cosa può fare di più? L’amato muore per ciò che ama. Dio, da allora, rimpiange la carne e il suo dolore. (d.b.)

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